Salone del Libro 2024, Strout: "Nel mio nuovo libro l'ombra della guerra civile negli Usa"
LifestyleOra è in libreria in Italia con "Lucy davanti al mare", edito da Einaudi (2024), il quarto del ciclo di romanzi che raccontano le vicende di una scrittrice, per certi aspetti sua alter ego, originaria del Midwest. Ma Strout già ha pronto un nuovo lavoro, la chiusura del cerchio. L'abbiamo intervistata al Salone del Libro di Torino
La lezione inaugurale, che ha tenuto Elizabeth Strout in apertura del Salone del Libro di Torino, è stata un inno alla narrativa e ai suoi superpoteri che ci permettono "di entrare nella vita degli altri e di riconoscere i nostri sentimenti". L'obiettivo di "combattere la solitudine di chi si sente abbandonato ai propri pensieri privati" è perseguito con dedizione e metodo in tutti i suoi romanzi, ma nell'ultimo, "Lucy davanti al mare", ancora di più. Strout torna ai giorni delle città deserte, dei bollettini medici e della caduta delle certezze. Il 2020 della pandemia globale fa da sfondo. Una materia fin troppo recente in cui il lettore si sente necessariamente chiamato in causa, a riconoscersi, rispecchiarsi. Ma il quarto romanzo del ciclo di Lucy Barton non è solo lacrime e interiorità. C'è la politica, ci sono i notiziari, l'America dell'omicidio George Floyd e quella dell'assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Trump che lascia Lucy ed Elizabeth, a volte sovrapponibili, nello sconcerto. Abbiamo incontrato Strout al Salone del Libro di Torino.
Se dovesse presentare Lucy Barton a una persona che non sa niente di lei?
Direi che è una donna che viene da un background poverissimo e non è solo una questione di miseria. Penso che questo sia l'aspetto più decisivo per Lucy Barton. Anche se Lucy riesce a trascendere tutto questo, le sue origini la definiranno per sempre: questa appartenenza al mondo degli esclusi è qualcosa che si porterà per sempre.
“Lucy davanti al mare” è un romanzo ambientato nel 2020 tra mascherine e terapie intensive. Perché questo scenario?
Penso di aver deciso di ambientare il romanzo nel periodo della pandemia perché avevo appena finito di scrivere il libro “Oh, William”, quando è arrivato il Covid. E ho realizzato che era successo qualcosa di storico, che meritava di essere registrato. Potevo cristallizzarlo con il punto di vista di Lucy, visto che ero nella testa di Lucy in quel momento. Sentivo la necessità di farlo.
Ma non è un libro solo sulla crisi sanitaria, c'è molta politica e società.
Nel libro parlo molto del mio Paese, gli Stati Uniti d'America che sono attraversati da enormi cambiamenti e da uno stato di agitazione. Abbiamo avuto il movimento Black Lives Matter da una parte e dall’altra l'insurrezione di Capitol Hill, che è stata di portata inimmaginabile. Ho ritenuto che fossero cose degne di essere raccontate.
Da lei o da Lucy?
Questa domanda mi fa sorridere. Tutto dal punto di vista di Lucy, ho avuto bisogno di entrare nella sua testa e tirare fuori tutto per i lettori. Io non sono Lucy. Abbiamo le stesse idee politiche? SÌ, ma non siamo la stessa persona.
Quattro anni più tardi siamo in piena campagna elettorale. Quale sarebbe lo stato d'animo di… Lucy?
Lucy è molto preoccupata per la situazione del Paese. Nel nuovo libro che ho da poco finito lei e il suo amico Bob Burgess (uno dei personaggi del terzo romanzo di Strout “I ragazzi Burgess”) durante una passeggiata ragionano sullo stato di salute degli Stati Uniti. Temono che il Paese sia sul punto di sprofondare in una guerra civile. Non sanno come andrà finire.
Nei suoi primi libri c'era il Maine “puritano” degli anni Cinquanta. Negli ultimi tanta contemporaneità. Sente l'esigenza di parlare del presente, di denunciarlo?
Sto semplicemente seguendo i miei personaggi invecchiare, il tempo scorre: è per amore dei miei personaggi, per non abbandonarli, che mi sono concentrata sulla contemporaneità. Non penso di avere una coscienza di questo.
Il giudizio degli altri è un tema ricorrente della sua narrativa.
Io costruisco i miei personaggi con onestà. Mi affeziono a tutti quelli che escono dalla mia penna, anche a quelli negativi. È liberatorio perché nella vita vera sono giudicante come tutti: è inevitabile giudicare, giudicare fa andare avanti il mondo in un certo senso. Ma quando scrivo non c'è mai l'ombra del giudizio. Possono fare qualsiasi cosa, li amo senza condizioni.
E a proposito di giudizio, nella sua produzione cambiano gli scenari ma c’è sempre il tema delle famiglie ultra protestanti, delle famiglie come quella in cui è cresciuta lei.
Io scrivo di uno specifico spicchio di società, la gente del Maine con un certo profilo religioso puritano e conservatore e di chi ha gravitato in quel mondo. Se vogliamo essere ancora più orecisi, gente del nord del New England. Grazie a Dio, stanno diventando vecchi, molti sono già morti, c'è un ricambio generazionale.
Cosa dobbiamo aspettarci ora da Lucy Barton?
Ho già finito il mio nuovo libro, un altro dii Lucy Barton. Sarà l'ultimo del ciclo, parlerà degli ultimissimi anni e mesi.