Un appello per i nostri figli: finiti i compiti, lasciateci liberi

Premessa: questa mia rubrica non vuole essere una denuncia. È un appello, un grido di aiuto, la preghiera di una mamma single che cresce da sola una bambina in una grande città. Ed è convinta di non parlare solo a nome suo, se si rivolge alle persone che, in un modo o nell’altro, per lavoro si dedicano al mondo dell’infanzia. Non alle maestre - sarà perché ho la fortuna di fidarmi ciecamente di quelle di mia figlia, sono i miei idoli degli ultimi due anni, o perché l’unico obbligo che credo debba avere un essere umano, quantomeno dai sei ai sedici anni, sia legato alle responsabilità a cui lo chiama la scuola, appunto, dell’obbligo. Ma si rivolge al Ministero che da quest’anno costringe anche le migliori maestre a informare ogni due settimane, tramite registro elettronico e con un voto secco, i genitori, sul rendimento, materia per materia, dei relativi figli. Agli scout che, per la caccia della domenica, mandano una mail ai genitori dove li esortano a “panificare” per dare vita a un panino che dentro abbia qualcosa di rosso, di verde e di giallo, sia ispirato all’autunno e ai folletti e che partecipi alla gara dei panini Questo appello si rivolge alle maestre di ginnastica artistica che, mentre quei genitori di sabato stanno panificando, nella chat li informano che entro lunedì bisognerà dotare le bambine di un nuovo body, rosso e con le maniche lunghe, e li invitano a partecipare a una riunione per discutere il tema del saggio di Natale il lunedì successivo. Ai maestri di nuoto che pretendono che il nome del bambino venga cucito su una tasca sull’accappatoio. Ai genitori dei compagni di classe dei bambini di questi genitori che dovrebbero empatizzare con loro, siccome affondano nella stessa barca, e invece no: si offendono mortalmente non solo se alla festa manca il tuo bambino, ma se non ti fermi anche tu con loro, per tre ore. E così via. Dunque: l’ultima notizia allarmante sui giovanissimi è che da uno studio dell’University College di Londra quelli di oggi risultano essere i più depressi e infelici della Storia dell’Adolescenza. Ci sarebbero miliardi di provvedimenti da prendere, l’educazione sessuale e sentimentale nelle scuole quantomeno è finalmente diventata oggetto di un dibattito acceso, per i social secondo me ci vorrebbe la patente, ma insomma: oggi vi invito a riflettere su questo. Il tempo migliore che abbiamo passato da bambini, non è stato forse per tutti quello rarissimo di certi sabati mattina, certe domeniche, inventato assieme ai nostri genitori, strappato a tutte le cose che durante la settimana loro avevano da fare e noi non avevamo da fare e ci dovevamo inventare da soli, finiti i compiti? I giri a vuoto in bicicletta, mentre passavamo dalle quattro alle due ruote, le partite guardate sul divano, le gite fuori porta, nell’autoradio le cassette delle loro canzoni preferite che non sopportavamo, ma che di lì a vent’anni sarebbero diventate anche le nostre preferite? Andare a scuola o a nuoto non era invece un modo per capire che cosa sapevamo fare, chi potevamo essere anche al di là di mamma e papà? Inoltre: da ogni dove, fuori e dentro di noi, ci arriva il dovere di difendere i nostri figli più piccoli, futuri adolescenti disperati, da un uso smodato del telefono, dando noi il buon esempio. Ma come facciamo a non rimanere incollati al telefono se, quando stacchiamo dal lavoro, a ogni secondo ci arriva la notifica di un messaggio che li riguarda? Come facciamo a stare attenti a quello che avrebbero da dirci, se dobbiamo chattare con il registro elettronico, con gli scout, con la ginnastica artistica? La teologia medioevale sosteneva che la componente essenziale di un sapere sia che lo si apprenda “in terra aliena”. Casa è un posto dove l’importanza di quanto succede in quella terra viene riconosciuta, certo, dove senza avere fatto i compiti un weekend non può cominciare. Finiti i compiti, però, potrebbe diventare anche un posto dove ci sono il tempo e lo spazio per non fare niente, e per non farlo insieme, per cazzeggiare, piangere, cantare senza essere intonati, ballare da goffi: una palestra dove allenarsi a dare e chiedere amore. Tutto questo sarà un po’ più rilevante del colore di un body o di una maionese fatta in casa? Dunque vi prego, voi che ne siete i destinatari, accogliete quest’appello: se noi promettiamo di non interferire con le ore che passate con i nostri figli, e di fidarci, voi ricambiate il piacere? Meglio ancora: facciamo uno sforzo e studiamo insieme un modo per non avere paura dei risultati del prossimo studio dell’University College di Londra?

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Un appello per i nostri figli: finiti i compiti, lasciateci liberi

Chiara Gamberale