Il fumettista spagnolo, premiato per la seconda volta a Lucca con lo Yellow Kid come migliore autore dell'anno grazie a Ritorno all'Eden, si racconta nel quindicennale del suo capolavoro Rughe
Miglior autore dell’anno, di nuovo premiato 14 anni dopo la prima volta. Tra i grandi protagonisti di Lucca Comics & Games c’è certamente lui, Paco Roca, fumettista spagnolo dal tratto caratteristico, il fare gentile ed empatico, la capacità di raccontare storie di dolore con una straordinaria delicatezza. Da Rughe, che proprio quest’anno celebra il suo quindicennale e viene ripubblicato in un'edizione deluxe, a Ritorno all’Eden, due opere che segnano una linea di continuità non solo perché entrambe sono state insignite di un importante riconoscimento a Lucca (il Gran Guinigi nel 2008 la prima, lo Yellow Kid come autore dell’anno la seconda nel 2022), ma anche perché si inseriscono nello stesso filone tematico tanto caro all’autore: la memoria. Ricordare, prima di tutto, per onorare il passato, comprendere il presente e costruire il futuro. Ma non chiedetegli il titolo di un’opera che l’ha particolarmente colpito: sarà in grado di raccontarvi la trama in modo perfetto, ma il nome, solo quello, lo avrà quasi certamente dimenticato.
Secondo premio a Lucca. Come ti senti?
La prima volta, nel 2008, non avevo capito del tutto il valore di questo premio. L’ho rivalutato meglio dopo, scoprendo la sua storia e chi lo aveva vinto. Per me era un premio normale, importante, certo, perché il primo fuori dalla Spagna, ma normale.
La memoria, individuale e collettiva, è al centro di molti tuoi lavori. Se Rughe era un libro sulla perdita della memoria, Ritorno all’Eden è invece un libro sulla memoria ritrovata. Sembra quasi la chiusura di un cerchio.
Sì, per molti Rughe, La Casa e Ritorno all’Eden costituiscono una sorta di trilogia della memoria. In Rughe si parla di una malattia che cancella la memoria e l'identità della persona, c’è una parte metaforica che riguarda il conoscere sé stessi. Picasso diceva che l’arte è l’unico modo per conoscere sé stessi e il mondo, a me i fumetti permettono di riflettere sui temi che ritengo interessanti. La memoria è uno di questi, sia dal punto di vista familiare sia da quella sociale.
leggi anche
Lucca Comics 2022, John Romita Jr a Sky TG24: Spider-Man è eterno
Quella individuale e quella collettiva, appunto.
Sì. Quest’ultima è fondamentale. Nel mio Paese, la Spagna, abbiamo cancellato una parte della nostra memoria, quella che riguarda l’epoca tra la Seconda Repubblica e il Franchismo, per poter procedere alla riconciliazione. Credo sia importante fare un lavoro di recupero di identità del Paese, indagare il passato per conoscere il presente della Spagna. E credo valga anche per altri Paesi.
Pensi che oggi questa memoria collettiva sia preservata? Se la passa bene? O invece è in pericolo?
Purtroppo i messaggi degli storici seri che hanno lavorato finora in Italia, Spagna, Germania non arrivano alla maggioranza della gente. Viviamo una realtà in cui tutti possono opinare su tutto, anche sulla scienza, persino mettere in dubbio che la Terra sia una sfera. Così ci sono anche revisionisti storici sul fascismo e la dittatura, che senza alcuna base e fondamento smentiscono ciò che è stato dimostrato dagli storici in molti decenni. È una guerra difficile da combattere per via del populismo. La letteratura, il fumetto e il cinema hanno un ruolo importante perché possono portare la storia e la scienza alla società. Siamo un pezzo importantissimo per poter riflettere sul passato in modo serio.
leggi anche
Mercoledì, Tim Burton: "Tutti quanti abbiamo una famiglia stramba"
Messa così sembra che le tue opere e il fumetto in generale abbiano anche un ruolo educativo.
In parte, forse, ma il rischio è che un fumetto si trasformi in un pamphlet politico, che mostri una realtà che è personale e mutuata dalle idee di chi scrive e disegna. Questo capita in particolare con la memoria che è un tema fortemente politicizzato, e non lo voglio. Le mie opere non devono insegnare ma stimolare riflessioni, lasciare domande più che risposte o insegnamenti.
I personaggi delle tue storie sono sempre persone comuni, spesso ispirate alla tua famiglia. Perché?
Mi piace utilizzare storie vere, che sono state vissute da persone che non hanno i mezzi o non si sentono di raccontarle. Persone comuni, appunto. Storie di gente che lotta anche sapendo che è una lotta impossibile, che perderanno, ma che combattono con dignità e stoicamente. Mi piace creare l’opportunità per recuperare la memoria di chi non crede di avere grandi storie da raccontare ma le ha.
leggi anche
Lucca Comics & Games Awards 2022, tutti i premi di questa edizione
A un certo punto, tu stesso sei diventato un personaggio, quando hai iniziato a raccontare le storie dell'uomo in pigiama.
Sì, è un progetto che è nato con l’incarico che mi aveva dato un giornale locale e poi si è trasferito su El País. Mi avevano chiesto di fare qualcosa per loro, io ho scartato un po’ di idee come delle vignette di avventura e poi mi è venuto in mente un tema. Tutti gli opinionisti sui giornali, alla fine, parlano di loro stessi, così ho pensato di parlare di me. Ma per farlo, io, avrei anche dovuto disegnarmi, e mi è venuto in mente di disegnarmi in pigiama, visto che il mio luogo di lavoro è casa mia. La cosa è entrata talmente tanto nell’immaginario dei lettori che la gente sperava di vedermi in pigiama agli incontri o per strada. La realtà crea la finzione e la finzione manipola la realtà.
C’è un episodio in particolare legato a questo che vuoi raccontare?
Una volta, in un’intervista, un giornalista mi ha detto che il rischio dello stare sempre in pigiama è che quando il postino o il corriere suona e vai ad aprire possa pensare che tu sia un disoccupato, un malato, una persona che non sa come occupare il suo tempo. Io ho risposto che per evitare il rischio basta usare pigiami molto eleganti, di seta magari, così sembra una scelta. Qualche tempo dopo un fan mi ha spedito a casa un pigiama di seta.
leggi anche
Zerocalcare, al Lucca Comics i francobolli con i suoi personaggi
Hai invece mai pensato di prendere un grande classico e raccontarne una tua versione?
Ci sono tante storie che ti piacerebbe fare, ma scrivere un fumetto richiede anni di lavoro, così non riesci a raccontarle tutte e finisci per dover essere selettivo tra i progetti. Certo, sarebbe una possibilità raccontare una storia classica, sfruttare il fatto che sono già note e magari concentrarsi solo su un personaggio o un dettaglio…
Qualcosa del genere l’hai già fatta. Hai lavorato a una storia di Batman uscita nel volume antologico Batman – Il Mondo. E ora stai per tornare sui personaggi legati a quell’universo narrativo.
Sì, è una cosa che non faccio spesso. Sto lavorando a una storia su Catwoman durante la guerra civile spagnola. Si tratta di personaggi che nella testa dei lettori hanno già una personalità, questo ti permette di raccontare storie diverse con molto poco perché hai un pregresso di decenni che è già conosciuto da chi ti legge. La guerra civile spagnola è considerata l’ultima guerra romantica dagli americani, che l’hanno conosciuta per come l’ha raccontata Hemingway. E in guerra capita sempre di incontrare il meglio e il peggio delle persone. Durante la guerra civile spagnola ci fu un incredibile razzia di opere d’arte, e ho pensato che per Catwoman fosse l’ambiente perfetto. Così ho pensato di mettere in scena con lei il più grande furto d’arte della storia.
Rughe è stato un grande successo anche dell’animazione. Hai mai avuto voglia di dedicarti di più a questo?
Mi piacerebbe fare un progetto solo da animatore, sì. Da bambino sognavo questo, come Walt Disney, ma il mondo dell'animazione non è democratico come il fumetto. Con della carta e una matita puoi raccontare la migliore storia del mondo. Portare avanti un progetto cinematografico è molto più difficile. Una volta ho incontrato un produttore a Hollywood, pensavo volesse acquistare i diritti per la trasposizione di una mia opera, invece mi ha chiesto di fargli uno storyboard per un film animato, perché era più semplice farlo produrre così… Non è semplice.