Takashi Murakami: “Agli eroi preferisco i perdenti”

Umani, troppo umani. Nei loro pregi e nei loro difetti. I personaggi di Takashi Murakami sono così, concreti, reali, vivi. Fallibili e perdenti. E non importa che siano uomini, animali o robot: al centro di tutto c’è il cuore di un autore con una sensibilità diversa, che ha scelto di raccontare gli ultimi, gli emarginati, per restituire loro una dignità troppo spessa negata dalla società. È così nei due volumi di “Il cane che guarda le stelle” e nel suo nuovo manga “Pino”, tutti pubblicati da J-Pop che l’ha portato tra i suoi ospiti a Lucca Comics & Games, dove lo abbiamo incontrato per questa intervista. Il cane che guarda le stelle è un modo di dire giapponese ma nei suoi racconti assume un significato piuttosto letterale. Perché secondo lei i cani sono così adatti a raccontare i sentimenti e le emozioni umane? Amo molto i cani, con loro la comunicazione è molto diretta, molto intima. Un cane ti guarda negli occhi e ci si capisce. Fin dalla preistoria ha accompagnato l'uomo nel corso di tutta la sua evoluzione. Ho deciso di renderlo protagonista dei miei racconti perché se avessi usato un essere umano per rappresentare certe situazioni così pesanti, la storia sarebbe diventata un po' troppo per il lettore. Invece con il cane riesco ad alleggerire la narrazione. Il cane è il suo animale preferito? Amo anche i gatti ma purtroppo sono allergico. In passato ho avuto anche una tartaruga. Le sue opere sono spesso tristi, malinconiche. C’è della disperazione ma c’è anche tanta speranza in questa disperazione. Rispecchiano la sua visione del mondo e della condizione umane, questa capacità di reazione alle avversità? Non riesco a raccontare storie di eroi, provo un po’ di repulsione nei loro confronti. Preferisco scrivere di persone sopraffatte, perdenti. Anche nella mia esperienza diretta ho vissuto in un paesino dove ci sono tante persone deboli ed emarginate. Ma non è bello vederli sempre perdere, così ho voluto dare una luce diversa ai miei personaggi. A questo proposito, molti dei suoi personaggi sono spesso emarginati dalla società, restando alla metafora animale sono un po’ come dei cani randagi. Nelle sue opere ci sono elementi di critica sociale abbastanza evidenti. Che idea ha della società attuale? Come dicevo prima vengo da un posto dove molte persone erano frustrate, tanti bevevano, erano ludopatici. Non è che voglia giustificare questi comportamenti ma mi piace dare sostegno a queste persone e vorrei che la società aprisse la porta a queste persone quando vogliono impegnarsi. Mi chiedo spesso perché non ci sia una possibilità anche per loro. Restando più o meno in questo ambito mi viene da pensare a “Pino”, che è una storia di fantascienza in cui il genere viene utilizzato proprio per raccontare la società attuale, la direzione in cui sta andando. Quali paure ha per il futuro? Ho una visione molto positiva per quanto riguarda il futuro. In “Pino” parlo dell’intelligenza artificiale che ottiene la singolarità e penso che abitando il nostro stesso pianeta anche le intelligenze artificiali punterebbero a migliorare le nostre condizioni di vita, e magari troverebbero soluzioni a problemi importanti come quello della crisi energetica e tanti altri. Sempre parlando di “Pino”, è una rivisitazione di “Pinocchio”, come è evidente già dal titolo. Ci sono state però anche altre influenze alla base di questo lavoro? Sì, inoltre la madre di “Pino” nella storia si chiama Ryoko Kiyo, per cui lui diventa Pino Kiyo. Ma mi sono ispirato anche a “Blade Runner”, senza dubbio. Lì gli androidi hanno un limite di vita di 5 anni, in “Pino” inizialmente non hanno nessun limite, nessuna scadenza. Solo quando ottengono la singolarità e una coscienza gli viene imposto un limite di tempo che è ispirato a “Blade Runner”. Visto che è molto ottimista sull'utilizzo e lo sviluppo dell'intelligenza artificiale in tanti ambiti diversi, come si pone nel dibattito sul suo utilizzo in campo artistico? Penso che tutto ciò che l’intelligenza artificiale faccia in campo artistico sia riassumere l'idea di bellezza che hanno le persone, quindi il prodotto finale non può essere altro che una rappresentazione di un'idea in comune. Ciò che invece fanno gli artisti è rappresentare l’arte in maniera singolare, personale- Per questo penso che l'intelligenza artificiale non sarà per niente un ostacolo agli artisti, si limite a proporre quell'arte che vorrà la maggioranza e chi continuerà a cercare la propria idea di arte non sarà per niente in pericolo. Una volta ho avuto l'opportunità di scrivere una storia con ChatGPT mettendo le parole chiave che volevo e ho ottenuto una storia molto interessante che mi ha fatto persino dubitare che fosse stata veramente un'intelligenza artificiale a realizzarla, però alla fine non era la storia che volevo, per cui sono sicuro di non avere bisogno dell'intelligenza artificiale per i miei lavori. E se un domani provassi a insegnare all'IA il mio modo di pensare, sicuramente entrerei in conflitto e ci litigherei.

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Takashi Murakami: “Agli eroi preferisco i perdenti”

Gabriele Lippi