I ragazzi e la spiritualità: cosa c’entra la donna cananea

“Non vado in chiesa, non ci vanno i miei amici, non ci va nessuno dei miei conoscenti. L’ultima volta che ci sono stato c’erano i funerali di mia nonna, non volevo ferire i miei”. Una sentenza, quella di Marco, che si somma ad altre voci, molto critiche verso le istituzioni religiose, ritenute troppo lontane dalle loro sensibilità. Questo ragazzo non è affatto un superficiale, anzi per avere appena una ventina di anni è assai più solido di molti adulti, pervaso di domande serie, inquieto, alla ricerca di senso, estremamente onesto, ma per lui la religione è come se non esistesse. Indifferenza che suona ancora peggio dell’ostilità. Invece, la sua proiezione nel mondo è molto intensa, pratica, appassionata, non manca mai di stare vicino ai suoi amici più in difficoltà, e nella sua compagnia quasi tutti gli riconoscono una sorta di leadership naturale. Fa il volontario in un canile e negli ultimi anni si è impegnato allo spasimo per aiutare un suo coetaneo, figlio di africani, a diplomarsi, riuscendo nell’impresa. Non ricordo quanti tra i ragazzi visti recentemente nel mio studio si definirebbero praticanti. Basterebbero le dita di una mano per contarli. Gli adulti masticano amaro, ma non vanno verso i figli, pretendono che siano i ragazzi a ritornare nelle caselle predisposte nella notte dei tempi. Così non c’è speranza. Tuttavia, proprio il contatto diretto con loro, mi suggerisce di non confondere l’assenza di pratica religiosa con la mancanza di interessi spirituali. Sebbene sia questa la convinzione comune, posso affermare di non avere mai percepito così tanto interesse verso temi tipici della fede religiosa, come l’amicizia, l’aiuto reciproco, l’ampliamento delle sensibilità, che ora raggiungono in modo più diretto anche gli animali e la natura in genere. Non credo vi sia stato un periodo così florido di aperture verso tutto ciò che li circonda, da parte dei ragazzi. La frattura con le religioni ufficiali però esiste, perché le nuove generazione sanno coglierne le contraddizioni molto meglio dei predecessori, sovente abituati a “incartare” e, per “obbedienza”, mettere da parte le domande più scottanti sulle istituzioni sacre. Quando un prelato o un semplice sacerdote mi chiedono un parere sulle ragioni per le quali le chiese si sono svuotate dai giovani, percepisco un sottofondo recriminatorio, come se fossero stati i ragazzi a essersi allontanati dalla strada maestra. Neppure un accenno di autocritica, di ascolto, che li arricchirebbe di stimoli, semmai una richiesta di consigli su come “riportarli a casa”. Questo atteggiamento è piuttosto presente tra noi adulti, che consideriamo noi stessi la norma e il comportamento dei ragazzi uno scostamento da essa. Pochi si chiedono se davvero i ragazzi di oggi sono “fabbricati” con gli stessi ingredienti con cui furono fabbricati gli adulti, e la scarsa attitudine a porsi questa semplice domanda, spalanca il portone al grande nemico. Il pregiudizio. Definirei il pregiudizio una risposta senza domanda, ma sono proprio le domande a innescare i processi evolutivi. Il pregiudizio nasconde qualcosa di drammatico dal momento che entra nella vita degli altri senza bussare, soprattutto quando si tratta di bambini e ragazzi, premessa che rischia di trasformare le intenzioni dei grandi, anche le migliori, in un vero e proprio atto di violenza. Considerato il tema della nostra riflessione, la religione, basterebbero alcune pagine del Vangelo, lo dico da laico, per darci conto della potenza negativa del pregiudizio, di cui è rimasto vittima lo stesso Gesù, in uno degli episodi più controversi della sua vita. Nei giorni scorsi sono rimasto molto colpito da un meraviglioso dipinto di Annibale Carracci, “Gesù e la Cananea”, in cui il primo si espone a una figura pessima, sorprendente e inaspettata. Una madre gli chiede aiuto per la figlia indemoniata, ma lui le oppone, sprezzante e sgarbato, un muro. Il protagonista di questo approccio è il pregiudizio, profondo e spietato, esibito dallo stesso figlio di Dio, che ne è travolto. Lei appartiene al popolo dei cananei, nemici degli ebrei, di cui lui è parte. Anche Gesù, in questo caso si porta dentro schemi inespugnabili riguardo al “nemico”. È scostante, chiuso, non sembra lui. Quella donna, però, non si perde d’animo, costringendolo ad abbattere la parete del pregiudizio. In quel momento accade ciò che non accade quasi mai tra noi e i ragazzi, vengono abbandonate le categorie e due esseri umani si trovano l’uno di fronte all’altro, così come sono, e cominciano ad ascoltarsi, perché nessuno dei due si eleva a norma riducendo l’altro a una semplice deviazione dalla stessa. Il rapporto ora è bidirezionale. I nostri ragazzi, come la Cananea, continuano a sbracciarsi, a insistere, a raccontare le loro ragioni, che non sono semplici variazioni di un testo scritto dai grandi per sempre, bensì una novità assoluta a cui chiedono di prestare credito. Senza tale premessa non condivideranno alcunché con gli adulti, neppure le loro religioni e le relative trascrizioni, ma ciò non nega la dimensione trascendente, che nelle loro attese è lontana dai rituali e decisamente scevra di ipocrisia. Il pregiudizio degli adulti è la trappola perfetta, dove tutto ciò che proviene dai ragazzi è considerato sbagliato per principio. Un abbaglio mortale, soprattutto oggi, perché per la prima volta nella storia dell’educazione i giovani ne sanno più dei grandi, soprattutto rispetto agli ambienti inventati dalle nuove tecnologie. Se si è piegato Gesù davanti agli argomenti della Cananea, dobbiamo farlo anche noi educatori davanti a quelli dei nostri figli, quando sono ragionevoli, e spesso lo sono. Solo così cadranno i muri e potrebbe riaffacciarsi il tempo della vicinanza. Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, rappresenta una voce autorevole nel panorama della psicologia italiana. È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra questi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, fino ai recentissimi “Volere Bene. La mente e il cuore” e “Individualisti si cresce" . Nella sua produzione sono presenti il romanzo di formazione “La casa di Henriette” e la collana illustrata di psicologia “Crescere senza effetti collaterali” , quest’ultima tradotta in diversi paesi, ultimo dei quali la Cina. È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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