Giovanni Robertini: “Senza la trap non sapremmo nulla dei nostri figli”

"Quando tutti la pensano nello stesso modo, nessuno in realtà sta pensando molto" diceva il giornalista statunitense Walter Lippmann, per intenderci lo stesso che si inventò anche la definizione “Guerra fredda”. Parole che dovrebbero risuonare come un allarme ogni volta che c’è troppo - troppo - consenso sugli argomenti di conversazione delle cene del sabato sera. “Tutti” in questo caso sono gli adulti, i saggi: un pensiero unico e imperante che unisce early Millennial fino ai Boomer. Il collante ideologico è la trap: il sottogenere musicale del rap, in cui trionfano sintetizzatori e brutalismo e di cui Sfera Ebbasta e Tony Effe sono tra i principali interpreti italiani, riceve condanne trasversali, perché è violento, misogino, diseducativo, superficiale, in un aggettivo “sbagliato” come alcuni dei suoi cantori, che spesso sono saliti agli onori delle cronache non per nobili motivi. Al massimo si può essere in disaccordo sull’opportunità di censurarlo: ci sono gli intransigenti a favore della linea dura e dall’altra parte i liberali; i primi sostengono la messa al bando, i secondi si ergono a paladini della difesa della libertà di espressione “nonostante tutto”, ma non cambia la sostanza del giudizio inappellabile. Proprio per questo, mentre scatta il già citato allarme del pensiero conformista e la sirena "ulula", sarebbe quasi il caso di farsi venire il dubbio: se non fosse proprio tutto da buttare? E se ci stessimo facendo sfuggire una preziosa occasione di riflessione sul mondo di oggi e sulle nuove generazioni nella foga di prendere le distanze dalla diabolica trap? Un saggio edito da nottetempo “Maxi-rissa. I diari della trap” di Alberto Piccinini e Giovanni Robertini, giornalisti e critici musicali illuminati e illuminanti, cerca di fare ordine e di rispondere alla domanda delle domande: “Come fai ad ascoltare ’sta merda?”. Abbiamo chiesto a Robertini perché dovrebbe interessarci capire qualcosa di più della trap, il fenomeno culturale e di costume a cui forse non perdoniamo, citando gli autori, “di averci fatto invecchiare di colpo”. Che risposta ti sei dato tu a questo interrogativo? Per quanto eccessiva e piena di iperboli, la trap è un racconto della realtà. Spesso questo racconto a noi adulti non piace, perché non ha una morale e un'etica, non ha nulla di quello a cui ci hanno abituato i cantautori. È un racconto prevalentemente a tinte nere di un mondo in cui i valori sono quelli del denaro, dell'individualismo, del farcela a tutti i costi, del successo, del mettersi in mostra. Che ci piaccia o no in questa narrazione si ritrovano, evidentemente. Rientra in una dinamica ciclica di dialettica tra generazioni: i genitori che non capiscono la musica, e quindi il mondo, che piace ai figli, proprio come negli anni Sessanta e così via? È diverso perché l’intento di quella che era la musica protestataria, o di ribellione, dagli anni ‘60-70, fino ad arrivare al grunge degli anni ‘90, era di denunciare quello che non funzionava nella società: la musica al tempo offriva una vaporosissima speranza di cambiarla questa società, di cambiare il mondo. Questo era il punk, questi erano i Combat rock, i Clash. Con la trap non c'è niente di tutto questo, la trap vuole essere una fotografia della realtà. Basta leggere una qualsiasi intervista a un qualsiasi rapper per trovare delle dichiarazioni di astensione al voto. E questo vale anche per i più illuminati come Marrakesh che dovrebbe essere il paradiso degli intellettuali del genere, l'intellettuale del rap e della trap. Ciò non toglie che comunque abbia un grande valore politico, anche se non si occupa di politica. A proposito di politica, come analizzare l'approccio alla questione dei rappresentanti della Cosa pubblica? La trap è lo spauracchio della destra, un detonatore dell'incubo securitario del controllo. I trapper sono i nemici: “Eccoli, finalmente li abbiamo trovati i colpevoli”, questo è l’approccio. Basta guardare i talk show di alcune reti, che dedicano segmenti interi delle loro trasmissioni ai trapper associandoli alle baby gang, tra l'altro facendo degli ottimi ascolti. Poi se sono trapper di seconda generazione non ne parliamo: scatta subito il “rimandiamoli a casa loro”. E poi c’è la sinistra che in tutto questo è spiazzata perché non si è data, non si vuole dare gli strumenti per leggere questo fenomeno in un altro modo. Ecco questo librino è un umile tentativo di fornire questi strumenti. La questione della rappresentazione delle donne nei testi della trap è quella che più preoccupa. Molti testi di rapper e trapper contengono degli elementi di misoginia e di patriarcato, detto questo sono gli stessi valori che hanno ereditato dai loro genitori, non sono valori nuovi. Loro si limitano a rivomitarli, o meglio ce li rivomitano in faccia, ma sono pur sempre i valori che ci sono sempre stati e per cui nessuno ha combattuto fino in fondo. Ecco, forse spiattellandoceli e rendendoli più espliciti sono anche più facili da combattere. Pensiamo per un momento a uno scenario alternativo: se non ci fosse la trap, se queste criticità non fossero emerse, predicheremmo nel deserto. Al contrario si sta aprendo un reale confronto, quindi è sano che la sinistra si metta a discutere con l’universo della trap e inviti i trapper a rispondere dei loro testi, dei loro versi. Il caso di Tony Effe è emblematico, ma come lui altri: ha detto la sua e ha corretto il tiro. Questi artisti sono passivi. Non dicono: noi siamo misogini, non ci rompete le scatole, fine del discorso. Io penso che abbiano dimostrato di mettersi in discussione. Qualcuno ha detto “cambierò”, altri vanno dritti per la loro strada ribadendo che l’obiettivo è fare una fotografia di quello che vedono. In tutti i casi argomentano, forniscono delle motivazioni. È qui che la sinistra può entrare nel dibattito, certo non con la sterile censura, perché la censura significa proprio tagliare ogni ponte di comunicazione con quel mondo. E che ci piaccia o no con o senza la trap la misoginia e il sessismo continuerebbero a esistere. Perché dovremmo metterci in ascolto di questo mondo più di quanto stiamo facendo? Ci sono degli aspetti che avvicinano questo genere al punk, a partire dall’immediatezza che c’è nel produrre questo tipo di musica: ti basta un computer a casa, ti scarichi le basi, ti procuri un microfono, ti registri, metti insieme il tuo pezzo, lo carichi su youtube. È in sostanza il concetto di "DIY" del punk che ti permetteva senza saper suonare, con solo due accordi, di andare su un palco e fare un concerto. Ecco questa immediatezza fa sì che abbia voce una generazione che altrimenti oggi non l'avrebbe, perché non scrive, legge poco, non compra i giornali, non milita. Se non ci fosse la musica, questa musica, non avremmo nessun contatto con i giovani, se non quello genitori-figli o studenti-insegnanti, con un filtro molto diverso e parziale. Invece questi ragazzi che fanno i dischi, come Baby Gang, Simba La Rue, ma anche Shiva, Paki, hanno poco più di 20 anni e bene o male stanno gettando un ponte di comunicazione tra di loro, ma anche col mondo degli adulti, perché ti raccontano delle storie da cui senza questo genere tu saresti rimasto completamente all'oscuro. La vita sarebbe andata avanti a Rozzano come nel centro di Milano nella loro totale invisibilità. C’è chi ha scritto anche su Sky Insider “Leggiamoli nelle scuole questi testi trap per farli analizzare criticamente”, che ne pensi? Sì, leggiamoli, perché, no? Senza dimenticarci però che la trap è “contro” ed è già abbastanza istituzionalizzata dal mercato che ne fa merce da classifica. A proposito delle scuole, non facciamo una morale e un'etica della trap, semplicemente proviamo ad ascoltare, sentiamo cosa ci stanno dicendo. Nelle classi funzionerebbe se l'ascolto fosse veramente duplice: sono gli insegnanti a dover parlare, ma soprattutto i ragazzi che devono spiegare il significato all'insegnante. Dal tuo punto di vista di critico musicale, se dovessi scegliere un pezzo manifesto della trap, quale sceglieresti fra tutti? C'è una rima di un pezzo di Tony Effe che secondo me inconsapevolmente nella maniera più eccessiva, più dark, iperbolica, come abbiamo già detto, riassume al meglio quello che è la trap: è una rima di un pezzo di Tony Effe che si chiama MIU MIU che dice “mi piace come sei fatta, naturale ma rifatta”. Ecco esattamente la trap è quella roba lì, il mondo di oggi è quella roba lì. Oggi si vive attraverso il filtro dei social: un mondo che è “naturale ma rifatto”. La trap mette in evidenza questo cortocircuito che possiamo criticare, analizzare senza per forza elevarlo a manifesto. Ecco non c'è un manifesto della trap e credo non ci sarà mai. Come valuti la qualità artistica di questi pezzi? Allora nella scrittura ci sono alcuni che scrivono, secondo me, incredibilmente bene, come Rkomi, lo stesso Baby Gang. Hanno un livello di scrittura altissimo per avere poco più di 20 anni. All’età loro io scrivevo degli orrendi temini e riassunti, mentre questi ragazzi fanno degli album con dei pezzi, con delle rime, con delle figure retoriche che sono abbastanza straordinarie se si considera il dettaglio anagrafico e anche il contesto sociale, scolastico ed educativo da cui provengono. A proposito di Rkomi, qualche giorno fa è stato “spottato”, come si dice in gergo, cioè "beccato" sul treno mentre leggeva un tomo di 600 pagine: “Il selvaggio” di Guillermo Arriaga… Appunto. Gli esordi di Rkomi sono da trapper esattamente, poi ha sentito l’esigenza come altri di diventare qualcos'altro. Molti di loro crescono anche artisticamente, fanno Sanremo, fanno il pop, lo chiamano urban, però la radice e soprattutto la scrittura in rima, il flusso di coscienza sono profondamente rap e trap, cioè il mezzo che tu usi all'inizio per presentarti quando non hai i mezzi. Rkomi ha il dono della scrittura per immagini. Tu peraltro hai scritto anche un noir a tema trap. Hai subito il fascino anche narrativo di questo mondo? Mi piacciono i mondi che vengono snobbati, che non vengono raccontati. Non capisco quelli che dicono che la trap è una roba da ragazzini o che fa tutta schifo. Sono stato mosso dalla curiosità perché è un fenomeno enorme. La sentiamo ovunque, in metropolitana, nei bar, per strada. Ci sarà dietro qualcosa, no? Ci sono tanti ragazzi con dei codici tutti loro e quindi difficili da capire, un mondo chiuso, sicuramente modaiolo, sicuramente effimero, sicuramente sbagliato, ma interessante.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Giovanni Robertini: “Senza la trap non sapremmo nulla dei nostri figli”

Ludovica Passeri