Amélie Nothomb: “AI e ChatGPT? Io consumo meno, non ho neanche il pc”

Intervistare Amélie Nothomb sul suo ultimo libro significa arrancare dietro a una corsa creativa incessante. Pubblica un romanzo all’anno dal lontano 1992, quando esordì “timida e giovinetta” con “Igiene dell’assassino”, una rivelazione che colse impreparata anche la critica. Mentre presenta in Sicilia la sua ultima opera, Nothomb è già pronta per l’uscita della successiva, prevista per il 20 di agosto in Francia, ma per una forma di scaramanzia non parla di ciò che non è stato ancora pubblicato: “È una delle mie regole”, dice. I segreti del suo successo e della sua prolificità sono noti: ogni mattina si sveglia all’alba per dedicarsi al lavoro della scrittura con disciplina e dedizione. Lo confessa dal vivo ma anche tra le pagine de “L’impossibile ritorno” , dove racconta di quando, nonostante il jet-lag, nel suo albergo di Kyoto si alza dal futon che è ancora buio e stremata si mette a lavoro. Sì, Amélie Nothomb torna in Giappone, dopo undici anni di assenza per scrivere un nuovo capitolo, il quarto, della sua saga nipponica, che l’ha consacrata a livello internazionale. Nel centinaio di pagine - ci ha abituato alla sintesi - ripercorre tutte le tappe: i primi cinque anni di vita passati nel Paese del Sol Levante insieme alla sua famiglia per via del padre diplomatico; poi la partenza dolorosa alla volta della Cina, il primo distacco da quello che rimarrà eternamente per lei e per sua sorella Juliette il luogo ideale, la terra della felicità; a ventuno anni la decisione di trasferirsi a Tokyo, una catastrofe che ricorderà bene chi ha letto “Stupore e tremori”, forse il libro più emblematico della sua trentennale carriera di scrittrice fuori dagli schemi e dai generi; poi un breve soggiorno nel 2012. Ne “L’impossibile ritorno” ci porta con lei e la sua amica Pep in una traversata che è una lotta serrata con la nostalgia e un grande esercizio di ironia, alla riscoperta di una lingua "fantasma", sotterrata da qualche parte dentro di lei e che riaffiora in modo sorprendente e spiazzante, alla ricerca dei sapori e degli odori che non ha mai dimenticato. Questo ritorno a casa è un giallo, senza assassino. Le domande sarebbero troppe, proviamo a condensarle. Per il nostro dialogo ci apre la porta della sua stanza d’albergo a Taormina: “Dal mio balcone c’è una vista mozzafiato, forse la più bella che abbia mai avuto. Dobbiamo approfittarne”, dice entusiasta. È come sempre, nonostante il caldo dell’estate siciliana, vestita di nero: “Stavolta sul mio abito ci sono piccoli dettagli colorati, per me il nero, in ogni caso, non è un colore sinistro, ma è emblematico della mia vita e la massima espressione dell’eleganza". Mi sembra che lei stia attraversando una fase di “autoanalisi”: in “Psicopompo”, pubblicato nel 2024, ha scavato nelle memorie più dolorose, raccontando la violenza sessuale subita da bambina e il suo dialogo con i morti, e ora il ritorno in Giappone, che è il luogo emblematico della sua vita e il posto che più di tutti è legato al rapporto con suo padre? Lo scrittore che scrive non sa davvero cosa sta facendo. Fa del suo meglio. Beh, posso parlare solo per me, ma quando faccio quello che faccio, ascolto il mio suono, lo modulo e creo la mia musica al meglio delle mie possibilità. Per quanto riguarda la fase in cui mi trovo al momento in cui scrivo, non ne ho idea. Lei però probabilmente ha ragione, devo essere in una fase decisamente psicoanalitica senza rendermene conto. Nel 2023 quando è tornata in Giappone dopo undici anni e in un momento della sua vita in cui non è più incline ai lunghi viaggi e preferisce starsene a Parigi. La sua amica l’ha dovuta praticamente convincere. Come è cambiato il Paese e come è cambiato il mondo? Il Giappone è sicuramente cambiato a causa del disastro di Fukushima: l'incidente nucleare lo ha stravolto e ha innescato una vera e propria crisi di fiducia tra i giapponesi nel loro governo. Il Giappone è rimasto profondamente inquieto. Per quanto riguarda il resto del mondo, vediamo come le cose stiano peggiorando sempre di più. Ci sono sempre più guerre ovunque. Si può dire con certezza che il mondo sia diventato un posto molto più violento e molto più sfiduciato dall'ultima volta che ho affrontato quel lungo viaggio. Quando ho iniziato a leggere i libri, sono rimasta colpita da una frase che ha scritto per contestualizzare il suo ritorno in Giappone. “Da allora erano passati undici anni, e non anni da poco. C’era stata la pandemia, poi era scoppiata la guerra in Ucraina. Era morto mio padre. Senza che me ne accorgessi, queste vicissitudini avevano scavato in me una sofferenza che non avevo previsto”. Ne risente anche la sua scrittura del fattore guerra, ad esempio? Certamente ha un impatto su di me, ma non so in che termini. Penso che quando sarò molto più vecchia di adesso, e rileggerò ciò che ho scritto nel corso degli anni, credo che a quel punto sarò in grado di vedere l'impatto della guerra su ciò che scrivo. Vale ancora la frase di Hölderlin che mi declamò poco più di un anno fa quando le posi le stessa domanda? È così vera. “Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva'. Significa che più è forte il pericolo, più ci sono possibilità di salvarsi. La letteratura indica una possibilità di speranza. Vale a dire, nelle crisi peggiori, grazie ad essa, troviamo ragioni per sperare. E questo è vero in letteratura, ma non solo. In tempi come questi ha senso leggere e scrivere Ci incontriamo qui a Taormina in un festival che ha scelto come tema il confine. Cosa significa per lei? È un argomento affascinante. Quando scrivo, cerco sempre di posizionarmi esattamente al confine tra il dicibile e l’indicibile. Penso che la cosa più difficile per uno scrittore sia essere sempre alla giusta distanza da ciò che sta scrivendo. Quindi, trovare il confine esatto tra ciò che dovrebbe essere detto e ciò che non dovrebbe essere detto è cruciale. Scrivere è tutta una questione di confini. Lei è la figlia di un ambasciatore belga ed ha girato il mondo, in Europa è approdata solo a 17 anni dopo aver vissuto in tanti Paesi diversi. Si parla molto di Unione Europea e del suo futuro, ma forse dovremmo interpellare in questo dibattito più gli scrittori e gli intellettuali che i burocrati. Quali sono le sue speranze? L'Europa dovrebbe davvero diventare ciò per cui è stata creata, ovvero un'area di pace. Sembra che io stia affermando una verità assoluta, ma non è affatto quello che sta succedendo. La pace non è affatto garantita in Europa. L’Ucraina lo dimostra. La guerra sta diventando parte dell’Europa. È assolutamente terrificante. Lasciamo che l'Europa compia semplicemente la sua missione di pace. Il suo viaggio da psicopompo è finito o continua? Non è affatto finito. La gente continua a morire, continuo a perdere amici e persone care. Quindi, sto sperimentando sempre di più la mia dimensione psicopompa. Parliamo di una condizione molto più diffusa di quanto possiamo credere e che non va confusa con quella dei medium che hanno accesso a tutti i defunti. Io mi limito a continuare il dialogo interrotto dalla fine della vita terrena con chi ho amato. Lei non ha il cellulare, scrive a mano e odia i computer. Rispetto all’ultima volta che ci siamo viste nel 2024 l’intelligenza artificiale è ancora più diffusa e in ascesa, si sente a suo agio? Chiaramente, quel mondo non è il mio. Ma mi sento ancora più a mio agio perché me ne tengo ben lontana. Sono però completamente sopraffatta da questa situazione, ma mi sta bene esserlo, subirla. E poi, a torto o a ragione, non ho davvero paura dell'intelligenza artificiale per un motivo molto semplice. Consumo molta meno energia dell'intelligenza artificiale, e credo che continuerà ad essere così. Finché Amélie Nothomb consumerà molta meno energia dell'intelligenza artificiale, penso di avere ancora un futuro.

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Amélie Nothomb: “AI e ChatGPT? Io consumo meno, non ho neanche il pc”

Ludovica Passeri