“Hot Milk”, l’istantanea di una vita che non si muove

“Hot Milk”, il primo film di Rebecca Lenkiewicz ispirato al libro di Deborah Levy, non è un vero e proprio coming of age. La protagonista, Sofia, interpretata da Emma Mackey, si trasferisce insieme a sua madre, Rose, interpretata da Fiona Shaw, in Spagna per permetterle di curarsi: Rose è costretta su una sedia a rotelle, e i medici non le sanno dire che cos’ha; eppure, ogni tanto, le capita di riuscire ad alzarsi e camminare. Sofia è confusa. Studia antropologia, sta lavorando a una tesi. E non è in grado di ritagliarsi un momento per se stessa, lontano dalla madre. Le sta costantemente accanto. E l’altra, in tutta risposta, non le chiede mai come sta. A un certo punto Sofia glielo fa notare e Rose le risponde: è perché sei sempre triste. “Hot Milk” non è un vero e proprio coming of age, come dicevamo all’inizio, perché la sua protagonista è già adulta, ha già superato la sua adolescenza e quella che sta vivendo – questo spicchio di mesi e ore al caldo dell’estate spagnola – è più una fotografia immobile all’interno della ciclicità del tempo. Quando incontra Ingrid, interpretata da Vicky Krieps, pensa di aver finalmente capito di che cosa ha bisogno: qualcuno da amare, qualcuno a cui affidarsi; qualcuno che, per una volta, sia davvero interessato a lei. Anche Ingrid, però, finisce per diventare l’ennesimo, disarmante interrogativo. Chi è? Che cosa le può offrire? Il suo è davvero amore? Sofia affronta diverse fasi e in questo senso sì, cresce. Riconosce la fragilità della madre, accetta la sua rabbia, la affronta; impara ad ascoltarsi – o almeno, ecco, a non ignorare ciò che prova. Nei momenti di solitudine, quando va al mare e sta in spiaggia, sembra raccogliersi su se stessa, come un riccio. Nell’antropologia, Sofia cerca una spiegazione: schemi che si ripetono, che in qualche modo possono suggerirle che cosa succederà a breve. La notte studia, guarda video; rimane come in attesa. Poi, di colpo, scatta. La sua frustrazione si trasforma in una palla roventa di ira. Guarda la madre e vede la persona che è diventata negli anni. Prova a riavvicinarsi a suo padre, a sentire il suo punto di vista. Ma, ancora una volta, trova una porta chiusa. “Hot Milk” funziona per le sue contraddizioni evidenti: la fisicità di Sofia e quella di sua madre; i colori chiari dell’estate e il miscuglio di sentimenti negativi; la sensualità di Ingrid, il suo mistero, e la tragedia continua della malattia. Le persone, in “Hot Milk”, sono come delle piccole isole. E non è solo un modo di dire. Quello che Sofia intraprende, anche senza muoversi, anche senza cedere granché all’esterno, è una sorta di viaggio: una spirale discendente che la porta dalla superficialità della vita di ogni giorno, con i suoi rituali quotidiani , alla visceralità intensissima dei sentimenti. Chi è davvero ferma al suo posto, incapace tanto di andare avanti quanto di tornare indietro, non è Rose, ma è proprio Sofia, che di notte sogna di essere costretta su una sedia a rotelle in fondo al mare. Alla fine “Hot Milk”, disponibile dal 22 agosto su MUBI, arriva a un punto di rottura profondo e sconvolgente. Non vi diremo quale per non rovinarvi la sorpresa. Ma c’è un crescendo riconoscibile nella tensione e nella velocità del racconto. C’è un confronto, e questo confronto diventa centrale. La crescita che ci si aspetta in un coming of age, e qui torniamo al discorso iniziale, è più contenuta e concentrata in “Hot Milk”. Sembra più un’istantanea. Che possiamo guardare, riguardare e guardare ancora. Cambiando prospettiva e luce. Lenkiewicz viene dal teatro e ha costruito il suo film intorno ai confronti a due, quando i personaggi sono lasciati da soli e possono finalmente dirsi tutto ciò che pensano. Ciò non significa che l’ambientazione passi in secondo piano o che non rivesta un qualche ruolo all’interno del racconto. Significa, però, che la cosa più importante sono le facce, sono gli attori, è la loro espressività. E quanto è brava Emma Mackey nel piegarsi, talvolta letteralmente, alle necessità della storia e, soprattutto, della sua Sofia.

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“Hot Milk”, l’istantanea di una vita che non si muove

Gianmaria Tammaro