Un’alternativa all’overtourism? Si chiama turismo delle radici

Ormai il turismo è associato a lunghe file di persone davanti alle attrazioni, ingorghi nei vicoli dei centri storici, sentieri di montagna presi d’assalto. I luoghi perdono il loro valore emotivo per trasformarsi in timbri sul passaporto e storie di Instagram. Ma c’è un turismo diverso, sostenibile, fatto di legami familiari e piccoli borghi. Si chiama “turismo delle radici” ed è il ritorno dei nipoti o dei figli degli emigranti nel Paese d’origine dell’ascendente. In Toscana ci sono due realtà che si occupano di organizzare questi viaggi: Tuscan Roots, all’interno del progetto PNRR Italea, e l’Unione comuni Garfagnana, che dai primi anni Duemila lavora per far conoscere la regione ai figli dei suoi cittadini espatriati. Entrambe sono d’accordo su una cosa: il sorriso di chi conosce per la prima volta le sue origini è impagabile. Turismo delle radici: la magia di ritornare Ma cos’è da un punto di vista tecnico il turismo delle radici? “Niente di meno che un altro modo di esplorare i luoghi, all’insegna della sostenibilità” spiega Pasquale Iervolino, presidente della cooperativa Tuscan Roots. “Trattandosi del ritorno dei discendenti nel luogo di nascita degli avi, è quasi sempre un turismo che si rivolge ai piccoli borghi, spesso dimenticati dalle grandi masse di visitatori. Chi affronta questo tipo di viaggio dà valore a ogni singolo panorama, perché qualsiasi scorcio può nascondere un ricordo prezioso. Per questo mi piace dire che si tratta di un’alternativa all’overtourism”. La cooperativa Tuscan Roots nasce da un’iniziativa di Federalberghi Toscana e si struttura come una sorta di agenzia di viaggio dei ricordi. “Chi si rivolge a noi – ci illustra Anna Duchini, Project Manager della realtà – può richiedere ai nostri genealogisti la ricostruzione del proprio albero genealogico. A quel punto, tramite una collaborazione con albergatori e varie entità locali, organizziamo l’itinerario personalizzato per ognuno. Ed è sempre un’emozione vedere realizzati i loro sogni”. Secondo Anna Duchini, ciò che spinge i viaggiatori a intraprendere questo percorso è la nostalgia del ricordo. “Vogliono vedere con i loro occhi i luoghi di cui parlava loro nonno, quei posti magici sulle montagne che riempivano le loro favole da bambini. Una volta – sorride - abbiamo organizzato un viaggio a una signora brasiliana che voleva vedere i luoghi dell’eccidio nazista dove morì suo zio. A me sembrava una cosa strana, quasi macabra, ma poi ho capito che per lei era come ricongiungersi a una parte del suo passato collettivo dimenticata. Mi viene in mente ‘Lucca’, una poesia di Ungaretti che esprime al meglio questo sentimento: ‘A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia madre/ ci parlava di questi posti. / La mia infanzia ne fu tutta meravigliata”. La Garfagnana, terra di partenze e di ritorni In Toscana, una delle zone che ha subito maggiormente il fenomeno emigratorio è la Garfagnana. Situata in provincia di Lucca, la regione è caratterizzata da alte montagne e valli incontaminate. “Si stima – spiega Raffaella Mariani, presidente dell’Unione comuni Garfagnana - che tra il 1800 e fino a pochi decenni fa, tra le 70.000 e le 100.000 persone abbiano abbandonato l’area per trasferirsi altrove”. Spinti dalla voglia, e un po’ dalla necessità, di riconnettersi con i garfagnini espatriati, nel 2009 l’Unione comuni ha fondato Parco Appennino nel Mondo, con lo scopo di “riallacciare i legami – ci illustra Mariani - tra il territorio dell’Appennino tosco-emiliano e le migliaia di persone che sono emigrate in tutti i paesi del mondo partendo proprio dai nostri borghi e dalle nostre montagne”. Il progetto di Parco Appennino nel Mondo è partito coinvolgendo dei gruppi di giovani laureati della zona che, attraverso un approfondito lavoro di ricerca archivistica, hanno ricostruito la storia e la discendenza dei migranti lucchesi. “Questo ha permesso – interviene Mariani – di recuperare i contatti e organizzare iniziative che hanno reso il nostro progetto un baluardo del turismo delle radici”. Tra questi progetti, una sorta di “Erasmus” per i ragazzi latinoamericani, nipoti e pronipoti di vecchi garfagnini, e il conferimento della cittadinanza affettiva. “La cittadinanza affettiva – ci dice Mariani – è un riconoscimento che la nostra associazione dà agli uomini e alle donne che vivono in aree distanti dall’Appennino, ma che conservano ancora oggi un forte legame affettivo con il territorio d’origine. Famiglie emigrate per motivi lavorativi o familiari che si sono distinte altrove, ma che conservano le loro radici qui”. Cosa spinge, però, una persona ad affrontare un viaggio, magari di diverse ore, per raggiungere un paesino sperduto tra i monti toscani? “Secondo me – sorride Raffaella – è il bisogno di riconnettersi con il proprio passato. Ho visto ragazzini piangere per aver visitato la chiesa dove si sono sposati i loro nonni o signore distinte che impazzivano di gioia quando riconoscevano una particolare strada che popolava i racconti delle loro madri. Ho conosciuto persone che hanno affrontato ore di aereo e di nave solo per vedere con i loro occhi il panorama raffigurato in una vecchia foto impolverata. Questo tipo di viaggio ti mette davanti la persona che sei realmente”. Ciò che c’è di prezioso nel lavoro di Parco Appennino nel Mondo è il valore che conferisce alla migrazione. “Oggi – spiega Mariani – l’emigrato viene visto con diffidenza. Noi festeggiamo ogni anno, invece, la festa dell’emigrato e dell’emigrazione. Siamo una terra che ha visto andare via i suoi figli, siamo una terra che ne ha accolti di nuovi e che ne ha visti ritornare altrettanti. Vorrei che le persone imparassero di più la tolleranza, intanto le nostre campane suonano a festa ogni volta che qualcuno sceglie la Garfagnana come posto a cui tornare”

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Un’alternativa all’overtourism? Si chiama turismo delle radici

Benedetta Macchini