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Papernovela, Silvia Ziche: "Con questa storia capii quanto poteva divertirmi scrivere"

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Gabriele Lippi

Nel 1996 la storia a episodi "Il Papero del mistero" accompagnò i lettori di Topolino per 24 settimane. Fu la prima scritta per il settimanale della Disney da Silvia Ziche, e ora torna in una nuova edizione. L'autrice ne racconta la genesi: "Da bambina, a casa, studiavo mentre mia mamma guardava le soap sudamericane, così..."

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Zio Paperone è disperato. Il suo network televisivo, che trasmette solo delle diapositive in bianco e nero di Paperopoli realizzate da lui quando faceva il fotografo in piazza per arrotondare, inspiegabilmente continua a perdere ascoltatori. E Paperino non risponde al telefono, preso com’è dal nuovo episodio di Bruttiful, la soap più seguita dai paperopolesi. Ed eccola la lampadina che si accende, l’idea giusta per guadagnare nuovi soldi: una telenovela. Nasce così Il Papero del Mistero, storia in 24 puntate scritta e disegnata da Silvia Ziche e pubblicata sul Topolino nel 1996, nota anche e semplicemente come la Papernovela. Un esperimento geniale che compie 26 anni eppure continua a mantenersi giovane, a far tanto ridere, ad avere elementi di sorprendente attualità. Tanto da essere ripubblicata da Panini Comics in una splendida edizione cartonata (201 pagine, 14,90 euro). Per l’occasione ne abbiamo parlato con l’autrice.

Torniamo indietro di 26 anni. In Italia la tv commerciale la fa da padrone. Beautiful Sentieri sono tra i programmi più seguiti. E a te viene in mente di farne una parodia in salsa papera…
Il direttore Paolo Cavaglione aveva chiesto ai collaboratori di realizzare storie molto brevi perché c’erano problemi di foliazione, buchi e pagine da riempire in ogni numero. Quando ero piccola, vivevamo in una casa grande ma con un solo ambiente riscaldato, il salotto, e d’inverno stavamo tutti lì. Mia madre doveva assolutamente guardare le telenovele sudamericane e io per restare concentrata sullo studio davo le spalle alla tv. Non ho idea di che facce avessero i personaggi ma sentivo i dialoghi, e tutti i meccanismi mi erano rimasti molto in testa. Così ho proposto l’idea a Cavaglione e a lui è piaciuta. Mi ci sono buttata e ho capito che era la cosa giusta per me. Fu la prima storia che scrissi per Topolino, e anche se da molti anni facevo la sceneggiatrice per altre testate, è stata quella che mi ha fatto capire quanto mi sarei potuta divertire scrivendo.

“In uno sproposito di puntate”. Furono 24 alla fine, quasi metà anno in compagnia del Papero del Mistero. Un record per Topolino, no?
C’erano state tante storie seriali, ma credo che questo sia il numero di puntate più esagerato che abbiamo raggiunto. Farlo non è stato difficile, ho scoperto che tutto sommato mi trovavo bene nel manovrare una trama così complessa e inserire gag e piccole storie che si concludessero nel periodo breve di ogni puntata. Mi veniva abbastanza naturale. La fatica, semmai, fu il lavoro pratico. Verso la fine ero un po’ affaticata soprattutto dal lavoro di disegno.

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Quando hai concepito l’enigma dei sette oggetti avevi già chiara in mente la sua soluzione?
Sinceramente non lo so, sono passati tanti anni, ma ricostruendo a posteriori presumo di sì. È mia abitudine, prima di costruire i passaggi di una storia, sapere dove parte e dove va a finire. Poi inserisco gli snodi narrativi fondamentali e riempio gli spazi che rimangono. Quindi sì, deve essere andata così.

La Papernovela di Paperon de Paperoni si recita su un canovaccio appena abbozzato e lascia grande spazio all’improvvisazione. Immagino che invece il processo di scrittura della storia sia stato ben più complesso e studiato.
Non c’è mai grande spazio per l’improvvisazione in una storia a fumetti, il lavoro di scrittura è molto importante, e se una storia ti sembra improvvisata probabilmente c’è stato ancora più lavoro dietro. Come per qualsiasi tipo di racconto narrativo o visivo c’è dietro un lavoro di scrittura, è esistita la commedia dell’arte, certo, che si richiamava a una struttura e lasciava una parte di improvvisazione, ma se non c’è pensiero e scrittura dentro si finisce ai reality. La mia idea era fare un bel racconto strutturato, che oltre che divertente fosse anche avvincente. Dovevo portare i lettori avanti per 180 pagine.

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Quale fu l’aspetto più complesso nella gestione di una storia tanto lunga?
Sicuramente la parte del disegno fu la più faticosa. Mettersi a disegnare non è questione di avere un’idea buona, non basta. Quando disegni una pagina non puoi metterci meno di un certo tempo e su una storia così lunga la parte di disegno diventa più faticosa. Anche se, così come quando mi viene un’idea divertente e percepisco che funziona mi viene da sorridere, allo stesso modo anche quando disegno, se riesco ad azzeccare l’espressione di un personaggio, farlo come lo pensavo è un momento di piccola felicità.

Gli episodi uscivano uno alla settimana. Con quanto anticipo ci hai lavorato?
Era partita con buon anticipo, progettando la pubblicazione in tempi relativamente brevi, dopo qualche mese, ma le ultime puntate fatte quasi in diretta. Sempre con margini di sicurezza, ma meno di quanto avrei desiderato.

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Oggi i tempi sono cambiati, la tv generalista cede il passo allo streaming, lo spettatore si crea il proprio palinsesto, decide quando guardare cosa. Se dovessi ripetere l’esperienza della Papernovela oggi, che cosa ne verrebbe fuori?
Automaticamente mi verrebbe da dirti che mi ispirerei alle serie tv. Vero che non c’è più una tv generalista che tutti guardano e di cui tutti parlano, però l’aspetto sociale o social è rimasto sulle serie, nei gruppi di amici ci si consiglia le stesse serie e poi se ne parla. Per quanto abbia una grande curiosità per tutto quello che è l’ambiente web e social, dal punto di vista della narrazione e del fumetto temo che un mondo virtuale per me sia difficile da gestire. Il rischio estremo sarebbe quello di avere un personaggio che guarda uno schermo per 180 pagine.

Ci sono però interessanti punti di contatto tra il passato e il presente, cose che non sono cambiate. Per esempio, c’è una parte della storia in cui la produzione riceve una lunga serie di telefonate di varie associazioni che si lamentano perché la loro sensibilità è stata violata. Oggi si parla tanto di suscettibilità e politicamente corretto e l’indignazione e la protesta viaggiano su Twitter…
Anche per me è stata una sorpresa vedere come questa cosa si sia realizzata su larghissima scala, invadendo tutti i modi di comunicazione e narrazione. All’epoca c’era un po’ in embrione, le emittenti iniziavano a dare la possibilità agli spettatori di interagire con le telefonate. Poi c’è un’altra cosa che secondo me è attuale, il fatto che tutti i paperopolesi vogliono partecipare al mistero dei 7 oggetti, un concetto di interattività che si è evoluto moltissimo con la tecnologia e i social.

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La seconda metà degli anni ’90 fu un periodo di grande fermento e sperimentazione in Disney Italia, molti fan vi guardano con nostalgia. Che ricordi hai?
Bellissimi. Sono estremamente convinta che i lettori di Topolino si divertono se anche gli autori si divertono. E quello è stato un periodo in cui noi autori ci siamo divertiti come dei matti, eravamo motivatissimi, proponevamo delle idee e riuscivamo a realizzarle, e questo entusiasmo è arrivato anche ai lettori. Raccontare in generale non può mai essere solo un lavoro, deve esserci una passione, una necessità. Quando questo succede, i lettori lo vedono e lo percepiscono. In quegli anni è stato un bel momento, lavoravamo come dei matti ma lo facevamo volentieri.

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