Mostro di Firenze, gli aggiornamenti sul caso arrivano da un fumetto

Decenni di indagini, due esecutori materiali condannati, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, e decine di parenti ancora alla ricerca di giustizia e verità per le vittime. 16 persone, 8 coppie, uccise tra il 1968 e il 1984 nella campagna fiorentina, sorprese in momenti di intimità, assassinate sotto ai colpi di una Beretta calibro 22 . In molti casi, alle donne, furono praticate mutilazioni genitali. Ma alla domanda dei familiari – e di moltissimi italiani – i processi non sono riusciti a fornire una risposta esaustiva: chi fosse – o chi fossero – il Mostro di Firenze è ancora un mistero. “È una storia piena di dettagli”, ricorda un poliziotto mentre parcheggia di fronte alla Questura. È in ansia per le indagini su “Cicci” – così in Toscana chiamano grottescamente il serial killer, “Cicci, il mostro di Scandicci” – condotte di nascosto a molti colleghi. Ed è di fretta, perché non vuole perdere la laurea della figlia. “Sono davvero troppi i dettagli di questo caso”, ripete anche Marco Perugini, il fumettista che quel poliziotto l’ha disegnato e lo ha sfruttato come mezzo per “raccontare le incongruenze più macroscopiche delle indagini sul Mostro e le nuove piste, con tutte le loro evidenze che si stanno delineando”. Lo ha fatto in una graphic novel poliziesca, dal titolo “Il Mostro di Firenze, al di sopra di ogni sospetto”, edita da Green Moon, che ripercorre, anche per chi non si è mai imbattuto nel caso, “l’ossessione” dell’autore per “il processo, per le scelte talvolta incomprensibili fatte dai magistrati con gli indagati e per tutte le novità emerse anche a decenni dal primo duplice omicidio”. Il "Rosso del Mugello" Qualche novità, in effetti, è arrivata nel 2019, quando una perizia dichiarò che il bossolo della Beretta calibro 22 serie H trovato nel giardino di Pietro Pacciani era artefatto. L’uomo era imputato per tutti i sedici omicidi, in seguito all’annullamento della sentenza d’assoluzione in appello da parte della Cassazione, quando morì nel 1998. Da allora, le piste percorse sono state decine e alcune hanno condotto gli investigatori anche negli Stati Uniti. Ma la più diffusa, nelle campagne vicino a Firenze, è quella del “Rosso del Mugello”: un sospetto, la cui identità non è stata ancora verificata perché mai inserito nella lista della Squadra Anti Mostro, lo stesso uomo che nel 1965 avrebbe rubato, a un’armeria di Borgo San Lorenzo , proprio una Beretta calibro 22. L’arma del Mostro. A seguire e a ritenere credibile la pista, più di altri, è il reporter Paolo Cochi, dalle cui suggestioni nasce la graphic novel di Marco Perugini. “Ho parlato a lungo con Paolo – spiega l’autore – e il suo approccio mi ha sempre convinto. È tutto fondato sul materiale dei processi e sul debunking delle piste senza fondamento. Io ho solo cercato di spiegare con un mezzo pop quello che lui racconta in 500 pagine”. Un fumetto "di genere" Perciò, se l’arte scelta da Perugini è il fumetto, i colori – rigorosamente su toni bianchi e neri – sono quelli del noir più tradizionale. Che attinge più dal cinema che dalla nona arte: split screen, montaggio parallelo e stacchi in asse accompagnano il lettore nella frenetica ricerca di una traccia, un indizio o un colpevole che – e non è uno spoiler – non arriverà mai. “La mia passione principale è il cinema – rivela l’autore – Nelle mie opere tornano sempre i film Elio Petri, Pietro Germi e tantissimi altri autori che hanno usato le loro pellicole per raccontare, se non la verità, un loro punto di vista su argomenti che hanno coinvolto il Paese intero. Loro lo hanno fatto mischiando i fatti alla fiction, e lo stesso intento è stato alla base del mio fumetto”. Nella graphic novel di Perugini le notizie non mancano, ma le tragedie non sono mai spettacolarizzate: i corpi delle vittime non sono mai esposti al gusto perverso dell’horror ma sostituiti, in un’efficace metafora visiva, dai bossoli del mostro. E la narrazione, che scorre sul sottile filo che oscilla tra verità giudiziaria e complottismo, segue intelligentemente le orme di un protagonista imperfetto. “Non ho mai voluto cedere alla pornografia della sofferenza – commenta l’autore – In un fumetto si sarebbe potuto fare di più, spingendo il pedale della morbosità, ma ho tentato di dare credibilità a una teoria fondata sui fatti e non complottista”. La pista del fumetto Di fatti, nelle 112 pagine del fumetto, se ne sciorinano molti. Tutti provenienti dalle ricerche di Paolo Cochi: dalla registrazione del Mostro presente negli archivi dei magistrati, ai bossoli serie H entrati e mai più usciti dalla cancelleria del Tribunale. “I dettagli sono molti, ho setacciato solo i più rilevanti per tracciare la pista. Il possibile colpevole che abbiamo delineato nella graphic novel è stato indagato pochissimo in verità, ma il materiale a suo carico è molto. E ci sarebbero elementi, a partire dal fatto che la confessione di Lotti nel processo ai ‘Compagni di merende’ è poco credibile, per dire che i fatti giudiziari che abbiamo oggi non sono sufficienti a dare spiegazioni a tutto”. Tra le pagine del fumetto, una testimonianza emerge tra le altre: quella di una giovane donna mugellana a cui un uomo, durante un autostop, avrebbe parlato dell’invio di un feticcio di carne di una delle vittime a una magistrata da parte del Mostro di Firenze. E alla testimone, l’uomo lo avrebbe rivelato appena trenta minuti prima dell’uscita della notizia sul notiziario Ansa. Dall’identikit della donna nasce la pista del “Rosso del Mugello”: capelli rossi, lieve deformazione al lato sinistro della bocca, mugellano, sposato con figli. “So che queste piste profumano di complottismo, ma la sensazione che mi ha dato l’intero processo è che le spiegazioni che abbiamo non bastino”. Gli anni '90 Nella mente di chi non ha vissuto il terrore fiorentino degli anni ’70-’80, più che dei suoi crimini, del Mostro resta il ricordo di un processo dalle tinte tragicomiche. Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, i “Compagni di merende”, nelle loro testimonianze hanno condiviso tratti grotteschi della propria quotidianità e sconcertato il pubblico con atteggiamenti violenti e sessisti, quando non apertamente fascisti. Eppure, nel fumetto non c’è traccia delle aule del Tribunale. I dibattimenti e le udienze restano sapientemente in secondo piano e il protagonista sono gli anni ’90. I più importanti, secondo Perugini, per sciogliere l’intricata matassa del Mostro di Firenze: “È il periodo in cui si doveva trovare a tutti i costi un colpevole. Ma sono anni pesanti, gravati dai crimini della mafia e da Tangentopoli: li considero anni di piombo, ma con più paillettes”, sorride. Il poliziotto protagonista della graphic novel lo vive sulla propria pelle: la pressione dei media e la tensione politica costringono la magistratura e la polizia a decisioni rapide, a non muoversi sempre liberamente, a non sbagliare. “I giudici e i pm erano sotto un occhio di bue mediatico in quel momento. Tutti erano costretti a fare bella figura e anche questo, secondo me, ha contribuito a non trovare una verità convincente per il caso del Mostro di Firenze”.

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