Cos'è il Christmas Blues e perché è normale non sentirsi felici a Natale

Luci, alberi addobbati, regali, convivialità, abbracci, camini accesi. Dietro alla sfavillante magia del Natale, per molte persone si nasconde un groviglio di ansie ed emozioni negative. Tristezza, solitudine, malinconia. Il "Christmas Blues" esiste e tocca più persone di quante immaginiamo. Perché tornare alle nostre famiglie di origine per giorni spesso significa anche riattivare tensioni familiari, o incappare in domande indesiderate. Per chi è solo, invece, il dolore può intensificarsi. "Importante è ricordare che non per tutti questo è un momento facile: ci sono persone che stanno affrontando cure importanti e sono ospedalizzate, altre che stanno vivendo un lutto. Alcuni genitori discutono sull'affidamento dei figli per una settimana sulla neve oppure in località esotiche, ignorando i desideri dei figli, desideri che sono già andati smarriti: si viene a creare un buco nero di bisogni inespressi", spiega a SkyTG24 Insider Martina Ferrari, psicoanalista interpersonale che lavora a Roma. "Sicuramente per le vie del mondo c'è frenesia, ma va ricordato che coltivare una buona presenza a noi stessi ci può salvare perfino dalle cene a cui non vogliamo partecipare. In quella frenesia c'è un dolore preponderante: zittire a tutti i costi il dolore stesso". Se nell'immaginario collettivo il Natale è sinonimo di felicità e socialità, per alcune persone rappresenta uno dei momenti più difficili dell’anno: quali possono essere i motivi? L'infanzia è terminata. Le infanzie sono state difficili. Le difficoltà di svincolo dalla famiglia di origine sono le cause più diffuse dei dolori natalizi. Si torna in visita alla casa d'origine, tutto è cambiato: le stanze, l'arredamento, l'odore. Oppure tutto è rimasto immobile, prigioniero dell'eterno timore del mondo esterno. Alcune persone e animali non ci sono più, altri stanno per intraprendere il loro viaggio di ritorno ed è un momento di saluti. Esiste quindi la "sindrome del Natale"? Di “Christmas blues” sentiamo parlare molto sui social, meno sui nostri testi specialistici, sebbene l'esperienza clinica nei nostri studi ci segnali un impennamento dei cali dell'umore nelle persone che frequentano le nostre stanze già da tempo. Chi è più incline? Si tratta di individui sensibili alla pressione sociale e con aspettative elevate circa il proprio percorso di vita in ambito relazionale e lavorativo, alla ricerca del Natale perfetto, del regalo perfetto e della cena perfetta. Alcuni portano con sé una storia di perdite passate, lutti e malattie . Durante le vacanze natalizie la routine, che può essere contenitiva, è soggetta al cambiamento: può aumentare il consumo di alcol o sostanze psicotrope allo scopo di automedicare il dolore emotivo. Ci sono studi a riguardo? Diversi studi esplorano il Christmas Blues, ed evidenziano che il periodo natalizio può esacerbare sintomi depressivi in individui con una diagnosi preesistente. Le aspettative circa i festeggiamenti natalizi variano di cultura in cultura e anche questo è oggetto di ricerca: in alcune culture, tra cui la nostra, la pressione sociale durante il periodo natalizio è piuttosto elevata. Per citare alcuni studi tra i maggiori: "Seasonal Affestiva Disorder and the Holidays" in "Journal of Affestive Disorders" esamina l'impatto del disturbo affettivo stagionale e l'intensificazione di quest'ultimo durante le festività natalizie, mentre uno studio condotto dai ricercatori della National Alliance on Mental Iloess , "The Holiday Blues: is it real?", esplora i sentimenti di tristezza e ansia associati alle festività, analizzando fattori psicologici e sociali. Anche riunirsi in famiglia può essere fonte di ansia: ci si aspettano tensioni ricorrenti, domande invadenti dei parenti... Come cercare di non farsi sopraffare? Noi non possiamo cambiare gli altri, le personalità dei nostri familiari e i matching di coppia dai quali siamo nati. Visite brevi possono essere più facili da sostenere, altrimenti con grande fermezza e consapevolezza ci prepariamo ad affrontare il nostro viaggio nel "sottosopra": improvvisamente ritorniamo possessori del ruolo familiare che ci è stato assegnato , il tempo sembra non essere mai passato. Questo può essere traumatico? Sì, anche stressante, e capita più o meno a tutti. "Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo", scriveva Tolstoj. Anche noi possiamo provare a essere infelici a modo nostro, un modo diverso: via i social, sì a serie tv e libri. Sì alle coperte ponderate riscaldanti. Sì alle passeggiate con gli amici di sempre. E alle domande indesiderate si può rispondere: "Questa è una domanda indesiderabile, la risposta al momento è per me sconosciuta". Il rapporto con il Natale che abbiamo da adulti è legato a come lo abbiamo vissuto da bambini? Certamente, è il primo modello relazionale di festività natalizia che abbiamo sperimentato. “I bambini sanno che Babbo Natale non esiste”, che significa: indipendentemente da come il Natale ci viene presentato esplicitamente, noi siamo sintonizzati con i sentimenti di chi si occupa di noi. Come sono stati i loro Natali? Che periodo stanno attraversando? Nonostante gli sforzi, le luci e i regali, i nostri bambini ci leggono dentro come i più antichi saggi e inevitabilmente si prendono cura di noi rendendo migliore e più vivo il nostro Natale. Un bambino con una storia simile diventerà un adulto estremamente attento all’aspetto emotivo altrui durante le festività. Anche i più piccoli possono provare emozioni negative in questo periodo? Anzitutto c’è un’interruzione e una modifica della routine: non si va al nido o alla scuola materna, c’è una separazione e poi tutto tornerà alla normalità. Questo può frustrare enormemente i nostri bambini. Teniamo in considerazione l’alterazione dei ritmi sonno-veglia, che nell’infanzia impattano fortemente sul contenimento emotivo. Poi ci sono le persone che affrontano perdite, lutti e separazioni, particolarmente vulnerabili durante le festività. Sì, perché le persone care sono morte o andate via: solo in alcune circostanze, per esempio quando subentra una negazione della perdita, è possibile non sperimentare vissuti depressivi. Questo meccanismo lo spiega bene Freud nel saggio "Lutto e melanconia", oppure Abraham e Totols nel libro "La scorza e il nocciolo". Perché in questo periodo dell'anno ci si può sentire particolarmente soli? Il Natale è per tradizione la festività del raccoglimento in famiglia, della celebrazione del legame. Quando nonostante gli sforzi è avvenuta una separazione di coppia oppure una forte lite familiare con un silenzio assordante che si prolunga da tempo si provano nostalgia, tristezza e malinconia. Non sempre però le separazioni rappresentano un fallimento, spesso sono inevitabili. Per le persone sole può rappresentare un momento addirittura angosciante? Sì, che provoca sia angoscia che malinconia. Solitudine significa sentirsi incompresi dai vivi. Se i vivi esistono, possiamo provare ad aprirci e accettare un invito, oppure a proporne uno. In alternativa, è possibile godere del proprio isolamento, se si tratta di una difesa sacra, rigida e indiscutibile. C'è anche chi non ha nessuno con cui sedersi a tavola. Per chi ha perduto tutti i cari e tutti gli amici vengono organizzate iniziative in quasi tutti i territori, che si chiamano cene sociali. La scelta di parteciparvi è personale, perché se dentro c'è un vissuto di forte mancanza dei propri cari sostare a tavola è impossibile: il dolore si impenna e subentra un forte bisogno di far ritorno alla propria casa in solitudine. Educatori, psicologi, psicoterapeuti e volontari partecipano spesso alle cene sociali per renderle più digeribili, significabili, per costruire un millimetro di speranza nella condivisione della solitudine esistenziale. Quello della fine dell’anno è anche un tempo di bilanci. Fare bilanci e confronti può farci male? Dipende dal momento che sta vivendo l'individuo. I confronti possono essere utilizzati allo scopo di confermarci un modello e un copione personale, quelle che noi chiamiamo "credenze patogene" su di sé e sugli altri. Non siamo data analyst della nostra sofferenza, tutto viene letto e codificato mediante la nostra soggettività. Ricordiamo che bilanci e confronti con le vite degli altri richiamano le parole "aspettativa": il rischio è quello di alzare sempre di più l'asticella, porci obiettivi smisurati allo scopo di sentirci meno vulnerabili, proiettare sull'altro un ideale irrealistico e irraggiungibile. Diamo qualche consiglio pratico per fronteggiare questo periodo? Può risultare utile pianificare piccole attività come passeggiate, visite in fattorie, passare momenti a contatto con la natura e con chi abbiamo vicino. E ricordare, come ogni periodo legato alle festività: tutto passa. Arriva e si conclude. Possiamo utilizzare i pochi giorni di pausa natalizia per riposare, leggere. Qualsiasi attività va bene, anche in compagnia. L'importante è che sia desiderata, sentita. L'ansia è energia che può sempre essere convertita in riposo o in creatività. Siamo tutti diversi e questo va sempre ricordato. Inoltre: prendere il buono dalle reunion che possono risultare attivanti. In che senso? Non bisogna recarci per forza, nessuno ci obbliga, è importante capire però quanto stiamo proiettando il nostro ideale di vita su persone che magari hanno solo piacere di giocare con noi a carte o bere una birra dopo tanto tempo. In questo periodo storico è molto difficile avvicinarci alle cose semplici e nutritive, di scambio e di legame. Ci troviamo nella società della competizione, che attiva nell'individuo meccanismi di comparazione con le vite degli altri di cui magari conosciamo poco. Ognuno di noi nasconde grandi segreti dolorosi che non conosciamo. Per concludere, un cliché: chi soffre nel periodo di Natale non è felice? La felicità non esiste, non è uno stato costante, si tratta di momenti. Questo è buon periodo per provare a perdonare noi stessi e riconoscerci il merito di essere arrivati fino a qui, per essere sopravvissuti e rinati tante volte. Bruciare i sensi di colpa e proseguire nel nostro tortuoso viaggio caratterizzato da transizioni continue.

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