Lidia Yuknavitch: ‘Ho profetizzato Trump, ora racconto il collasso globale’

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Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

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L'autrice del memoir di culto "Cronologia dell'Acqua" torna in libreria con un romanzo, "L'impulso", sulle contraddizioni degli Stati Uniti d'America. "Nel mio Paese lo spazio riservato all'amore per il prossimo e all'aiutare gli altri è sempre più ristretto. Vincono i prepotenti"

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Lo scioglimento dei ghiacciai, il grande Innalzamento delle Acque, le deportazioni quotidiane dei rifugiati, il collasso sociale delle nazioni, lo spettro della guerra passata e futura, e ancora pandemie, incendi, piene. Così Lidia Yuknavitch, una delle scrittrici statunitensi più influenti della sua generazione, immagina il mondo nel 2085. Una catastrofe che si abbatte su ogni cosa e travolge la personificazione del Sogno americano: la Statua della Libertà, simbolo e feticcio, si inabissa, diventando “una donna subacquea”. Ma Yuknavitch rifiuta di parlare di “distopia”, perché il presente che viviamo supera l'immaginazione. ”Con ‘Il libro di Joan’ ho profetizzato l’elezione di Trump, ora ne 'L‘impulso' mi sono limitata a esercitare il mio sguardo realistico su quello che mi circonda. Siamo già nel bel mezzo della catastrofe climatica. E sta già vincendo l’ethos della guerra, della colonizzazione, della dominazione del più debole”, spiega a Sky TG24. Abbiamo parlato con lei de "L'impulso”, edito da nottetempo, e della possibilità che si ripeta il miracolo di “Cronologia dell’Acqua”, il memoir diventato di culto, con cui nel 2011 è entrata nell’Olimpo della letteratura mondiale.

 

Lidia Yuknavitch
Lidia Yuknavitch - ©Getty

 

Il futuro del Pianeta è nelle mani di una bambina, Laisvé, che viaggia nel tempo con l’obiettivo di “ricostruire un senso da parti disgregate”. Abbondano i personaggi e i salti tra presente e passato. Da cosa è partita per costruire questa storia?

Penso di aver distrutto e polverizzato la trama, ammesso che si possa parlare di trama in senso tradizionale. Parlerei piuttosto di fili narrativi che si intrecciano. Non ci sono gli elementi tradizionali del racconto, ho lasciato che tutto scorresse come l’acqua. Ma direi che al centro della storia c’è l’idea, la parola, il corpo di quella che chiamiamo libertà. Mi interrogo su quale sia il vero significato di libertà, visto che c’è tanta sofferenza nel sistema di libertà che abbiamo creato e che perpetuiamo.

 

Ha trovato una definizione di libertà?

Le definizioni cambiano con le epoche. Sono stati fatti tanti tentativi. A me interessa indagare sul come l'abbiamo costruita, a quale prezzo. Mi chiedo quali corpi siano davvero liberi. E perché la libertà sia ancora un privilegio per pochi. 

 

Gli eventi ruotano attorno alla Statua della Libertà che tutti conosciamo. Perché ha scelto questo simbolo così importante per la storia degli Stati Uniti d'America? 

La Statua della Libertà ha una storia complicata per come è stata costruita, per le questioni economiche dietro alla sua costruzione. Una storia complessa anche se si analizza quello che era il progetto originario. Pensiamo alle catene spezzate: dovevano rappresentare l’emancipazione negli Stati Uniti, erano state progettate all’inizio per essere nella parte alta, nelle mani della statua, in un punto in cui tutti potessero vederle, proprio accanto al libro, ma un gruppo di uomini bianchi facoltosi mise dei soldi per far spostare le catene sotto ai piedi della statua, dove si possono a fatica riconoscere. Questa vicenda è molto significativa. Ero interessata come scrittrice a ricostruire la parabola della libertà nel nostro Paese.

 

A distanza di più di un secolo (la statua fu inaugurata nel 1886, ndr), cosa ne è stato del sogno di libertà che questo colosso voleva rappresentare e incarnare?

Se si legge la poesia di Emma Lazarus che è stata incisa ai piedi della statua si parla delle “stanche, povere masse oppresse e soffocate”, di migranti e rifugiati. È una questione atavica con cui l’umanità deve fare i conti quella di prendersi cura delle persone che fanno parte di queste categorie. Negli Stati Uniti lo spazio riservato all’aiutare gli altri e all'amore per il prossimo sta diventando sempre più piccolo, mentre si fa largo l'idea di una libertà sconfinata e prepotente che è a propria disposizione: è uno spettacolo drammatico.

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Il libro è stato pubblicato negli Usa nel 2022, qui in Italia lo leggiamo nel 2024. Difficile non pensare alle prossime elezioni americane e agli scontri politici e sociali. Qual è il collegamento con il presente?

Ho scritto un altro romanzo “Il libro di Joan”, in cui rielaboro la storia di Giovanna d'Arco. C'è un tiranno, un miliardario americano, che è molto volgare, mostruoso, è uno showman della tv che diventa il leader del mondo, si accanisce sul Pianeta, prova a distruggerlo. L'ho scritto nel 2014 quando l’elezione di Donald Trump non era ancora neanche una spaventosa possibilità. A volte le storie che scrivo mi fanno paura, perché vedo verificarsi le situazioni che ho immaginato, in maniera molto simile a quello che ho raccontato nei miei libri. Mia madre voleva chiamarmi Cassandra, forse non è un caso.



Cosa ha profetizzato questa volta?

Penso che gli scrittori e più in generale gli artisti scrivano seguendo il più ampio flusso delle storie, che è sopra ogni cosa: è quello che mi è successo, ho seguito il flusso degli eventi. Prendiamo un esempio tra i tanti temi de "L'impulso". Non è nella mia immaginazione la catastrofe dell'innalzamento delle acque di cui parlo, è quello che sta davvero succedendo, il livello del mare sta aumentando. Il cambiamento climatico è già una realtà. Per questo non mi sento di aver scritto una distopia. Sto soltanto raccontando in maniera realistica quello che sta succedendo. La letteratura apre dei varchi per porsi delle domande. Al centro della mia letteratura c'è una domanda in particolare: c'è un altro mondo possibile?

 

Anche lei è una vittima di quella che si chiama “eco-ansia”?

Ci convivo. Ci convivono tutti, a parte quelli che ignorano e non vogliono capire quanto sta accadendo nel mondo. Cambiamento, anche climatico, non è di per sé una brutta parola. Il punto è un altro. Dovremmo essere anche noi in grado di trasformarci, modificando il nostro stile di vita e le nostre priorità.

 

Ne "L'impulso" la guerra è una presenza costante, che sia quella civile americana, che sia il conflitto che ha preceduto il "collasso globale", che sia quella per la sopravvivenza. È stato un modo di processare e rielaborare la tragica attualità internazionale?

Da sempre mi occupo dell’intersezione tra guerra e narrativa, del rapporto tra violenza e letteratura, dell’impatto sui corpi, di donne, lavoratori, bambini. Anche il mio memoir è un’esplorazione familiare di questi temi, della guerra in casa. Quello che osservo è che gli uomini hanno scelto un ethos basato sul potere, sulla dominazione, mentre nelle piccole comunità si trovano ancora spiragli di amore, rete, collaborazione, creatività. C'è ancora gente che vive sul Pianeta per preservarlo. Quindi non ho perso la speranza, penso sia ancora possibile "to change the story" (un'espressione onnipresente nella letteratura di Yuknavitch, ndr) e scegliere un ethos differente. Si tratta di cambiare la narrazione su quello che siamo e che vogliamo essere. Non è facile, non esistono "epos" facili, ma si deve tentare.

 

In molte interviste le è stato chiesto cosa intendesse per libertà, ma il titolo del libro è rimasto un po’ fuori dai radar. Cos’è “Thrust”, “L'impulso”?

"Thrust" sono le braccia della statua, il calore della torcia e allo stesso tempo il desiderio e la sessualità, una sessualità non connessa con la riproduzione. La definirei una creatività erotica che muove le cose. E poi gli alberi attraverso il quale si esprime l'impulso del pianeta. Ci permettono di respirare, di sopravvivere.



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Laisvé e Aurora sono due donne straordinarie, due personaggi che prendono il centro della scena. Da dove nascono?

Il personaggio di Laisvé, al di là della fiction, è in parte ispirato a mia figlia che è morta il giorno in cui è nata. Di lei ho parlato in "Cronologia dell'Acqua". Le ragazzine e le giovani donne dei miei romanzi hanno sempre qualcosa di mia figlia, è come se tornasse in vita. La sua morte ha generato una serie infinita di personaggi femminili che vengono al mondo per cambiare la storia attraverso una sorta di metamorfosi. Aurora è mia madre che è nata con una gamba più corta di 15 centimentri. In questo personaggio c'è il suo dolore fisico quotidiano, volevo ridarle giustizia visto come il mondo l’ha trattata. Ma in Aurora ci sono anche tutte le donne che ho conosciuto nella mia vita, donne magari un po’ più grandi di me, brillanti, intellettualmente sbalorditive, che non hanno ricevuto nel corso della loro esistenza le attenzioni che avrebbero meritato.

 

Come costruisce i suoi personaggi femminili?

Cerco di creare tessere di donne e ragazze che si completano e diventano un tutto. La ragione per cui lo faccio è perché almeno negli Stati Uniti, ma mi sento di dire anche nel resto del mondo, ancora non si lascia che le donne siano pienamente esseri umani e che si possano esprimere liberamente con i loro corpi. Perché ci sono ancora leggi che ci proibiscono di vivere una vita dignitosa e libera. Creo pezzi di donne che insieme fanno rivoluzioni sotterranee, segretamente,  per portare il nostro corpo a esprimersi pienamente.

 

Come ha vissuto l'annullamento della sentenza Roe vs. Wade e il passo indietro della giurisprudenza americana sul diritto all’aborto?

Ho quasi 61 anni e questi tentativi si sono verificati almeno tre volte. Questo mi convince sempre di più del fatto che il tempo non sia lineare, ma circolare. Le cose si ripetono. E questo può essere anche letto in chiave positiva: significa che abbiamo sempre più possibilità per cambiare la storia, per raddrizzarla. Anche le svolte più cupe e pericolose vanno affrontate come una nuova opportunità di ribellione, una nuova chance di scegliere la rivoluzione e abbracciare un "ethos" alternativo.

 

“Impulso” può essere definito libro femminista?

Sì, è un libro ferventemente femminista, ma ci deve essere una messa in discussione dei limiti del femminismo e si deve acquisire la consapevolezza che il femminismo si evolve. Nella mia concezione di femminismo è fondamentale il  cambiamento. Credo che la più grande sfida per il movimento sia essere sempre più "intersezionale".

 

Proprio all'inizio di "Impulso" c’è una dedica speciale a “tutti gli orfani e ai disadattati” ai più fragili e l’elenco continua. Perché ha scelto di mettere al centro della sua opera le persone ai margini?

Probabilmente perché sono le persone che ho amato di più e con cui ho interagito di più e in cui mi sono riconosciuta di più nella mia piccola vita qui sul pianeta. Io sono solo un piccolo puntino. Voglio mettere l'accento sul fatto che le persone ai margini sono quelle che plasmano la società, perché senza periferia non ci sarebbe centro. In tutte le comunità hanno un enorme potenziale creativo, danno senso alle cose. Sono protagoniste.



Lei stessa si definisce fieramente una disadattata. Come è arrivata ad accettare quella che chiama la “bellezza di essere una disadattata”?

Se ti senti diverso, disadattato, se non ti senti bene nella tua quotidianità all’interno del corpo in cui sei nato, sappi che non sei il solo. Ho vissuto abbastanza per scoprire che ci sono tante persone come me e la bellezza dell’essere anomali è un'opportunità. Questo è il mio messaggio. Unendoci generiamo un qualcosa di nuovo e eccezionale. Penso che ognuno in fondo sia “danneggiato”, che sia un disadattato. E che voglia cambiare la narrazione a cui è destinato. “Essere disadattati” significa che c’è speranza.

 

 

Chiunque abbia letto il suo memoir "Cronologia dell’Acqua", un viaggio fatto di droga, autodistruzione e speranza, avrà l’impressione di conoscerla personalmente. Per questo le chiedo in che fase della sua vita si trova in questo momento, come scrittrice e come donna?

Sto letteralmente cambiando forma. Sono appena entrata in quella che chiamiamo menopausa: è importante parlarne, perché è un genere di metamorfosi a cui vanno incontro certi corpi nel mondo. “Cronologia dell’Acqua” e “Impulso” parlano delle trasformazioni possibili, quelle che ci fanno sentire piccoli e sbagliati. Come scrittrice sono in una fase nuova ma le metamorfosi non hanno età, avvengono in ogni momento della vita e colpiscono tutti.

 

Proprio "Cronologia dell'Acqua" è il suo libro di memorie più venduto e acclamato. È possibile scriverne un altro che sia sulla stessa scia?

In un certo senso se seguissi un criterio razionale non dovrei mai più scrivere niente di simile. Alla domanda precisa, rispondo però che ho un altro libro della categoria “non-fiction” che uscirà il prossimo anno e che racconta la mia trasformazione. Ripercorro la mia stessa storia da tanti punti di osservazione differenti. Sarà pubblicato da Riverhead e si chiamerà “Reading the waves”. Non è del tutto comparabile con "Cronologia dell'Acqua". Proprio come "Impulso" parla di una donna che vive una metamorfosi, che cambia forma.  Racconto tutto questo attraverso diversi punti di vista.

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