Aborto libero e sicuro? Tutti gli ostacoli (culturali e politici) all'accesso

“Ti sei divertita? Ora paghi”, “Deve sentire il battito del feto, è fondamentale!”. “Siamo donne, dobbiamo soffrire”. “Doveva pensarci prima!”. "Ma sei proprio sicura?". Si chiama violenza psicologica, e sono costrette a subirla all'interno di strutture sanitarie molte delle 63 mila donne che ogni anno in Italia vogliono interrompere la gravidanza, tra quotidiani tentativi di colpevolizzazione. Frasi che sono state raccolte attraverso vere testimonianze da Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute, e sono state registrate all'interno di una stanza per far ascoltare - per la prima volta - non il battito del cuore del feto né l'opinione degli obiettori di coscienza, ma la voce di chi ha diritto di scegliere per sé e per il proprio corpo. La campagna “The Unheard Voice”, lanciata pochi giorni prima del 28 settembre, Giornata internazionale per l'aborto libero e sicuro, permette appunto di ascoltare cosa realmente accade all'interno delle strutture sanitarie italiane nonostante l'interruzione volontaria di gravidanza sia legale da 46 lunghi anni. Elisa Visconti, direttrice di Medici del Mondo - che in vista del 28 settembre ha presentato alla Camera dei Deputati una dettagliata indagine sugli ostacoli all'accesso all'Ivg - denuncia come la politica stia "istituzionalizzando le barriere all’accesso all’aborto, trasformandole in vere e proprie politiche di deterrenza" che hanno una "forte ripercussione sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire". Il report racconta un "attacco sistematico all'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza" e denuncia "l'enorme difficoltà a reperire le informazioni sull'iter da seguire, la mancanza di consultori e gli elevati tassi di obiezione di coscienza. Mentre la pillola abortiva in gran parte d'Italia continua a essere considerata un farmaco rischioso, nonostante in Europa si utilizzi da 30 anni". Il 63,4% dei ginecologi in Italia è obiettore di coscienza: i dati Alcuni dei numerosi ostacoli all'accesso a un aborto libero e sicuro, spiega Visconti a Sky TG24, "sono legati a delle zone d’ombra della legge 194: una legge vecchia che riguardando temi scientifici deve essere aggiornata". Ostacoli che riempiono una lunga lista, di cui tre in particolare, secondo la direttrice di Medici del Mondo, sono più gravi. "Innanzitutto il periodo previsto per abortire in Italia è molto breve rispetto ad altri Paesi europei. Un altro aspetto che andrebbe rivisto è il periodo di riflessione obbligatoria lungo sette giorni, che per Organizzazione mondiale della Sanità rappresentano una forma di violenza psicologica non necessaria sulle gestanti. E poi c'è la piaga dell’obiezione di coscienza. Anche su questo la stessa Oms si è espressa, esplicitando che non deve essere di struttura". Eppure nel nostro Paese l'obiezione di coscienza resta una delle barriere più solide all'accesso all'aborto. Secondo il Ministero della Salute, nel 2021 in Italia si è dichiarato obiettore il 63,4% dei ginecologi , il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico. In Italia effettuano IVG il 59,6% delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia , con forti differenze tra le regioni. Sono disponibili soltanto 2,8 punti IVG ogni 100 mila donne in età fertile. I valori più bassi si registrano in Campania , Molise e nella provincia autonoma di Bolzano . Ma la fotografia del Ministero non è esaustiva: secondo la ricerca Mai dati dell’Associazione Luca Coscioni, in 22 ospedali la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario raggiunge addirittura il 100%. I pro-life nei consultori pubblici e le "stanze dell'ascolto" Ostacoli che secondo Medici del Mondo sono diventati "vere e proprie politiche di deterrenza finanziate da fondi pubblici", dove il sostegno economico a gruppi e associazioni antiabortiste all’interno dei consultori e ospedali pubblici è stato agevolato dall’emendamento al PNRR presentato dal Governo. E la discussa "stanza dell'ascolto" del Sant'Anna di Torino, sostiene Visconti, "ne è un'espressione tangibile": uno sportello per le donne che vogliono interrompere la gravidanza, in un ospedale pubblico e finanziato con fondi pubblici, ma gestito da un'associazione antiabortista, Movimento per la Vita. La stanza, nonostante le forti contestazioni dei gruppi femministi iniziate a luglio 2023, è stata inaugurata da poche settimane offrire "supporto concreto e vicinanza" alle donne in gravidanza, "contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre alla interruzione della gravidanza". In pratica, prova a far cambiare idea alle donne che hanno già fatto la loro scelta. "Quello spazio rappresenta la conseguenza di un percorso iniziato in Lombardia molti anni fa, dove la prima "stanza della vita", anche se il nome era diverso, è stata aperta nel 1984 alla clinica Mangiagalli. Un percorso che oggi continua per volere della nostra politica". E dimostra che, sottolinea Visconti, "gli ostacoli all'accesso all'ivg sono antichi, ma sono istituzionalizzati". Abortirai con dolore: la narrazione drammatica dell'ivg Spiegando le ragioni dietro alla nascita della stanza per l'ascolto al Sant'Anna di Torino - principale ospedale ostetrico ginecologico del Piemonte e quello in cui si effettua il maggior numero di interruzioni di gravidanza della Regione - nei mesi scorsi l'assessore alle Politiche Sociali Maurizio Marrone aveva affermato che "ogni volta che una donna abortisce perché si è sentita abbandonata di fronte alla sfida della maternità siamo di fronte a una drammatica sconfitta delle istituzioni". Parole che si inseriscono all'interno di un tipo di narrazione ben precisa che nel nostro Paese non solo resiste, ma viene promossa. "Aborto uguale dolore e sofferenza è un'equazione che non ha alcuna evidenza scientifica", sottolinea la direttrice di Medici del Mondo. "Per tanto tempo è stato alimentato il mito della correlazione tra nevrosi e depressione e aborto, ed è stata persino inventata una sindrome post traumatica da aborto: entrambe smentite dagli studi". Un’analisi condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health presso l’Università della California ha invece evidenziato come le persone a cui venga negata l’ivg abbiano un rischio significativamente maggiore di sviluppare sintomi di ansia rispetto a quelle che ne hanno avuto accesso. La ricerca dimostra che chi incontra barriere che ritardano o rendono più difficoltoso l’accesso all'aborto volontario presenta maggiormente sintomi di stress, ansia e depressione. E anche lo stigma a cui vanno incontro le donne all’interno della propria rete sociale e all’interno delle strutture sanitarie, può avere un forte impatto sulla salute mentale. "Anche la narrazione collettiva dell'aborto come una scelta dolorosa e sofferta è un’altra forma di pressione psicologica. Non è un’esperienza drammatica per tutte: come per ogni esperienza della vita è estremamente personale", osserva Visconti. L'accesso ristretto all'aborto farmacologico: "Un problema politico" A frenare l'accesso per tutte a un aborto libero e sicuro c'è il nodo della RU486, la pillola abortiva che permette di scegliere l'aborto farmacologico a quello chirurgico, molto più invasivo. Nell’agosto del 2020, ricorda il report di Medici del Mondo, venne pubblicata una circolare del Ministero della Salute che aveva aggiornato le Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con la RU486, riconoscendo la possibilità di ricorrere alla procedura farmacologica in day hospital in tutte le Regioni, eseguendola in consultorio ed estendendo il limite per la somministrazione del farmaco da 7 a 9 settimane . Un passo in avanti, ma solo parziale, nonostante l'ultimo documento dell’Oms di giugno 2023 sostenga che l’IVG farmacologica è sicura al punto da poter essere effettuata “dalla donna a casa o in telemedicina” fino alla dodicesima settimana, rendendo le nuove regole italiane già datate. Perché a distanza di tre anni queste regole sono state recepite solo da alcune Regioni, in ordine sparso e con grandi differenze in termini di regole, accesso, applicazione. Il tema è senz'altro culturale - la Ru486 supera in un certo senso l'idea dell'aborto doloroso e invasivo - "e anche politico", afferma Visconti. "In alcuni Paesi europei l'aborto farmacologico arriva al 90% dei casi, in Italia tocchiamo il 40%". L’accesso alla RU486 renderebbe l’aborto molto piu accessibile, osserva, e risparmierebbe alle donne tutti gli ostacoli con cui sono costrette a scontrarsi: "Distanza dalle strutture, obiettori di coscienza, gruppi pro vita". Non doversi recare in ospedale eliminerebbe anche l'umiliazione della violenza psicologica che la campagna di Medici del Mondo ha costretto ad ascoltare. Ma l'aborto farmacologico fa ancora paura: "Vorrebbe dire ammettere che l’'interruzione volontaria di gravidanza è un atto individuale che ognuna si autogestisce", osserva Visconti. "Mentre in Italia è ancora gestito come un atto collettivo, come se scegliere di fare un'ivg significhi togliere dei figli alla Patria".

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