Scultura, performance, spazio: alla scoperta di Remo Salvadori

L’estate milanese offre l’opportunità di scoprire, o riscoprire, uno dei maestri dell’Arte Contemporanea: Remo Salvadori. L’artista, tra i protagonisti della sua generazione, nato a Cerreto Guidi in provincia di Firenze nel 1947, rappresenta una sorta di anello di congiunzione tra l’Arte Povera e le istanze artistiche a essa successive. L’antologica che lo riguarda, in corso in parte a Palazzo Reale e - in parte - al Museo del Novecento e nella Chiesa di San Gottardo in Corte, è una mostra diffusa, che consente di apprezzarne da vicino il suo lavoro, le sue numerose opere, che abitano lo spazio, lo conquistano, adattandosi alle dimensioni anche importanti, per esempio, proprio di Palazzo Reale. Milanese d’adozione - vive nel capoluogo lombardo dal 1972 - Salvadori ci invita a intraprendere un percorso pensato per tutti, allestito fino al 14 settembre. Ne abbiamo parlato con Elena Tettamanti, curatrice della mostra Per quale tipo di allestimento avete optato? Intanto, Remo Salvadori, finalmente ha una grande antologica a Milano, città sua d’adozione, perché è nato a Cerreto Guidi, in Toscana, ma già dal 1972 lui risiede a Milano; quindi, è un milanese d’adozione. Questa grande mostra è stata pensata non in ordine cronologico, non monografico, ma per temi, per i temi più significativi che Remo Salvadori affronta nel suo lavoro. Quindi, troveremo sette o otto temi a lui cari, che vanno dal Continuo, infinito presente al "No' si volta chi a stella è fisso", agli stessi Verticali, alle Tazze, a Nel momento. L’invito è a entrare in queste stanze come entrando nel pensiero di Remo Salvadori. In queste sale l’opera di Salvadori si rivela nel momento del suo farsi, è un invito a partecipare, poiché la partecipazione è fondamentale nel lavoro di questo artista. Il suo lavoro è basato sostanzialmente sulla scultura, sulle performance e sul rapporto con lo spazio. La mostra è un progetto espositivo, abbiamo iniziato il 2 di luglio, inaugurando – nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale e nella Sala del Piccolo Lucernaio – sei opere, di cui due al Museo del Novecento e questo è un ulteriore momento, questa è proprio la grande mostra antologica, la più grande che sia mai stata allestita sulle opere di Remo Salvadori. In questa esposizione possiamo vedere proprio come le opere di Remo Salvadori si trasformano a seconda dello spazio e assumono delle caratteristiche diverse e questo è anche molto importante, una caratteristica di malleabilità dell’opera. Che posto occupa, Remo Salvadori, nella Storia dell’Arte? Remo Salvadori si colloca nella fase successiva l’Arte Concettuale e l’Arte Povera. Non ha aderito – anche se gli è stato chiesto da Achille Bonito – al gruppo della Transavanguardia. Lui non si è sentito affine a quella corrente, quindi, è post Arte Povera – come dicevo - e Arte Concettuale e anticipa le istanze seguenti. Qual è il senso profondo di questa esposizione? Il senso profondo è proprio di partecipare, di entrare nel pensiero, nell’opera di Remo Salvadori e di essere coinvolti proprio in prima persone e a dialogare con questi messaggi, messaggi che lui trasmette. Al termine del percorso espositivo avremo davvero capito chi è questo artista? Assolutamente sì, questo è il nostro obiettivo. Nella mostra non ci sono didascalie, ma noi abbiamo una brochure, quindi, il visitatore troverà anche, ovviamente, una chiave di lettura importante per relazionarsi con le opere. Remo Salvadori lavora molto come in una sorta di cantiere. Lui chiama persone che non sono solamente storici dell’Arte ma architetti, filosofi, a partecipare a questo processo creativo. Lo è stato anche con il catalogo, che noi presenteremo qui a Palazzo Reale il 9 di settembre, dove abbiamo chiamato 33 autori a parlare di vari temi, cari a Remo Salvadori. Quindi, è proprio la sua idea di coinvolgere tutte le persone in una sorta di cantiere. Lo fa con i giovani studenti, lo fa con tutti, anche con noi curatrici, perché Remo non è perentorio, non ha delle idee precise ma è sempre in dialogo con noi e cambia anche idea; c’è sempre un dialogo che si può trasformare in qualcosa di diverso. Possiamo cercare e provare a trovare la nostra idea Arte, nelle opere di Salvadori? Sì, perché chiunque abbia lavorato qui, a questo progetto, a partire da noi curatrici, è chiamato a partecipare al progetto, a entrare nell’opera, che è quello che a lui interessa; è una scoperta continua, in divenire. Se l’ordine delle opere in esposizione qui fosse un altro, cambierebbe il senso della mostra? Lo spazio per lui è fondamentale, quindi, queste opere sono fatte, soppesate, pensate, per lo spazio, per queste stanze. Però, probabilmente, se dovessimo cambiare e rivoluzionare l’impostazione della mostra, si avrebbero altri tipi di pensieri, di assonanze totalmente diverse, come è accaduto per No' si volta chi a stella è fisso, che da una stanza è stata portata in un’altra e ha assunto una caratteristica diversa. Le opere I Verticali, per esempio, sono amici suoi o committenti con cui lui interagisce, costruisce queste opere proprio con loro. Il Verticale è, sostanzialmente, l’abbraccio e il filo che lo circonda è la circostanza. Nella parte superiore si hanno varie tipologie: l’acqua, il legno, insomma, varie tipologie che Salvadori cerca di affrontare con la committenza. Perché si dovrebbe visitare questa esposizione? Perché da questa mostra si esce con una grande emozione. Antonella Soldaini, curatrice della mostra Che sala è, quella nella quale ci troviamo ora? Siamo in una delle sale del piano nobile di Palazzo Reale, che affaccia sulla Piazza del Duomo, dove sono state istallate delle opere a muro, che hanno tutte lo stesso titolo Il germoglio. È un tipo di lavoro, la forma del germoglio, che nasce dall’incrocio di diversi cerchi ed è germoglio perché Remo Salvadori pone attenzione a questo elemento che è un elemento di nascita, quindi di evoluzione. C’è questa idea di qualcosa che inizia un percorso vitale che poi, inevitabilmente, si esaurirà. Tutto il linguaggio di Remo Salvadori si basa su questa circolarità delle cose, della vita e al centro di questa stessa sala, non a caso, c’è una scultura composta da quattro cilindri, che sono completamente riempiti, fino all’orlo, di acqua e, ovviamente, l’acqua è in stretta relazione col germoglio e anche l’idea stessa di un contenitore semplicissimo di acqua. Diamo per scontato questo elemento ma è di una “bellezza incredibile”, come dice l’artista stesso; un bicchiere d’acqua, se lo si osserva astraendoci dalla sua funzione di togliere la sete, ha una bellezza proprio nel suo elemento vitale che solamente l’acqua può avere. Qui, abbiamo a che fare con una rappresentazione simbolica di questa realtà della Natura. Che cosa ci colpisce, di questo artista? Credo che il segreto dell’opera di Remo sia quello di mettere in discussione qualsiasi conoscenza già acquisita. La sua richiesta è che il visitatore perda la sua passività, di fronte a un’opera d’Arte ma in qualche maniera venga sollecitato a dare un riscontro, a dare un riscontro, a creare un rapporto con quello che ha davanti a sé, che non deve essere un rapporto assolutamente soggetto al significato stretto del lavoro. È un rapporto anche molto personale, quindi, dipende da noi quanto siamo disposti a lasciarci un po’ andare di fronte a quello che abbiamo. Questo mettere in discussione il già conosciuto, il già assodato, è una delle cose più importanti che uno può recepire visitando questa mostra. Ci dice di più dell’opera “Continuo, infinito presente”? Si trova nella prima sala ed è un lavoro composto da una serie di cerchi che, a loro volta, sono composti da cavi d’acciaio intrecciati fra di loro e si chiama Continuo, infinito presente. Questo è proprio un concetto che ci vuole spingere a dare attenzione alla temporalità. Il serpente, in qualche maniera, che si mangia la coda, che è un simbolo per eccellenza del tempo che passa e, quindi, in quel caso lì, il soggetto è veramente il tempo. Un’opera che domina la stanza… La cosa interessante è il modo in cui l’artista si è relazionato con questo spazio che ha una sua forza. Spesso gli artisti hanno paura del confronto con architetture troppo caratterizzate, in questo caso, invece, è interessante, perché Remo Salvadori non ha paura, non si mette in contrapposizione ma anzi va incontro, ingloba il suo lavoro con ciò da cui è circondato. Quindi, non ha timore di questa monumentalità, che è rappresentata dalle sale di Palazzo Reale e tutta la mostra si è svolta in questa maniera, c’è un dialogo costante. Per esempio, c’è un’opera che è appoggiata, diciamo così, a dei vetri, che è in relazione anche a quello che si vede fuori, che è questo incredibile Duomo di Milano che da questo punto di vista vediamo sul suo fianco tanto che perde anch’esso un po’ la monumentalità e diventa un tutt’uno con quest’opera di Salvadori. Dove e come si situa, questo artista, nella Storia dell’Arte? Remo Salvadori ha iniziato la sua attività a metà degli anni ’70 del ‘900, quindi, appartiene a quella generazione molto interessante che ha, alle spalle, tutto il movimento americano Minimal, il movimento dell’Arte Concettuale e c’è anche l’Arte Povera, che sono movimenti molto ideologizzati, molto duri, con i quali o ci si allinea, oppure, si cerca un’alternativa. Salvadori appartiene a quella generazione, così come è stato Marco Bagnoli, Luigi Ontani, che hanno voluto trovare una loro strada. Non si sono raggruppati, perché in quel periodo, Celant e Bonito Oliva, per esempio, li raggruppavano sotto delle etichette, per dare loro forza. Quindi, c’erano l’Arte Povera, la Transavanguardia e così via. Loro si sono trovati a cavallo tra queste forti spinte di questi personaggi, però, cercavano qualcosa di diverso. Salvadori racconta spesso che lui è rimasto amico di artisti che appartenevano all’una o all’altra corrente, a questo o a quel movimento, ma la sua storia era diversa e da lì nasce una esigenza di individualità, una ricerca che trova compagni di viaggio ma dal linguaggio fortemente autonomo. Perché dovremmo visitare questa mostra? Non un addetto ai lavori, non uno studente ma una famiglia, magari, dovrebbe decidere di entrare qui dentro? Sappiamo, tra l’altro, che questa è una mostra gratuita. Se si entra in questa mostra si viene a conoscenza di un linguaggio che, forse, per gli storici dell’Arte è qualcosa di comune ma per una famiglia o per qualcuno che non ha dimestichezza con il contemporaneo, diventa un approccio sorprendente. Ci sono, qui dentro, a prescindere dalla storia dell’artista, ci sono delle possibilità di entrare in contatto con questo linguaggio e pensi per le giovani generazioni quanto sia importante. Se uno non sa niente, pensa alla Scultura che è una base con tutti i suoi diversi elementi. Invece, qui non c’è, c’è l’acqua in movimento, ci sono fontane, è tutta un’altra dimensione. Quindi, è una iniziazione a una sensibilità contemporanea.

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