Maestro Gabriele: “Il mio libro, un manifesto della didattica delle emozioni"

“Sono fiero di te”. Una frase semplice e profonda. Una frase che può donare un sorriso e stravolgere l'umore. Una frase che Gabriele Camelo, docente di italiano e inglese nella scuola elementare “Rita Borsellino” di Palermo, utilizza spesso con i suoi piccoli alunni. Nella sua classe non esistono votazioni o giudizi, punizioni o rimproveri, ma solo rassicurazioni e feedback costruttivi. “Ti voglio bene”, “Ti stimo”, “Posso aiutarti a impegnarti di più?” sono alcuni dei messaggi motivazionali che l’insegnante, periodicamente, scrive a penna rossa sui quaderni dei bambini dopo averli esaminati. Oggi, il rapporto tra il maestro Gabriele e i suoi piccoli studenti diventa protagonista di un libro, dal titolo “Sono fiero di te”. Le pagine del volume raccolgono le storie di una classe, di un gruppo di alunni e di un maestro che, al tradizionale metodo di valutazione, ha scelto la “didattica delle emozioni”, in cui insegnamento e affettività si abbracciano. “C'è qualcuno che, ancora oggi, adotta uno stile educativo incentrato sul senso del dovere, della regola e del senso di colpa. Io credo fortemente in tutto l'opposto. Ho scoperto che è proprio seguendo le emozioni, gli istinti, gli impulsi e i desideri che avviene un'evoluzione e una crescita. La crescita del cervello è collegata alla serenità del cuore”, ha detto a Sky Tg24 Insider il maestro Gabriele, che sui social condivide molti momenti del suo lavoro tra i banchi di scuola. Da cosa è nata l'idea di scrivere un libro sulla sua attività di insegnante? È stato tutto un po' inaspettato. Si è creata una grande attenzione intorno al mio profilo da influencer. In realtà, io sono diventato influencer ma neanche mi sono reso conto del perché. A poco a poco, mi sono accorto che quello che facevo con i bambini, ciò che raccontavo sui social colpiva molto le persone. In tanti mi scrivevano in privato confidandosi con me su questioni educative, raccontandomi le loro esperienze e spesso anche chiedendomi aiuto. Questa cosa mi ha sempre colpito, perché onestamente non mi sento un punto di riferimento, ma evidentemente - in qualche modo - lo sono diventato. Quello che racconto sui social è un modo di relazionarsi ai bambini che mette al centro il cuore, le emozioni e l'affettività. Un modo che io porto ovviamente anche nella didattica. Quando si sono accese le luci – anche dei media - intorno a me, sono stato contattato da Rizzoli per scrivere un libro che potesse essere una risposta alle domande sul mio modo di relazionarmi con gli alunni, una risposta alle tante persone che mi scrivevano incuriosite e che mi sostenevano. Un libro che mostrasse un po' quello che avviene in classe. Una sorta di “spioncino” per i lettori per osservare ciò che accade nella sua classe? Esatto. Questo “sbirciare dentro la classe” è anche un modo per raccontare un metodo, una visione della vita. Può sembrare pomposa, ma è la verità. Io ho fatto un cammino personale anche terapeutico, mi sono laureato in Psicologia. Il mio lavoro, per me, non è fare l'insegnante, è essere insegnante. Nel video promozionale del mio libro, che ho pubblicato sui social, ho portato i miei alunni ad abbracciare le persone tristi che incontravano per strada. In classe io chiedo sempre, ogni giorno, ai bambini che umore hanno, da 0 a 10. Ho insegnato loro a prendersi cura dei compagni tristi, delle situazioni di tristezza e a utilizzare il corpo, le carezze, gli abbracci, oltre che le parole. La bandiera con cui porto avanti questo “mini-esercito di concetti” è l'idea di mettere le emozioni al centro. Questo lo spiego nel libro, raccontando le piccole storie dei bambini che in questi anni ho seguito come maestro: spesso storie disgraziate, brutte e difficili che, con un po' di dolcezza, qualche abbraccio, qualche lacrima accarezzata e magari anche un po' di pazienza, sono diventate situazioni aggraziate. Ci fa un esempio? C'è un bambino nel libro che si chiama Benito, un nome di fantasia. Benito è un bambino che all'inizio era difficile da gestire, rubava gli oggetti in classe. Un giorno, in occasione della Vigilia di Natale, ho deciso di vestirlo da Babbo Natale e di portarlo con me a consegnare i doni alle persone senza fissa dimora per strada. L'idea che impregna la mia vita è quella di trasformare le disgrazie in grazie, che è quello che ho fatto con me stesso: ho reso fertili i miei vuoti. Quale messaggio intende trasmettere attraverso le sue pagine? Noi siamo abituati a relazionarci ai bambini con dei preconcetti, cioè con il senso del dovere. Tendenzialmente vige ancora un'educazione legata al senso del dovere: le regole devono essere rispettate, i compiti devono essere fatti, si deve mangiare tutto quello che c'è nel piatto e non bisogna lasciare niente, altrimenti i bambini in Africa soffrono perché loro hanno fame, mentre noi abbiamo quantità di cibo. Sono le classiche cose che si dicono ai bambini, no? C'è uno stile educativo incentrato - per qualcuno - sul senso del dovere, della regola e del senso di colpa. Io credo fortemente in tutto l'opposto. Ho scoperto che è proprio seguendo le emozioni, gli istinti, gli impulsi e i desideri che avviene un'evoluzione e una crescita. I compiti non devono essere un obbligo, ma devono essere un piacere. Anche se per legge c'è l'obbligo della scuola, secondo me ci dovrebbe essere un solo obbligo: l'obbligo di stare bene andando a scuola. Così la classe diventa una piccola famiglia. È partendo dai vissuti e dalle emozioni dei bambini che avviene una crescita, che coinvolge tutto il bambino: dall'aspetto affettivo all'aspetto cognitivo. È solo partendo dalla serenità interiore, da una motivazione personale, da una sorta di pace, desiderio, voglia, curiosità, scoperta che si può giungere all'apprendimento delle materie. I bambini hanno naturalmente una grande voglia di apprendere, ed è da qui che bisogna partire. A volte è difficile perché di fronte a un bambino che piange, urla, strilla, fa i capricci, la prima reazione di un adulto è quella di scocciarsi. Ma è proprio a partire dalla comprensione di quei vissuti, dall'accoglienza e dal dialogo che si arriva a una vera crescita. Non si cresce con il dito puntato, con le punizioni e con gli obblighi. Io non credo negli insegnanti che strigliano, non credo nel concetto del dovere, nel concetto metaforico della “bacchetta”, non credo nel puntare sui voti negativi. Credo che bisogna premere l'acceleratore sulla motivazione, sul cercare di mettere al centro davvero il bambino, non la materia. Se un bambino non è bravo in matematica non importa, può capitare: sarà bravo in altro. Io vedo i miei bambini e sono contento di stare con loro, ma mi rendo conto che anche per loro vale la stessa cosa: sono felici di venire a scuola perché in classe c'è un clima sereno. La crescita del cervello è collegata alla serenità del cuore. Ecco, questo è il concetto che porto avanti nel libro. A chi si rivolge il suo libro? Chi dovrebbe leggerlo in primis? Il libro è rivolto a genitori, insegnanti e educatori. Ma anche a studenti. Qualche giorno fa mi ha scritto una ragazza di 18 anni per chiedermi se poteva leggere il mio libro. Mi ha confidato che aveva un rapporto un po' difficile con la scuola, con gli insegnanti e con la madre, e io ho pensato che questo libro in realtà potesse comunque esserle utile. Il libro è rivolto anche a chi un'educazione buona non l'ha ricevuta, affinché possa essere - per lui o per lei - una piccola speranza. Che cosa rappresenta per lei questo libro? Un manifesto. Ogni Stato scrive la propria costituzione e io ho scritto la mia costituzione. “Sono fiero di te” è una visione di vita, una visione che ha salvato me per primo e che vorrei far conoscere a tutti. I cristiani professano il cristianesimo, i partiti politici professano la propria visione politica... io professo la mia visione educativa. Nel suo libro si firma come Maestro Gabriele, proprio come la chiamano i suoi alunni in classe. Cosa c'è dietro questa scelta? Innanzitutto, io sono conosciuto come maestro Gabriele: il maestro dei giudizi motivazionali, il maestro che abbraccia i bambini, il maestro che insegna i bambini ad abbracciare. Poi, penso che il prefisso “maestro” sia molto nobile e sentirlo nella bocca dei bambini non ha prezzo. Riconosco inoltre quanto sia sano che i bambini abbiano dei maestri che insegnano loro la vita. C'è un passaggio nel suo libro che la emoziona più di tutti gli altri? La storia di Alida, un nome di fantasia. Alida è una bambina che, inizialmente, in classe distruggeva tutto, era molto aggressiva, non si relazionava con gli altri, tirava calci alla porta, piangeva in continuazione, cercava di scappare da scuola e diceva che aveva “il male al cuore”. Noi maestri siamo stati molto dolci con lei. Con il passare dei giorni, mi sono accorto che una delle sue passioni più grandi era quella di mettere a posto gli oggetti, sistemare le cose in classe. Un giorno mi è venuto in mente di chiamarla, insieme a una compagna, per pulire e sistemare l'aula. È stata la prima volta che ho visto un sorriso sul suo volto. Da quel momento in poi, puntando su questa sua passione per le pulizie, si è trasformata. Inoltre, in occasione del mio compleanno, ogni anno organizzo una festa e porto i bambini con me in un weekend fuori. Dico sempre ai miei alunni di non portarmi regali, ma quel giorno Alida, al momento della torta, ha tirato fuori un peluche. Era il suo peluche preferito, che il primo giorno di scuola aveva attaccato allo zaino. Me l'ha regalato e mi ha detto: “Questo è per te”. Il gesto di una bambina che i primi giorni di scuola distruggeva tutto e che, nel giorno del mio compleanno, decide di privarsi del suo peluche preferito per darmelo come regalo, per me è la testimonianza di come i bambini possano davvero trasformarsi con l'affetto.

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