“Teatri Aperti 2025”, viaggio tra i palcoscenici storici dell’Emilia

Ci sono luoghi che non devono solo essere visitati ma vanno ascoltati. Non con le orecchie ma con il cuore. I teatri non sono solo edifici: sono “macchine del tempo” che continuano a emozionare anche quando il sipario è calato. Perché i teatri non sono fatti solo per lo spettacolo ma per quei momenti che accadono tra una rappresentazione e l’altra, nei corridoi dove risuona l'eco degli applausi e sulle poltrone di velluto che hanno accolto l’emozione di migliaia di spettatori. Da oggi 5 dicembre, fino al prossimo lunedì 8, dodici teatri delle province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia aprono le loro porte per raccontarsi: dalle sale del Settecento ai palchi in cui hanno camminato i grandi della lirica fino ancora ai minuscoli palcoscenici dei borghi. Si chiama “Teatri Aperti” l’iniziativa che offre un’occasione unica per esplorare il cuore scenico dell’Emilia, zona con una delle densità più alte al mondo di teatri storici, “scrigni di comunità, luoghi che hanno custodito generazioni di emozioni”. Per quattro giorni si avrà l’opportunità di camminare laddove sono nate l’opera e la prosa italiana, ammirare gli affreschi e le strutture in legno e scoprire gli aneddoti che si celano dietro le quinte. Ne parliamo con Simone Fornasari, presidente di Visit Emilia. Come nasce l’iniziativa “Teatri Aperti” e cosa prevede? “Teatri Aperti” nasce da un’idea semplice e potente: aprire porte che troppo spesso restano chiuse. In Emilia abbiamo una delle densità più alte al mondo di teatri storici, piccoli e grandi, popolari e monumentali. Sono scrigni di comunità, luoghi che hanno custodito generazioni di emozioni. Abbiamo sentito il bisogno di riportarli al centro della vita delle persone. Dal 5 all’8 dicembre, dodici teatri delle province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia si raccontano attraverso visite guidate, prove aperte, incontri, piccoli spettacoli, narrazioni. Ogni teatro apre la sua anima: dalle sale del Settecento ai palchi in cui hanno camminato i grandi della lirica, fino ai minuscoli palcoscenici dei borghi che hanno visto nascere intere comunità artistiche. È un modo per dire: questa è la nostra identità, questa è la nostra storia, questo è il nostro modo di vivere la bellezza. Aprire un teatro non è solo un gesto turistico, ma politico. Che cosa ci insegnano questi luoghi? Un teatro ci insegna una cosa che oggi sembra quasi rivoluzionaria: guardarsi negli occhi. Il teatro è l’opposto della solitudine digitale. È un luogo in cui la comunità si riconosce, si ascolta, respira insieme. Aprirlo significa restituire uno spazio alla cittadinanza, un luogo di confronto e di possibilità. Dal punto di vista più profondo, ogni teatro è un atto civile: custodisce la memoria di un territorio, tramanda una lingua fatta di canto, musica e gesti, e ci ricorda che senza arte siamo più fragili come persone e come società. Aprirli oggi significa anche prendersi cura della polis, nel senso più alto del termine: prendersi cura della collettività attraverso la bellezza, perché la bellezza non è mai un lusso, ma un bisogno primario che ci ricentra, ci educa, ci unisce. Quali storie significative troviamo nei teatri coinvolti? Ogni teatro è un romanzo. E ognuno di questi dodici luoghi racconta una storia che merita di essere ascoltata. Il Teatro Regio di Parma, per esempio, è un tempio della lirica: nato nel 1829 per volontà della duchessa Maria Luigia, custodisce una tradizione musicale che ha contribuito a formare il gusto operistico europeo. Poco distante, il Teatro Verdi di Busseto rappresenta un modello diverso, quasi opposto: non nasce da un atto nobiliare, ma da un grande gesto collettivo. Fu costruito grazie ai contributi della cittadinanza, della borghesia agraria e del Comune, a conferma di quanto la cultura, in Emilia, sia sempre stata un’impresa condivisa. Curiosamente, Verdi non partecipò all’inaugurazione del teatro e non amava che gli fosse intitolato: un dettaglio che restituisce autenticità al luogo, perché racconta un teatro che non esiste per celebrare il Maestro, ma per servire la comunità. Il Teatro Municipale di Piacenza, una delle ultime grandi realizzazioni dell’Ottocento, è invece un gigante della memoria culturale: passato indenne attraverso due guerre, ha accolto sul suo palcoscenico i più grandi artisti del Novecento. Ancora oggi si ricorda il Requiem di Verdi diretto da Toscanini nel 1926, considerato una delle esecuzioni più emozionanti del secolo. Il Ruggero Ruggeri di Guastalla racconta un’altra storia: quella della rinascita dopo il sisma del 2012. Ricostruito e restituito alla comunità, è diventato un simbolo di resistenza e dignità, un teatro che ha saputo trasformare una ferita in un’opportunità. E poi c’è il teatrino di Vigoleno, uno dei più piccoli al mondo: una sala di appena dodici posti, affrescata negli anni ’20 da Alexandre Jacovleff e trasformata dalla principessa Ruspoli in un minuscolo salotto culturale frequentato da D’Annunzio, Cocteau, Rubinstein, Mary Pickford. È l’idea stessa del teatro in miniatura: intimo, prezioso, quasi segreto. Ne cito solo alcuni perché non basterebbe una giornata per raccontare tutta questa bellezza. Ce n’è uno al quale è particolarmente affezionato? Da presidente di Visit Emilia sento un dovere: ogni teatro è un pezzo di identità collettiva, e nessuno può essere messo davanti all’altro. Ognuno di questi luoghi ha una storia che parla a una parte diversa della nostra anima. Se devo citare un ricordo affettivo, mi emoziona sempre il Teatro di Vigoleno, perché rappresenta una rarità assoluta: uno dei più piccoli teatri storici al mondo…perché anche ciò che occupa poco spazio può lasciare un segno enorme! La verità è che mi sento “a casa” in tutti questi teatri: in ognuno riconosco un frammento dell’Emilia che amo e rappresento. Che tipo di riscontro avete avuto nelle passate edizioni? Il riscontro è stato sorprendente: teatri pieni, tante visite ed entusiasmo autentico. Le persone, anche le famiglie e i più giovani, hanno dimostrato una voglia enorme di scoprire, conoscere ed emozionarsi. Molti visitatori ci hanno detto che era la prima volta che entravano nel teatro della loro città. E questa è forse la vittoria più grande: trasformare luoghi spesso considerati “per pochi” in spazi aperti a tutti. Abbiamo registrato un forte ritorno mediatico, una crescita dell’interesse turistico e un aumento significativo di presenze nei borghi coinvolti. Ma ciò che conta di più è l’effetto emotivo: chi partecipa a Teatri Aperti porta a casa una storia, un’immagine, una scintilla di bellezza che rimane.

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“Teatri Aperti 2025”, viaggio tra i palcoscenici storici dell’Emilia

Costanza Ruggeri