Margherita Carbonaro: “Traduco Thomas Mann, attuale oggi più che mai”

La parola tedesca che la traduttrice Margherita Carbonaro preferisce è quella indissolubilmente legata al romanticismo, ma che continua a essere molto viva nel presente: die Ferne. Significa “lontananza, distanza”, ma, come spiega: “a differenza di questi termini italiani è una parola con un corpo. Ferne non designa solo qualcosa di astratto. Indica nel contempo luoghi lontani, concreti quanto possono esserlo dei luoghi che non si vedono ma ci sono. Ferne è qualcosa per cui si può provare un desiderio, come dice chiaramente il composto Fernweh: il desiderio, la nostalgia di ciò che è lontano. Chi traduce, del resto, non può che essere attratto da un qualche genere di Ferne. Altrimenti farebbe un altro mestiere”. Tradurre per Carbonaro è una questione di avvicinamenti. Come quello che l’ha portata a intraprendere lo studio del lettone a cinquant’anni suonati e a diventare così una delle poche traduttrici della letteratura del Paese baltico. “Era la lingua di mia madre, ma non mi trasmise mai il suo mondo. Ho sentito da sempre il desiderio di riempire questo buco nero. Iniziai così quando non ero più giovanissima a studiarlo seriamente, dopo tanti tentativi.” Iniziamo con il presente. Si prepara a raggiungere Bellinzona per il Babel, un festival letterario centrato sulla traduzione che quest’anno compie 20 anni e che si terrà dall'11 al 14 settembre. Cosa presenterà? Al Babel Festival di Letteratura e Traduzione di Bellinzona, dialogherò con lo svizzero Lukas Bärfuss, molto noto e vincitore di diversi premi anche in Germania e del quale in Italia sono già usciti alcuni libri. Questo che presentiamo, “Il cartone di mio padre”, è il terzo pubblicato dall'editore L'Orma, il secondo di mia traduzione. Parliamo di un libro molto particolare: un saggio più che un romanzo. La sua riflessione parte da un elemento autobiografico, cioè la storia del proprio padre. Ci offre una riflessione molto critica, molto ampia, molto dettagliata sul concetto di eredità nella nostra società. Il secondo incontro sarà invece molto diverso: un laboratorio di traduzione letteraria dal tedesco in italiano. Lavorerò con i partecipanti su due testi. A proposito del laboratorio, qual è la prima regola nella traduzione dal tedesco all'italiano? Io penso che sia la stessa regola che vale per tutte le lingue, ascoltare la voce dell'autrice o dell'autore è il punto di partenza. Lei ha tradotto autori molto importanti, qual è l'autore fra tanti che è stato più difficile da captare? Ne nomino due. La prima è Herta Müller, premio Nobel per la letteratura 2009. La sua è una scrittura secca, incisiva, tagliente, fatta di frasi brevissime. L’altro autore è agli antipodi linguisticamente, ma il livello di difficoltà per ragioni diverse è lo stesso. Con Thomas Mann bisogna fare infiniti passaggi per cogliere esattamente la sua ricchezza incredibile. Ultimamente sono tornata a Mann come lettrice e traduttrice. Oggi è più moderno che mai, più di 15 anni fa, perché Mann è stato un testimone molto importante che ha fatto sentire la propria voce in un momento di totale deragliamento d'Europa. Simile per certi versi a quello che stiamo vivendo. Un desiderio di sospendere l’attualità? Ho fatto addirittura un'escursione in terreno ottocentesco: l'anno scorso è uscita una mia traduzione di Adalbert Stifter, un autore austriaco del XIX secolo. Le confesso, in questo momento, a parte i miei autori, la contemporaneità tedesca forse mi interessa meno. Sto un po' arretrando nel ventesimo secolo. Ci sono anche momenti in cui un traduttore o una traduttrice sente, anche per il proprio sviluppo professionale, di volersi rivolgere anche ad altri periodi. Mi sono sempre ritenuta una traduttrice di letteratura novecentesca o del XXI secolo. Bisogna rimettersi in discussione. Probabilmente però se l'avessi fatto dieci anni fa non sarebbe stato il momento giusto. Cambia completamente il lavoro di traduzione per autori di epoche diverse? È stato molto difficile all'inizio: abituata com'erp ad ascoltare delle voci novecentesche, ho dovuto ritararmi, è un lavoro molto molto diverso rispetto a quando si lavora sulla contemporaneità. Come è diventata una traduttrice? A differenza di molti miei colleghi che raccontano di essere diventati traduttori per caso, io invece ci sono arrivata con intenzione. Penso che gli elementi fondamentali di questa mia scelta siano stati due. Il primo lo condivido con moltissimi colleghi e colleghe: il grande amore per la letteratura e il fatto di aver capito che la traduzione poteva essere un modo di vivere i libri in una maniera molto intima. Il secondo è legato alla mia storia familiare. Ci racconti. Mio padre era italiano, mia madre viene dalla Lettonia, quindi sono cresciuta con questa doppia origine, che però per quanto riguarda la parte lettone mi era stata completamente negata da bambina. Mia madre non parlava in lettone e non mi trasmise la lingua. Era stata profuga dalla Lettonia durante la Seconda guerra mondiale. In epoca di Guerra fredda non era possibile andare o tornare in Lettonia, quindi sono cresciuta sapendo che c'era un mondo che mi apparteneva ma che non avrei potuto conoscere, estraneo anche linguisticamente. Questo fatto ha segnato il mio sviluppo personale, creando un terreno fertile per l'interesse per la traduzione. Forse se mia madre mi avesse parlato la sua lingua da bambina avrei scelto di fare tutt'altro mestiere. Dopo 35 anni continua a darmi un grandissimo piacere, una grandissima gioia. Come è diventata nel concreto una traduttrice? Al liceo, avevo tante idee, alcune stravaganti, ma c'era anche questa. Ho studiato lettere, non sono in realtà, di formazione, una germanista. La svolta c’è stata perché andai a vivere a Berlino per alcuni anni, in quelli, forse, più emozionanti: dalla fine degli anni Ottanta ai primi Novanta. Berlino era una città di elezione per tutti quelli che volevano vivere e pensare in una maniera diversa. Il fatto di essere scelta come domicilio di libertà la rendeva unica. E adesso immagino che tornare a Berlino abbia un altro sapore. Mi capita di tornare per brevi soggiorni: è ancora una città interessante, però per me Berlino è quella della mia giovinezza. Ora come molte altre capitali sta vivendo processi di gentrificazione. Non è più la stessa. Ci ha già anticipato qualcosa sul lettone. Certamente non è stata una scelta scontata. È stato un lungo processo di avvicinamento in realtà, iniziato quando avevo più o meno 20 anni. Provai a studiarlo ma era impossibile con mia madre. Non puoi dire alla mamma con cui hai sempre parlato in italiano: “da adesso in poi mi parli in lettone”. All’epoca, e in parte è ancora così, non esistevano corsi di lingua lettone né manuali. Negli anni berlinesi avevo conosciuto un lettone che stava a Berlino, con lui avevo imparato un po' di basi, ma insomma sono arrivata a 50 anni parlando un lettone stentatissimo e fondamentalmente incapace di leggere fino in fondo un libro, quindi il mio vero studio del lettone è iniziato all'età di 50 anni. Mi sono proprio tuffata dentro, ho passato tantissimo tempo in Lettonia, ho ricevuto anche molto sostegno dal Paese, che mi ha aiutato con un programma specifico di formazione per i traduttori. “O adesso o mai più” mi sono detta. Quali sono gli autori lettoni che dovremmo scoprire? Innanzitutto vi vorrei segnalare una straordinaria autrice della quale ho tradotto un romanzo per Iperborea: “Il Pozzo” di Regīna Ezera. Morta una ventina di anni fa, famosa in patria ma sconosciuta all'estero proprio a causa degli ostacoli linguistici. La seconda che mi piacerebbe consigliare è un'autrice contemporanea della quale è uscito un libro l'anno scorso: si chiama Inga GiLl e il libro è “Frammenti di vetro”, pubblicato da un piccolo editore napoletano che è Mar dei Sargassi. Un’occasione per ricordare che ci sono pezzi interi di letteratura che non conosciamo e che in alcuni casi non conosceremo mai perché scritti in lingue "non mainstream". Sono molto orgogliosa del fatto che il primo libro che io ho tradotto dal lettone era di Zigmunds Skujiņš nel 2017. Il titolo del romanzo in italiano è “Come tessere di un domino” ed è stato il primo romanzo mai tradotto dal lettone in italiano. In precedenza erano stati tradotti solo dei racconti, qualche poesia. Pensa che ci sia un problema italiano o che sia un problema universale? Per moltissimi anni la letteratura lettone era stata tradotta soprattutto in inglese, ma perché c'erano i figli dei profughi della Lettonia che erano arrivati in massa negli Stati Uniti, proprio per motivi legati a fatti storici, ma non per ragioni letterarie. Mi sembra che l’editoria italiana sia abbastanza sensibile a queste lingue. Il problema è che devono esserci traduttori che conoscano queste lingue e che facciano proposte alle case editrici svolgendo anche un ruolo di scout letterario. Nessuno mi proporrà mai, verosimilmente, di tradurre un libro dal lettone, quindi sono io che li dovrò prendere iniziativa. Le devo dire una cosa, oggi secondo me c'è una potenziale attenzione maggiore per la letteratura lettone rispetto a quando ho iniziato a tradurre da questa lingua anni fa, per motivi non tanto felici: con la guerra in Ucraina si è aperto anche nell'editoria un interesse per certi mondi est-europei poco tradotti. In questi giorni, come già detto. terrà un laboratorio al Babel Festival. Cosa consiglia ai giovani che si affacciano a questa professione visto che si parla tanto della minaccia che arriva dall'intelligenza artificiale e dalle nuove tecnologie? Ammiro il loro coraggio, perché ogni tanto mi chiedo: se io avessi la loro età avrebbe senso che io facessi questo mestiere? D'altro canto voglio essere ottimista: non esistono quasi più mestieri sicuri. Tanto vale seguire le proprie passioni e sperare di poterle seguire per tutta la vita e di non dover cambiare rotta. Per concludere la domanda fatta a tutti i traduttori protagonisti di questa serie: ci ha già detto qual è la parola preferita in tedesco, ma in lettone? Per il lettone ho scelto una parola molto semplice, quotidiana: jūra. Vuol dire “mare”. In lettone le vocali possono essere brevi e lunghe, e nel mare lettone risuona una lunga “u”. Jūra evoca per me un fluido movimento di acque, ed è una parola che mi piace pronunciare. Gli appuntamenti con Margherita Carbonaro al Babel Festival Sabato 13.09 IL CARTONE DI MIO PADRE LUKAS BÄRFUSS CON MARGHERITA CARBONARO Teatro Sociale 14:00-15.30 Lingua: tedesco con traduzione consecutiva in italiano Sabato 13.09 COME TI TRADUCO? JUDITH KELLER CON I/LE PARTECIPANTI AL WORKSHOP BABEL DI TRADUZIONE DAL TEDESCO MODERA MARGHERITA CARBONARO Tenda Babel 18:00-19.00

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Margherita Carbonaro: “Traduco Thomas Mann, attuale oggi più che mai”

Ludovica Passeri