In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Caterina Soffici: “Il fascino della montagna? Nasce anche dalla sua complessità”

Lifestyle

Filippo Maria Battaglia

In un diario pubblicato da Ponte alle Grazie la giornalista e scrittrice racconta la sua esperienza trascorsa in una baita a 1700 metri provando a scrostare con ironia la patina degli stereotipi sul "selvatico sublime" . L'intervista durante "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24

Il tuo browser non supporta HTML5

Condividi:

Pascoli, malghe, vette innevate. Da anni ormai la retorica del "selvatico sublime" prospera alquanto rigogliosa sull'immagine della montagna, finendo spesso con l'occultarne il valore e riducendola a una cartolina bidimensionale di sicura presa. In “Lontano dalla vetta”, un diario pubblicato da qualche settimana per Ponte alle Grazie, Caterina Soffici ha deciso di provare a scrostare questa spessa patina, restituendone la ricchezza e la complessità con uno sguardo che si affida spesso all'ironia.

"L’idea misantropa e ingenuamente anarcoide che solo nei boschi è l’essenza delle cose, quella natura idealizzata, molto romantica e fuori dal mondo, non mi appartiene", racconta Soffici, che montanara non è ma che per un "accadimento" (come lo definisce lei in questo libro)  si è ritrovata a vivere in una baita sulle Alpi a 1700 metri. Quell'esperienza le ha permesso di sfatare poco a poco una serie di stereotipi, a cominciare da quelli sulla natura, "una natura reale che - per chi vive la montagna - è assolutamente distante da quella che siamo soliti idealizzare". 

Freddo, ghiaccio e insospettabili relazioni

"Uno pensa di andare in mezzo ai boschi e di trovare il midollo della vita e la propria realizzazione - racconta nella nuova puntata di "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24 -  Poi, in verità, quando ti trovi veramente lì, scopri che la montagna, oltre ad incredibili paesaggi, è anche un'altra cosa: il freddo,  il ghiaccio che si forma sulle scale, l'obbligo a volte di stare isolati".

Quell'esperienza - spiega la giornalista e scrittrice - può creare spiazzamento e incertezza, ma può pure regalare sorprese, a cominciare da insospettate relazioni. "Si dice che il montanaro sia una persona di poche parole, ed è vero. Eppure  è molto meno chiuso di quanto si possa immaginare: devi solo avere la pazienza di aspettare che sia lui ad aprirsi con te. Se questa fiducia si crea, si instaurano relazioni bellissime, anche perché quando succede qualcosa di grave scatta una solidarietà che è poi la tipica solidarietà delle persone che vivono in ambienti ostili dove la natura può essere potente e pericolosa, spazzando via il lavoro di una vita. Ecco, quando accadono queste cose, trovi un lato umano intenso e profondo: c'è gente, in montagna, che rischia la vita per salvare quella degli altri. Una cosa, questa, difficilissima da trovare in qualsiasi città".

approfondimento

Paolo Cognetti: "Quanto è faticosa la semplicità nella scrittura"