Il male maschio di Enrico Dal Buono: un romanzo tra sesso, amore e senso e di colpa
LifestylePubblicato da La Nave di Teseo, un grottesco, perfido ,dolente viaggio al termine della mascolinità. L’odissea nello strazio di un uomo “sbagliato”, tra amore e violenza, tra desiderio ed espiazione, tra carnefici a vittime
Ecce Homo, o ciò che ne rimane. Il male maschio, edito da La Nave di Teseo è un’indagine su un uomo niente affatto al di sopra di ogni sospetto, Al suo quarto romanzo, Enrico Dal Buono (una delle voci più potenti e originali della sua generazione) riflette, parimenti a uno specchio scuro, sulla condizione attuale dei portatori (in)sani della coppia di cromosomi X e Y. Per citare le eloquenti parole riportate sulla quarta di copertina del libro: “Il maschio è il male nel duplice senso del termine. Il male: qualcosa che il male lo compie. Il male: qualcosa che è esso stesso dolore. E alcune donne, i maschi, li amano”.
Una tragica commedia umana
“Don't judge a book by his cover”, canta il dottor Frank-N-Furter in Sweet Transvestite, brano imprescindibile del cult-movie Rocky Horror Picture Show. Tuttavia, il quadro Lovemaking dipinto da Egon Schiele nel 1915 che campeggia su fondo bianco della copertina è un’abbacinante cartina di sole della tragica Comédie humaine narrata dall’autore del romanzo. Il tratto nevrile dell’artista austriaco, quei corpi abbarbicati così vicini, eppure, così lontani, risultano un impressionante compendio di decomposizione, la sintesi di io diviso e perduto.
Tutto è squilibrio, malessere, inquietudine in Il male maschio. A partire dal protagonista, Andrea Occasi. Ed è subito Nomen Omen, perché quel nome viene dal greco Ἀνδρέας (Andreas), derivato da ἀνήρ (anḗr), genitivo ἀνδρός (andrós), e indica l'uomo con riferimento alla sua mascolinità, contrapposto alla donna con la sua femminilità. L’onomastica conta quanto il battesimo in queste pagine vergate con perfidia e acume da Dal Buono. Basta pensare alle due protagoniste femminili: Iaia e Yaya. . Foneticamente identiche, tuttavia distanti anni luce tra loro
L'uomo che tradiva le donne
Andrea sbarca il lunario come anestesista e si porta il lavoro a casa, visto che è convinto che tutto sia riducibile all’ossiticina, all’afflusso del sangue nel corpo cavernoso. Insomma, spiegare “tutte le falle della vita con la chimica”, per citare l’ormai dispersa Miss Violetta Beauregarde. Insomma, una sorta di versione canzonatoria e difforme di L’uomo che amava le donne, immaginato da François Truffaut. Sicché il fedifrago cornifica spesso e volentieri la morosa Iaia. Con fanciulle in fiore dal profilo egizio conosciute e obese rimorchiate in un franchising di bibite salutiste. Ma tanto va l’infedele in rete, che ci lascio lo zampino (ça va sans dire, sul cellulare), Rabbiosa e affranta, Iaia molla il traditore al suo destino. Andrea riscopre cosi la relazione con la madre Paola, donna ancora innamoratissima del marito, nonostante sia una stakanovista dell’adulterio. Tuttavia, l’improvvisa scomparsa di chi gli ha donato la vita, fa sprofondare l’anestesista nella spirale della depressione e del senso di colpa. Sarà l’incontro casuale con Yaya, misteriosa ragazza dalle origini impossibile da decifrare a sparigliare le carte. Il maschio perde la tramontana per quella femmina che esige la sincerità assoluta. Ma come scriveva George Santayana in L'ultimo puritano. “La verità è una cosa terribile. È molto più oscura, più triste, più ignobile, molto più inumana e ironica di quanto la maggior parte di noi è disposta ad ammettere o perfino a sospettare.” Senza contare che ogni volta che Andrea mente, la ragazza lo punisce implacabilmente. Chissà, magari il vero amore fa rima con espiazione. O forse no.
Vivere e morire a Milano
Il male maschio è un atto di dolore e di coraggio. Enrico Dal Buono, invece di nascondersi nei pertugi di un passato sovente corrivo e idealizzato come tanti romanzieri dei nostri giorni, affronta a viso aperto il presente. Un mondo cadenzato dai messaggi di whatsapp e dalle raglie di cocaina. E la sua prosa una lingua tagliente come la lametta che sminuzza la bamba sul piatto caldo ci restituisce tutta la follia, il caos, il mistero di questi strani giorni in cui viviamo. In questa guerra dei sessi, in questa crisi perpetua del maschio dove la figura del pater familias è orma un ectoplasma, l’autore dribbla da fuoriclasse le semplificazioni. Il romanzo mantiene la giusta distanza, la corretta ambiguità etica. Niente cori da stadio, non si tifa per i personaggi che abitano le pagine di questo volume, ma si viaggia insieme a loro in questa Milano giungla di vetro e di asfalto, sospesa tra Brera e i giardini Montanelli, tra un King Crab e un gin tonic, tra amici soprannominati Pier Lupo e pargoli battezzati “Oceano”. La situazione è tragica ma non seria. Tant’è che il romanzo possiede l’humour nerissimo degli straordinari narratori russi, autori che Enrico conosce a mena dito in virtù dei suoi studi. Dandy della letteratura, Dal Buono gioca con la sintassi come un’equilibrista, senza mai essere banale o, peggio, compiaciuto. Parimenti a Lord Brummel che era solito trascorre un’ ora e più in bagno ad acchitarsi e poi, una volta uscito di casa non si guardava mai allo specchio. In Il male maschio si respirano le atmosfere di certi giochi al massacro filmati da Roman Polanski e, a tratti, sembra manifestarsi L’Ultima donna teorizzata da Marco Ferreri nel film datato 1976. E alla fine si resta attoniti, perturbati tra un chicco di uvetta sulla scrivania e l’eternità. Come in finale di partita di Samuel Beckett, non a caso citato esergo, non ci sono né vincitori, ne vintì. Ci siamo invece noi, esseri umani, Confusi, inermi, smagati tra bene e male.