Prevost e il Sudamerica, sulle tracce del “Papa peruano”

“¿Estás aquí por el Papa peruano?”. A chiedercelo, appena arriviamo a Chiclayo, in Perù, è una donna che tiene tra le mani una foto del santo padre eletto da poco: nell’immagine, Prevost, al tempo vescovo, offre la comunione al nipote. Si chiama Rosa e la incontriamo nella piazza antistante alla cattedrale di Santa Maria, un po’ il cuore di Chiclayo, città con cui Prevost ha sviluppato un legame profondo, reggendo da vescovo questa diocesi, dal 2015 al 2023. Per tutti, così come per Maria, qui Prevost è “el Papa peruano”. Le sue origini statunitensi, a queste latitudini, contano poco. Nessuno, insomma, sembra essersi accorto che sia nato a Chicago: sarà per i vent’anni trascorsi qui, spostandosi tra diverse città della parte nord-occidentale del Paese. La prima è stata Chulucanas, a metà degli anni 80, in un periodo particolarmente difficile, caratterizzato da un conflitto armato interno che ha creato enormi tensioni sociali. Vi è ritornato poi negli anni 90, spostandosi nella città di Trujillo dove ha svolto diversi incarichi, per chiudere il suo percorso in Perù, a Chiclayo, per l’appunto. Gli abitanti considerano il nuovo Pontefice uno di loro e fanno di tutto per trasmetterci il loro entusiasmo. La gioia e l’accoglienza L’accoglienza riservata a noi giornalisti, e in particolare a quelli provenienti da lontano, è sorprendente. In tanti, notando la telecamera, ci chiedono una foto o semplicemente da dove veniamo. Maria, una signora che lavora in un negozio poco distante, ci porta addirittura un sacchetto con dentro delle empanadas, dei fagottini fritti ripieni di carne, tipici dell’Argentina, ma che si trovano in tutto il Sud America. È il suo modo di darci il benvenuto. “Quando, durante il suo primo saluto pubblico dal balcone di San Pietro – ci dice - il Papa ha rivolto un particolare saluto alla nostra diocesi, parlando in spagnolo, beh, io mi sono commossa fino alle lacrime”. E c’è da crederle. In tanti qui ricordano e rievocano quel momento. Il momento in cui il Papa ha in un certo senso messo sulla mappa del mondo, una città di cui in pochi avevano sentito parlare fino a quel momento. Eppure, è una delle più popolose del Paese, con circa 800.000 abitanti, apprezzata soprattutto per la sua cucina, ceviche fresco e un particolare stufato fatto con capra e zucca, il cabrito chiclayano. Il Papa e la tradizione Quest’ultimo è il piatto preferito di Robert Francis Prevost, a giudicare dal contenuto di alcune interviste rilasciate ai media locali, quando era ancora un vescovo. Qui, il cibo è una questione identitaria che connota molto la cultura del posto. Le persone che ci avvicinano in questi giorni ci chiedono principalmente due cose: se siamo qui per parlare del Papa e se ci piace la cucina locale. Le due cose vanno a volte a braccetto nei ristoranti che si affacciano sulla piazza principale. Almeno due di questi si vantano di essere i “ristoranti preferiti dal Papa”. Eduard, in particolare, titolare del ristorante Trebolde, ci assicura che il Papa amava sedersi al tavolo numero tre del suo locale, da dove poteva controllare l’ingresso della Cattedrale: “Era un buongustaio - ci dice - e un amante della cucina chiclayana tradizionale”. L’attenzione per i poveri e i migranti Gente comune, ristoratori, autorità, prelati, studenti. In città in questi giorni tutto ruota attorno al nuovo Papa e alle sue origini. Sulla parete del Municipio, nella sede dell’università cattolica di Chiclayo, sulla facciata della cattedrale si trovano delle gigantografie del nuovo Pontefice. Una di queste foto lo ritrae in compagnia di Francesco. I chiclayani considerano il nuovo capo della Chiesa cattolica una figura in continuità con il suo predecessore. Anche Prevost, come Bergoglio, ha sempre mostrato grande attenzione per i poveri e i migranti. E in città si percepisce chiaramente. A partire dal 2016, quando Prevost era già diventato vescovo di Chiclayo, la pesante crisi economica in Venezuela si trasformò in un disastro umanitario: circa un milione e mezzo di persone arrivò in Perù e almeno un quinto di queste decise di restare. Nella gestione della crisi, il ruolo di Robert Francis Prevost fu cruciale. E sono in molti a ricordarlo. “È stato attraverso la Chiesa che si è potuto dare supporto ai migranti”, ci ha raccontato Lizbeth Diaz, coordinatrice della pastorale per i migranti di una delle parrocchie più popolose della diocesi, quella di San Juan: lei ha a lungo collaborato con Prevost, prima che questi lasciasse definitivamente il Sudamerica. “Ancora continuiamo a fornire supporto ai venezuelani, fornendo loro del cibo o, se hanno problemi di salute, indirizzandoli alle organizzazioni corrispondenti, in modo che possano avere supporto. Diamo loro cibo, procuriamo loro vestiti in buone condizioni, dormono anche per strada e cerchiamo di trovare loro un luogo in cui possano riposare”. È uno dei lasciti di Prevost, in questa terra che tanto ha amato e in cui ha fatto germogliare i semi che lo hanno poi portato a diventare il capo della Chiesa cattolica.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Prevost e il Sudamerica, sulle tracce del “Papa peruano”