Essere (già) adolescenti a 8 anni

“Mandami una tua foto nuda”. È l’inverosimile messaggio che l’amichetta-sorella di mia figlia, anni otto, ha ricevuto sul cellulare della madre da parte di un bambino conosciuto in spiaggia quest’estate, anni dieci, che appena di cellulare ne ha avuto uno tutto suo ha copiato la rubrica da quelle dei genitori e si è lanciato. Contro nessuno e facendo male a chissà quanti, mentre se ne fa da solo - come sempre -, nel cyber-bullismo. Perché per fortuna in questo caso il messaggio non è mai arrivato a destinazione. Ma se la bambina avesse avuto due, tre anni in più, e anche lei un cellulare tutto suo? È la preadolescenza, va bene: ma a quanti anni comincia? I cinquanta sono i nuovi quaranta, i quaranta sono i nuovi trenta, e i dieci? Sono i nuovi quindici: oggi, dall’asilo, si corre velocissimi, bruciando le tappe fino ai trenta, trentacinque, finché non si comincia a rallentare e ci si mummifica nel per-sempre-giovani. Senza mai essere stati davvero bambini, non si diventa mai vecchi. Per la palude in cui può trasformarsi il secondo tempo della vita, non ho ancora trovato delle risorse che mi convincano. Ma, per scortare l’infanzia-adolescenza dei nostri figli, non ho dubbi sugli unici due tentativi che abbiamo a disposizione: il primo è raccontargli, fargli immaginare un mondo, là fuori, più interessante e colorato e pazzo e allegro di quello che troveranno dentro a uno smartphone . Grazie ad amici scrittori e musicisti e storici dell’arte pieni di talento e di grazia, ho messo su a Roma dei laboratori con cadenza mensile per non-ancora-adolescenti dai 7 agli 11 anni. Il secondo tentativo è sforzarci di capirli senza giudicarli, anche se sono diversi, molto diversi da com’eravamo noi, alla loro non-età: come si fa? Non lo so. Ma Simona Ercolani e la sua squadra di sceneggiatori sì, lo sanno: tant’è che in nemmeno una settimana Riv4li, la loro serie sull’infanzia adolescente di otto bambini-ragazzi di una terza media di Pisa, è diventata la terza più vista su Netflix. Perché i suoi protagonisti hanno davvero la loro non-età mentre alzano muri, li abbattono, li rialzano, si dividono in outsider e insider pur di fuggire dalla crepa che ogni giorno gli si allarga dentro fra quello che sono e quello che vorrebbero essere. Davvero ce l’hanno, mentre fanno qualcosa che non dovrebbero fare un istante dopo avere ricevuto una delusione da un genitore, un tradimento da un amico: e invece di elaborare quella delusione, quel tradimento, sbagliano. Feriti, feriscono - con la complicità dei social che tolgono il tempo fra meditare una vendetta e portarla a termine. Ho cominciato a vederla con mia figlia, appena è uscita, e l’irritazione per come recitano male un paio dei protagonisti è durata mezzo minuto: alla fine della prima puntata ero, era già dentro. Io per capire anziché giudicare, appunto. Lei per scoprire. Che se Dario vuole piacere a tutte è perché in realtà gli manca la madre. Claudio non si sente il migliore: si sente solo. Sabrina tratta male Terry perché la teme, non perché la schifa, Terry invece non ha paura di niente perché fin da piccolissima ha dovuto educarsi all’autoimmunità…Che dunque anche se Filippo, della sua classe, si comporta come Dario, è perché forse. Anche quando lei stessa si comporterà come Sabrina, come Claudio, Terry, Marzia Luca Paolo Alessio sarà perché magari… La Ercolani ha intervistato cinquemila bambini-ragazzi, prima di cominciare a scrivere... e i risultati si vedono. Giochiamo anche noi a intervistare i Claudii e le Terry che vivono nella nostra stessa casa, prima di pontificare su di loro? O quantomeno guardiamo Riv4li.

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Essere (già) adolescenti a 8 anni

Chiara Gamberale