La Bulgaria di Gospodinov e quella “saudade” intraducibile

Il mondo è pieno di “malinconie” intraducibili: c’è la saudade brasiliana, così intraducibile da essere entrata a pieno titolo anche nel nostro vocabolario; la Heimweh tedesca, che si associa alla lontananza da casa e dagli affetti; la hüzün turca, inscindibile dalla città di Istanbul e profondamente legata al concetto coranico di perdita, passando per le lingue slave che offrono un ampio spettro di malinconie e nostalgie complesse da decifrare e da rendere linguisticamente. In Bulgaria c’è la tăgà. Potrebbe essere tradotta in modo frettoloso con tormento, rimpianto o appunto malinconia, ma la verità è che non esiste un equivalente semantico. Taga è la nostalgia di cose che non si sono vissute e quindi allo stesso tempo aspirazione e sogno. Una parola molto cara al più grande scrittore bulgaro contemporaneo Georgi Gospodinov che sulla tăgà molto ha scritto e continua a scrivere. Ed è anche per questo la parola preferita della traduttrice e interprete dal bulgaro Giorgia Spadoni, classe ‘96, che ha appena pubblicato con Perrone Editore “A Sofia con Georgi Gospodinov”, una guida letteraria alla capitale bulgara, che è anche una delle città più antiche di Europa. Con lei abbiamo parlato di tăgà, del presente e del passato di questo Paese balcanico orientale che vive una fase storica di grande instabilità, ma soprattutto di letteratura, tra autori acclamati e altri meno conosciuti, che sono freschi di pubblicazione o prossimi all’uscita in Italia. Come è diventata traduttrice dal bulgaro? È stato per caso. Iniziai la scuola di interpreti e traduttori a Forlì studiando francese e russo, ma, alla fine del primo anno, era obbligatoria la terza lingua e la scelta era tra portoghese, slovacco, arabo, giapponese, inglese e bulgaro. Io ero sempre più attratta dalle lingue slave e in aggiunta la mia professoressa di russo in realtà era bulgara. Fu lei a spronarmi a prendere il bulgaro, anche se studiando il russo poteva essere un boomerang: è come studiare contemporaneamente due lingue neolatine, il rischio di confondersi è alto. Il bulgaro, però, non ha i casi a differenza del russo, e questo era allettante, anche se ha un sistema più complesso di verbi. Ho avuto la fortuna di avere una bravissima lettrice, Laska Laskova, che ha organizzato moltissimi eventi e conferenze interessanti con professori e scrittori bulgari. E anche quello più importante della sua vita? Conobbi per la prima volta grazie a lei Gospodinov, quando ancora stentavo a parlare bulgaro. Nel frattempo ho continuato i miei studi e durante un soggiorno Erasmus ho capito che la traduzione letteraria fosse la mia strada, anche se all’università c’era un professore che ci dissuadeva. Ricordo che ci disse al primo giorno: “Se siete qui e avete già l'idea di voler entrare nel mondo della traduzione editoriale, beh affari vostri: è una nicchia, è difficilissimo entrare, fate ancora in tempo a ripensarci. E, se proprio volete farlo, preparatevi un piano B”. Cosa l’ha spinta a non desistere? La passione, il mio essere topo di biblioteca, ma c’è anche da dire che scegliendo il bulgaro sto contribuendo a riempire una lacuna. Siamo solo in due ad essere traduttrici attive dal bulgaro in Italia. L’interesse per questo Paese è cresciuto, però, negli ultimi anni. Un momento di svolta è stato sicuramente l’assegnazione dell’International Booker Prize a Gospodinov nel 2023 con “Cronorifugio”. Da quel momento si è cominciato a muovere qualcosa, è scoppiato l’interesse, non solo per la Bulgaria, dico, ma per tutto l'Est Europa. Perché Gospodinov è riuscito a emergere? È riuscito innanzitutto ad affermarsi in Bulgaria in un momento non particolarmente florido per la letteratura nazionale, in cui gli stessi editori bulgari preferivano pubblicare autori stranieri, un trend che è iniziato con la caduta del regime comunista. Su di lui fu fatta una scommessa, anche perché il suo genere non è tradizionale. E fin da "Romanzo naturale" ha rivelato questa identità. Gospodinov decostruisce e sperimenta, è straordinariamente contemporaneo. Non c’è neanche una definizione giusta, l’unica che mi viene in mente è “postmodernismo”, ma non sarebbe neanche questa corretta. La struttura dei suoi romanzi è innovativa. Soddisfa quella parte di mercato editoriale che è affamato di qualcosa di nuovo, ma è riuscito allo stesso tempo a inserire nei suoi libri tanta Bulgaria, rendendola in qualche modo universale. Un processo che è arrivato al culmine con “Cronorifugio”, in cui immagina che ogni Paese possa fare un referendum per tornare a un periodo preciso del passato. Un libro che ha catturato l’attenzione internazionale non per caso. Gospodinov ha dimostrato che non è un tic solo bulgaro questa ossessione per il passato, il nazionalismo latente e la politica che lo cavalca, né si tratta esclusivamente un fenomeno esteuropeo. L'altro fattore del successo è che quando ha scritto “Cronorifugio” il mondo stava assistendo all'ascesa di Trump. Il suo libro finisce con lo scoppio di una terza guerra mondiale e proprio poco tempo dopo ci sarebbe stata l’invasione su larga scala della Russia in Ucraina. Senza contare che fu pubblicato durante la pandemia di Covid e nel suo libro si parla anche di una malattia. Insomma, scherzando con lui una volta gli ho detto: “Basta scrivere queste cose, perché poi si verificano!”. Ovviamente non c’è una logica dietro questo, ma non possiamo negare che sia riuscito, forse inconsciamente, a fare un'analisi così precisa della contemporaneità da arrivare a predire quello che sarebbe successo. Com’è nata l’idea di un libro su Gospodinov? Dopo il primo incontro, ce ne sono stati altri, in più occasioni sono stata la sua interprete in Italia. Inoltre, seguii anche un suo corso di scrittura creativa da lui tenuto, sebbene non avessi velleità da romanziera. Fu comunque utile per entrare dentro al processo, nella testa dello scrittore. Ci siamo avvicinati in quel momento. Volevo raccontare la sua Sofia, una città a cui è profondamente legato e in cui vive dagli anni Ottanta, anche se è nato a Jambol. È stato molto contento del progetto ed è nato “A Sofia con Georgi Gospodinov”, edito da Perrone. Dentro le opere di Gospodinov come dicevo prima c'è tantissima Bulgaria e tantissimissima Sofia. La sua ossessione per il passato deriva anche dal fatto che è stato testimone di varie vicende storiche, scossoni politici e sociali che ho cercato di restituire nel libro. “A Sofia con Georgi Gospodinov” vuole essere una guida di viaggio alternativa per chi visita questa capitale. Racconto, ad esempio, attraverso i suoi occhi la storia del monumento forse più emblematico della città, quello all’Armata rossa che era stato eretto per riconoscenza ai sovietici dopo la Seconda guerra mondiale e che è stato da sempre oggetto di un dibattito: “ci hanno salvato o occupato?” Questa in estrema sintesi la diatriba. Sta di fatto che questo monumento è stato vandalizzato più volte, anche dopo l'occupazione russa della Crimea, e poi con l'invasione del 2022 è stato dipinto con i colori della bandiera ucraina. Ecco nel suo ultimo libro uscito in Bulgaria, che è un memoir, Gospodinov racconta che mentre assisteva il padre sul letto di morte vide in diretta dalla finestra le operazioni di smontaggio del monumento, una metafora: suo padre moriva mentre veniva cancellato l’ultimo pezzo della Repubblica Popolare di Bulgaria. Tanti aneddoti che partendo dalla vita di Gospodinov ci raccontano molto di Sofia e della storia della Bulgaria. Non ha mai tradotto Gospodinov, ma diversi altri autori come René Karabash e Circo Bulgaria di Enev, editi entrambi da Bottega Errante. Di René Karabash ho tradotto “Colei che resta”: anche questo ha incontrato delle concomitanze positive, nel senso che al momento è il fiore all'occhiello della prima agenzia letteraria bulgara ed è stato tradotto in molti Paesi. Anche qui troviamo una struttura narrativa di rottura con quello che è tradizionalmente il canone di romanzo. Infatti, l’autrice parla del libro definendolo “poema”, perché è senza segni di interpunzione e la poesia riecheggia in ogni pagina. E poi c’è il tema, quello delle vergine giurate, che aveva incuriosito il pubblico già nel 2007, con la “Vergine Giurata” di Elvira Dones, da cui era stato il tratto il film con Alba Rohrwacher. E il secondo che ho tradotto è la raccolta di racconti “Circo Bulgaria” di Dejan Enev, che nel titolo riprende una metafora molto in voga in Bulgaria: quella che accosta il Paese a un circo in senso molto dispregiativo, nel senso di caos. Anche qui è difficile rendere il significato preciso in italiano. Abbiamo nominato quattro autori, cosa li accomuna? Il genere bulgaro per eccellenza è il racconto. Lo stesso Gospodinov ha scritto anche diversi racconti proprio perché ama la brevitas e i suoi romanzi sono sottili, potrebbero essere considerati frammenti. Anche a lezione ci proponeva degli esercizi di asciugatura estrema, in cui scrivevamo prima un racconto e poi da questo racconto dovevamo tirar fuori una sorta di haiku, riducendo tutto a una frase di non più di 5-8 parole. E oltre a questa frammentarietà, c’è sicuramente lo sperimentalismo. Ora sta per uscire una distopia di Radoslav Bimbalov, tradotta da me, che sarà pubblicata in Italia da Wojtek Edizioni e sto lavorando alla traduzione di un romanzo di Todor P. Todorov per Voland. In quest'ultimo caso c'è una struttura più classica ma trama sperimentale. La Bulgaria è un grande laboratorio letterario in questo momento, in cui si rompono gli schemi. Lei poi si è specializzata in scienze politiche con focus sull’Est Europa. Non posso non chiederle cosa ci racconti tutto questo sperimentalismo del momento storico che vive il Paese più in generale, visto che lo stesso Gospodinov è un autore molto politico. Partiamo da un presupposto: suscita grande ilarità tra gli stessi bulgari il fatto che negli ultimi anni si sia dissolta l’emblematica “maggioranza bulgara” che è diventata anche un’espressione proverbiale. Negli ultimi 3-4 anni le elezioni si sono susseguite con tornate elettorali in cui non si è mai riuscita a trovare una quadra e quindi una maggioranza. Prima di questa instabilità, la Bulgaria ha vissuto quasi un ventennio sotto il monopolio dello stesso partito, la formazione di centro-destra GERB di Borissov: stesso partito, stesso capo di governo che ha creato tutta una serie di dinamiche ben note di clientelismo, ma allo stesso tempo ha garantito grande stabilità, cosa che ha fatto comodo anche all’Ue . E torniamo alla tăgà la malinconia. Perché i bulgari sono malinconici? Già la pronuncia gutturale è interessante, perché è una parola che ti rimane in gola, ma, parlando del contenuto, il concetto di malinconia torna in forme diverse in varie culture. La particolarità di quella bulgara è che è una malinconia per cose che non si sono mai avute o che non sono mai successe. Gospodinov spiega molto bene il significato. Lui insiste molto sull’idea di un desiderio di quello che non si è mai concretizzato e per questo è particolarmente calzante per descrivere le emozioni delle persone che hanno vissuto sotto il socialismo, circondate da restrizioni, persone che quindi avevano delle possibilità limitate. Per come sono andate le cose dopo la caduta del comunismo, a cui è seguito un periodo di difficoltà e di grande disillusione, la tăgà ha continuato ad aggirarsi per la Bulgaria. Si applica anche alla contemporaneità e alla generazione di Gospodinov, classe '68, ed è la nostalgia per le cose che non sono successe e un futuro che non è mai arrivato: lui direbbe un futuro che è già passato senza mai arrivare. Doveva essere un futuro radioso di democrazia, segnato dal miglioramento delle condizioni di vita, del progresso, ma le cose sono andate diversamente.

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Ludovica Passeri