"Canzoni per il mio utero", una raccolta di poesie per affrontare il dolore di un aborto

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Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

La pianista milanese Maria Cefalà ha raccontato in versi la sua esperienza di interruzione volontaria di gravidanza. "Mi sono messa a scrivere per esprimere rabbia e dolore. Spero di poter aiutare altre donne che hanno vissuto una situazione simile alla mia”

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Un racconto onesto, crudo e doloroso. È quello che la pianista milanese Maria Cefalà, conosciuta in Italia per il suo repertorio sul compositore Johann Sebastian Bach, ha espresso in versi, dando vita al racconto intimo e personale di un aborto volontario e non voluto: “Canzoni per il mio utero” (Il ramo e la foglia edizioni). Lo ha fatto in una raccolta attraverso testi autobiografici che riflettono sull’esperienza di un’interruzione volontaria di gravidanza. “Ho sempre guardato la maternità con lontana amichevolezza, qualcosa che sarebbe avvenuto o forse no, a patto ch’io fossi pronta. Non come quelle donne che portano al polso un martellante orologio biologico, schiave di una società che le impone madri, prima che individui realizzati”. Cefalà racconta di aver deciso di interrompere la gravidanza per chiudere la relazione con un uomo violento. Una scelta difficile, libera ma condizionata, ed espressa nero su bianco in versi, perché "la poesia è più delicata della prosa, allusiva. Più adatta a verità scomode". Perché “avere un figlio da una persona violenta era una scelta troppo difficile da percorrere. Dare un padre aggressivo a un figlio avrebbe messo in pericolo sia me che lui. Questa è stata la mia forma di maternità, una forma di responsabilità e tutela”, dice la pianista.

Maria Cefalà

“Dopo l’aborto mi sentivo debolissima fisicamente, quindi non riuscivo a suonare, mentre di solito è quella la mia forma di espressione. Così mi sono messa a scrivere per me, per esprimere rabbia e dolore”, racconta l’autrice a Sky TG24. “Poi ho pensato che queste poesie potessero diventare qualcosa, e magari aiutare altre donne che hanno vissuto una situazione simile alla mia”. Un racconto in versi senza sconti, che ripercorre un dolore sia fisico che interiore. E che si interroga sulla potenza di quell’esperienza, e sulle domande che ha fatto emergere nell’autrice. “Sono una donna di sinistra, sostengo da sempre il diritto all’aborto. Ma è come se dopo questa esperienza fossi diventata obiettrice di coscienza, non per le altre donne ma per me stessa. Il mio è quindi anche il racconto di una contraddizione”. Sono tre le figure simbolivhe protagoniste della raccolta: “Un uomo, opposto al mio Zenit; il mio utero, che mai avevo sentito così pulsante. E poi Bach, la dimensione salvifica che ripulisce dal dolore e lo rende non solo sopportabile, ma sensato”. Così il compositore diventa il padre desiderato e la sua musica rifugio e luogo di salvezza. “Suonare la musica di Bach per me è una forma di spiritualità. Non sono credente, per me la musica salva e solleva”.

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