Benjamin Lacombe: "Amo tutto ciò che disegno"

I suoi disegni hanno accompagnato opere straordinarie, grandi romanzi, storie per bambini. Il suo tratto è inconfondibile, fiabesco, gentile come una carezza. E a conoscerlo, a parlarci, si ha la sensazione che la sua arte rispecchi la persona che Benjamin Lacombe è. Un gigante dell’illustrazione mondiale che non perde mai il sorriso, un giovane uomo gentile, un enfant prodige diventato grandissimo nel giro di poco tempo. Ospite di Lucca Comics 2025 con Ippocampo, l’editore italiano che pubblica i suoi volumi, l’ultimo dei quali una superba edizione de “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, si è raccontato a Sky TG24 Insider. Come funziona il suo processo creativo? Da dove nascono le idee? È lei che sceglie di illustrare una determinate storia o sono gli editori a proporgliela? No, non lavoro mai su commissione, non ne sono in grado. Ho bisogno di sentirmi connesso al testo, è qualcosa che non si può fingere. Se non amo davvero il testo, per me è impossibile illustrarla bene, quindi è sempre una mia idea, una cosa che voglio fare. Quindi parte sempre da qualcosa che ama. Sì, e ora che faccio libri da anni, mi rendo conto che i libri migliori sono sempre collegati a qualche memoria di bambino, a qualche libro o storia che mi ha impressionato quando ero giovanissimo, tra i 10 e i 15 anni. Quel periodo è stato fondamentale per formarmi come artista e quando ripenso a quegli anni, a quelle storie, a quei film, alle mostre che davvero mi hanno impressionato, e le rivisito ora da adulto, questo mi permette di avere il miglior libro possibile. È come se tutte queste storie si fossero infuse in me, come una bustina di tè in una tazza, e una nuova forma di curiosità nasce in me. Quasi tutti i bambini cominciano a disegnare la casetta con la famiglia e il sole, poi i più passano a copiare i personaggi che amano, spesso dai manga. È stato così anche per lei? Assolutamente sì. In principio ero un grandissimo fan della Disney, ma era anche uno strano mix perché amavo Leonardo da Vinci e provavo a copiarlo. E anche i manga, certo: ho disegnato così tante volte Goku che nemmeno potete immaginare, anche perché quando ami disegnare finisci per diventare il disegnatore ufficiale della classe, è tutti venivano da me a chiedermi di realizzare un tributo a questo personaggio o ad altri personaggi della cultura pop di quel periodo. Come si misura con classici del calibro de “Il Grande Gatsby” o “Alice nel Paese delle Meraviglie”? Da dove trae l’ispirazione per illustrare i personaggi? Ciò che è scritto nel libro, la descrizione del personaggio, è sempre la prima fonte di ispirazione, ma illustrare in latino vuol dire illuminare, si tratta di dare luce al testo, questo è il primo ruolo dell’illustrazione. Ma a seconda del libro, mi piace fare tanta ricerca e adoro, soprattutto nel caso in cui l’autore che illustro sia morto, cercare di comprendere cosa aveva in mente, a chi pensava mentre scriveva. Per “Alice nel Paese delle Meraviglie”, Lewis Carroll ha scritto un diario per 20 anni, tante lettere agli amici, a giornalisti ad altre persone, e aveva un’idea molto precisa delle sembianze che doveva avere Alice, da fotografo qual era aveva persino mandato delle foto al primo illustratore a cui aveva chiesto di lavorare sull’opera e aveva persino disegnato Alice lui stesso. Si tratta di fare un po’ lo Sherlock Holmes e il mio scopo era quello di fare la migliore Alice possibile, quella che Carroll avrebbe potuto amare, anche perché lui non è mai stato soddisfatto di alcuna versione, detestava quella illustrata da John Tenniel, non sono mai andati d’accordo ma hanno continuato a collaborare solamente perché era stato un grande successo. E per quanto riguarda “Il Grande Gatsby”? Ecco, lì è stato diverso perché la storia è una sorta di auto-fiction, Francis Scott Fitzgerald ha usato tanto della sua vita rendendola cinematografica. Così volevo che i personaggi di questa storia sembrassero attori. Gatsby e Daisy sono troppo belli per sembrare persone ordinarie, sono tipi da Hollywood, con tutte quelle luci, tutto quell’oro. Siamo in una sorta di fantasia, non nella realtà. Per Gatsby mi ha ispirato il giovane Marlon Brando, per Daisy da Anya Taylor-Joy, per la figura del narratore da Adrian Brody. Quindi non si è ispirato a una specifica versione cinematografica del romanzo. No no. Ho fatto il mio casting personale. Ci sono tre versioni cinematografiche di “Il Grande Gatsby”, la prima, realizzata appena tre anni dopo l’uscita del libro con un budget molto ridotto, non era così buona. Poi c’è stata quella con Robert Redford, straordinaria, e lui è stato un Gatsby eccellente, ma era troppo elegante: Gatsby è un arrampicatore sociale, viene dal basso, e non puoi immaginarti Robert Redford che scava in una miniera, no? DiCaprio, invece, è ottimo, uno dei migliori attori viventi, ma dal mio punto di vista è troppo infantile per essere Gatsby, Gatsby è più mascolino, e quindi ho scelto Marlon Brando. Tra le sue influenze principali cita i pittori del Quattrocento, i Fiamminghi, ma anche Tim Burton. E qui penso a “Big Eyes”. Sì, ma il motivo per cui disegno gli occhi grandi non è Burton, non è quel film, è Walt Disney. Da bambino ho disegnato tantissimi personaggi dei film Disney e così mi viene naturale disegnare gli occhi grandi. E probabilmente anche i manga hanno avuto un’influenza su di me in tal senso. Tim Burton ha influenzato il mio lavoro più per le sue atmosfere, per il suo essere più edgy, più dark. Poi cita anche Guillermo del Toro, Wes Anderson, David Fincher. Ciascuno di essi ha avuto un impatto specifico in qualche parte del suo lavoro? Come Disney per gli occhi? O è più un mix? Non si nasce dal nulla, siamo tutti un mix di ciò che ci ha influenzato. La cultura pop che si evolve intorno a noi ci influenza, ci nutriamo di immagini e immagini. E queste immagini creano la nostra percezione interna e il nostro modo di comprendere la vita. E tutto ciò, mischiato insieme, crea ciò che si vede qui. Durante la sua formazione artistica all’Ecole Nationale Supérieure de Les Arts Déco di Parigi, c’è stato qualcosa o qualcuno che l’ha particolarmente influenzata? Non direi, non ho mai avuto un mentore vero e proprio. Anche perché quando sono entrato all’Art Déco giò lavoravo, ho iniziato molto presto, quando avevo 16 anni, nell’animazione, e ho firmato il mio primo libro a 18, quando ho iniziato la Scuola. Quindi la scuola non poteva influenzarmi in niente e mentre studiavo ero un ribelle vero, non capivo davvero cosa farmene delle lezioni dei docenti, facevamo tante cose come fotografia, architettura, che non mi interessavano e pensavo non mi sarebbero servite. Ma la cosa buffa è che comunque ascoltavo tutto e ho imparato cose che ora uso. Quello che mi sorprende è che tantissimi artisti raccontano di aver avuto un rapporto turbolento con le scuole d’arte e i docenti. Ma io penso che sia importante, perché se sei uno scolaro troppo disciplinato significa che non ha una fibra artistica. Per diventare un artista devi scoprire te stesso per conto tuo, non basta eseguire qualcosa che qualcun altro ti dice di fare, quello è essere artigiani, non artisti. Però se qualcuno ti dice qualcosa, tu devi migliorarla, e dopo, magari, una di queste cose che ti vengono chieste diventa interessante. I migliori allievi della scuola che ho frequentato non hanno mai avuto una vera carriera. Inoltre, quando fai un libro, devi forzare i limiti, le barriere. Se non lo fai, anche mentre stai imparando, avrai problemi a farlo dopo. C'è un personaggio che ha amato disegnare più di altri? In generale amo disegnare personaggi e animali, elementi naturali. Quello che detesto disegnare sono le cose meccaniche. In “Il Grande Gatsby” ci sono state tre disegni che sono stati un incubo perché dovevo disegnare l’auto. Una di queste è una scena molto importante, un incidente, ed è stata un incubo. Ad alcuni piace disegnare queste cose, a me no. E una storia a cui si sente più legato tra quelle che ha illustrato? È sempre difficile rispondere a questa domanda, quasi impossibile. Ci sono alcune parti e alcune storie che sono molto felice di aver fatto per le ragioni più varie. E al contrario ci sono davvero poche storie che ho illustrato e che non mi piacciono. Certo, c’è qualcosa di più personale. Per esempio “La storia del Bianconiglio”, collegata ad “Alice nel Paese delle Meraviglie” ma che ho scritto io mettendoci tutto, facendo un mix della mia vita, della mia infanzia attraverso gli occhi del Bianconiglio, e parla del tempo che passa, dell’essere in ritardo, del cercare di correre dietro alla vita, che è qualcosa che sento molto. C’è qualche nuova storia a cui sta lavorando? Sto lavorando a molti progetti per i prossimi anni, sono più che esaltato perché perlopiù negli ultimi anni ho lavorato su fiabe e classici famosissimi, mentre il prossimo anno sarà pure creatività. Niente di classico, ma un libro per adulti con un soggetto super iconico. Non vedo l’ora che la gente lo scopra perché è davvero una grande storia. Poi disegnerò i vampiri per un altro progetto, non vedo l’ora, mentre il mio prossimo libro per l’infanzia sarà scritto da un autore davvero speciale ed è un altro lavoro originale. Purtroppo in Italia ha vissuto un episodio spiacevole con il furto di due opere originali da una mostra organizzata a Milano. So che l’episodio l’ha colpito particolarmente, ma le piacerebbe organizzare in una nuova mostra nel nostro Paese? Sì, quello che è accaduto è stato orribile, soprattutto perché la mostra era bellissima, ero felicissimo del lavoro svolto con Ippocampo e l’impresa con cui abbiamo lavorato. Ed è brutto che quanto successo abbia rovinato i miei ricordi. Però adorerei fare una nuova esposizione in Italia, ne ho fatto di grandi in Francia, una al Louvre proprio quest’anno e ne farò presto una al castello di Chambord, il più bello di tutta la Francia, con una scalinata progettata da Leonardo da Vinci. Dopo questa vedremo che succede. Quindi abbiamo ancora una chance di vedere le sue opere in Italia. Amo l’Italia, mi piacerebbe e per l’anno prossimo ho un progetto che sarebbe perfetto, ma per ora mi limito a fare ciò che è già in programma. Un giorno alla volta, ne ho bisogno, è stato un anno veramente impegnativo, vediamo cosa succede il prossimo.

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Gabriele Lippi