Schede telefoniche: il rettangolino di plastica che ha fatto parlare un Paese intero

Prima dei cellulari e degli smartphone, comunicare significava spesso andare in cerca di una cabina. E, prima ancora, di un gettone. Era un rito quotidiano, fatto di tasche piene di monete pesanti e della paura di rimanere senza spiccioli proprio sul più bello di una conversazione. A metà anni Settanta, la SIP – l’allora compagnia telefonica nazionale – decise di cambiare le regole del gioco: basta furti di monete, basta gettoni che sparivano dai distributori o cabine vandalizzate. Nel 1976 arrivò l’idea rivoluzionaria: una scheda telefonica prepagata. Il principio era semplice: un rettangolino di cartoncino con una banda magnetica che conteneva un certo numero di “scatti” telefonici da 50 lire l’uno. Inserita dall’alto nella cabina, la scheda permetteva di parlare fino a esaurimento del credito. Se rimanevano scatti, la tessera veniva restituita; se finivano, invece, la cabina se la “mangiava”. Proprio questa caratteristica generò quella che molti ricordano come “ansia da scatti”: la paura che la chiamata si interrompesse all’improvviso e che la tessera sparisse per sempre nell’apparecchio. La primissima scheda sperimentale, oggi mitica, fu testata a Roma, a Villa Borghese. Venne chiamata “Serie 0 – Precursoria SIDA”, dal nome dell’azienda di Montichiari che ne aveva sviluppato la tecnologia. Era bianca, con scritte blu e banda verticale, e conteneva appena quattro scatti da 50 lire. Un primato mondiale: l’Italia fu il primo Paese al mondo a inventare e usare le schede telefoniche. Il problema? Quelle pionieristiche erano fragilissime: bastava piegarle, infilarle in lavatrice per sbaglio o dimenticarle in tasca perché diventassero illeggibili. Spesso si inceppavano nelle cabine e la SIP dovette affrontare le lamentele di utenti che ancora preferivano i vecchi gettoni. Ma la strada era segnata. Gli anni ’80: l’arrivo delle cabine rosse Ci volle quasi un decennio per perfezionare il sistema. A metà anni Ottanta arrivò la svolta: le cabine rosse, con i telefoni Rotor progettati da Urmet, che accettavano sia monete che schede. Le nuove tessere erano finalmente di plastica PVC, flessibili, impermeabili e robuste. Era l’inizio della loro stagione d’oro. Dalla fine degli anni ’80 ogni portafoglio italiano custodiva almeno una scheda telefonica “per le emergenze”. Si trovavano ovunque: tabaccherie, edicole, autogrill, uffici postali. I tagli più comuni erano da 5.000 e 10.000 lire, poi ampliati anche a 2.000 e 15.000. Nelle località di vacanza, la sera, davanti alle cabine si formavano file lunghe e pazienti: ragazzi che chiamavano i genitori da un campeggio, fidanzati che parlavano a distanza, turisti che raccontavano la giornata appena trascorsa. Era un rituale sociale, un piccolo teatro urbano che oggi sembra appartenere a un’altra epoca. Piccoli manifesti tascabili Ma le schede non erano solo strumenti pratici: erano anche oggetti da guardare. All’inizio erano anonime, con il logo SIP e il valore stampato. Poi, negli anni Novanta, arrivò la vera intuizione: sfruttare il retro per messaggi e pubblicità. Nacquero così le prime serie tematiche: turistiche, con città e paesaggi d’Italia; informative, con le fasce orarie delle tariffe; promozionali, con loghi e slogan di aziende. Ogni scheda era un manifesto tascabile, un piccolo racconto visivo di ciò che l’Italia stava vivendo. Alcune celebravano fiere e mostre, altre lanciavano campagne sociali come quella contro l’illegalità. Persino le grandi aziende si misero in fila: Peugeot, Pentel, compagnie aeree. Nel 1992 arrivò la serie che fece esplodere la mania: le celebri “Trottole”, dodici tessere con slogan come “Se ti gira di parlare/sognare/viaggiare”. Fu un successo clamoroso: in breve nacque una vera cultura del collezionismo. La mania del collezionismo Prima dei social network, il collezionismo delle schede telefoniche fu uno dei primi fenomeni virali italiani. Gruppi di appassionati si incontravano ai mercatini, davanti alle cabine, nei bar, per scambiarsi le ultime uscite. Si creavano raccoglitori, cataloghi, classifiche. Telecom, che nel frattempo aveva preso il posto della SIP, alimentava questa passione con tirature sempre nuove: serie speciali, edizioni limitate, persino una carta di credito telefonica “infinita”. I numeri parlano da soli: nel 1991 una scheda celebrativa annunciava i 150 milioni di esemplari prodotti dal 1988; appena tre anni dopo, un’altra festeggiava i 500 milioni. Un’Italia intera, dai ragazzini agli adulti, si ritrovava a collezionare e scambiarsi quei rettangolini di plastica. Il declino e la fine di un’era Poi arrivarono i cellulari. All’inizio erano costosi e ingombranti, ma a fine anni Novanta cominciarono a diffondersi rapidamente. Le cabine pubbliche persero centralità, anche se per un po’ le schede telefoniche continuarono a resistere: erano ancora comode per chiamate interurbane o internazionali, più economiche rispetto ai primi GSM. Con il passaggio all’euro, nel 2002, comparvero le ultime serie con i valori in doppia valuta, poi solo in euro. Nel frattempo arrivarono i telefoni pubblici digitali Digito, capaci persino di inviare SMS e email, e le schede con microchip. Ma era troppo tardi. Nel 2003 la produzione regolare si fermò. L’ultimissima scheda italiana fu emessa nel 2018, con logo TIM, in tiratura limitata: un pezzo già nato per i collezionisti. Nel 2022 è arrivato l’epilogo: lo smantellamento delle ultime cabine, circa 16.000. Un addio che ha chiuso definitivamente un’epoca. La seconda vita: cimeli da collezione Se le cabine sono sparite, le schede vivono ancora. Nei cassetti, negli album di collezionisti, nei mercatini vintage. Oggi hanno valore soprattutto se integre, mai usate: il dettaglio che fa la differenza è il piccolo “angolino” che veniva staccato al primo utilizzo. Se è ancora al suo posto, la scheda è “fior di stampa” e può valere molto. Alcune delle prime serie in cartoncino degli anni Ottanta, se ben conservate, raggiungono quotazioni di centinaia di euro. Un set completo delle dodici “Pagine Gialle 1990” può superare i 2.300 euro; le rarissime prove della Serie Turistica del 1977 hanno toccato i 6.000. Persino gli errori di stampa possono trasformare una tessera comune in un pezzo da collezione ambitissimo. Ma al di là del valore economico, a contare è quello emotivo. Ogni scheda racchiude una storia: una telefonata urgente, un amore a distanza, una vacanza studio. Sfogliare un raccoglitore significa rivivere i pomeriggi d’estate in fila alla cabina, la tensione degli scatti che calavano, la voce che si interrompeva di colpo. Nostalgia in formato tascabile Oggi le schede telefoniche sopravvivono come piccoli frammenti di memoria collettiva. Ricordano un’Italia pre-digitale in cui le telefonate erano atti preziosi, mai scontati. Un’epoca in cui anche una chiamata di pochi minuti poteva trasformarsi in un evento, con tutte le sue limitazioni e con quella magia che oggi, nell’era delle videochiamate illimitate, sembra impossibile spiegare. Quelle tessere di plastica non erano solo un mezzo di pagamento. Erano simboli: di attese, di amori, di viaggi. E ancora oggi, chi ne ritrova una in un cassetto prova lo stesso brivido nostalgico: la sensazione che in quel rettangolino magnetico sia rimasto impresso un pezzo della propria vita.

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Giuditta Avellina