Perché la diversità disturba e rende ostili. Anche a Natale

Mi era accaduto, una quindicina di anni fa, di ascoltare una ragazzina sudamericana, adottata da una famiglia italiana. “Ero in un negozio di giocattoli, insieme alla mamma e al papà. Giravo entusiasta tra gli scaffali, mi sentivo felice, serena, fino a quando mi accorsi che la commessa non mi staccava gli occhi di dosso, anzi era sempre appiccicata a me, trascurando gli altri bambini. La mia felicità mutò in fretta in un sentimento che non saprei descrivere, ma non fu più felicità. Per la prima volta mi resi conto che il colore della mia pelle non era solo un colore e che forse non ero a casa”. Sembra lo stesso racconto della giovane atleta italiana di colore, detentrice del primato nazionale del lancio del disco, che nei giorni scorsi era stata trattata con insolita attenzione, non riservata agli altri presenti, dalla sicurezza di un negozio di tecnologia digitale. Nelle pagine de “L’oratorio di Natale”, l’autore, Goran Tunstrom guarda la vetrina di un negozio di orologi, dice di avere contato alcune decine di “misuratori del tempo”. Tutti stavano funzionando ma “Nessuno segnava la stessa ora”. Ognuno era rivolto a sé medesimo, “al proprio meccanismo”. Li trovava piuttosto sfasati, poi, però, considera che anche intorno a lui, fuori dai confini di quel negozio, le cose procedevano alla stessa maniera, come se quella condizione rappresentasse una legge naturale. “Nella neve che cadeva fitta, gli uomini si incrociavano, scivolavano uno verso l’altro senza nessuna vera contemporaneità”. A volte la psicologia impallidisce di fronte alla capacità di certi uomini di raggiungere profondità a lei stessa, per fortuna, precluse, gettando sguardi abbaglianti sui nostri paesaggi interiori. Per la verità dovrebbe capitarle spesso, di impallidire, se solo avesse l’umiltà di sentirsi ciò che è, ovvero solo un minuscolo sottoinsieme, si renderebbe conto che la propria finestrella, quella da cui crediamo di vedere il mondo, in realtà ce ne mostra solo uno spicchio, un raggio, niente di più. L’immagine di quell’apparente caos che si respira tra orologi che vanno ognuno per conto proprio, donne e uomini “senza nessuna vera contemporaneità”, in realtà descrive il miracolo dell’unicità e bolla ogni giudizio di valore sulla diversità in modo definitivo, valutando per ciò che è, una manifestazione arcaica, di ignoranza insopportabile, ingiusta, disumana. Torino, venerdì 6 dicembre 2024. Sono ospite di un benemerito circolo culturale. Mi chiedono di ragionare proprio di diversità e degli eccessi ideologici che sovente la circondano, delle gravi manipolazioni cui va soggetta, imbrigliata nelle fobie, inconfessabili, di individui poco inclini ad andare oltre agli schemi semplificati tipici dell’infanzia. C’è il maschio e c’è la femmina. Incapaci di considerare, come si diceva, che la sua è solo una “finestrella” perduta tra otto miliardi di altre strettissime aperture da cui si vede ciò che si vede, ossia poco o niente. Non c’è posto per altro, nella testa di chi confonde il proprio punto di vista con l’intero panorama. Non c’è spazio, in costoro, e non sono pochi, per lo “sfasamento”, elemento costitutivo di tutto ciò che vive e di tutti i progressi realizzati dalla nostra specie. In realtà siamo tutti quanti degli orologi sfasati, ognuno concentrato sul proprio ticchettio, sul proprio tempo specifico. Il miracolo dello sfasamento, della diversità, può diventare tale se prepariamo la famiglia a questa impresa, indispensabile, perché le linee guida della nostra personalità si strutturano entro i primi cinque/sei anni di vita, un tempo che trascorriamo quasi interamente a casa nostra, vicini ai parenti più stretti. A quell’epoca il bambino è malleabile, possiede uno spirito critico precario, inoltre non può inimicarsi i propri genitori, lo scoglio a cui è attaccato. I grandi gli possono mettere in testa di tutto, anche graduatorie arbitrarie, deformandone il mondo interiore, gli possono suggerire giudizi fondati sul colore della pelle, sull’orientamento sessuale, sulla religione praticata, magari appellandosi a concetti suggestivi come tradizione, famiglia o addirittura ordine naturale, senza sapere bene cosa intendiamo e come i bambini possono interpretare quella pedagogia dei recinti. Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, rappresenta una voce autorevole nel panorama della psicologia italiana. È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra questi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, fino ai recentissimi “Volere Bene. La mente e il cuore” e “Individualisti si cresce" . Nella sua produzione sono presenti il romanzo di formazione “La casa di Henriette” e la collana illustrata di psicologia “Crescere senza effetti collaterali” , quest’ultima tradotta in diversi paesi, ultimo dei quali la Cina. È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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