Barrilà: "La formazione degli insegnanti decide il destino del Paese"

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Domenico Barrilà

Il PNRR stanzierà 17 miliardi per il Piano per rafforzare il piano educativo scolastico. Il Ministro Bianchi ha firmato il decreto con i primi 500 milioni per interventi sulla fascia 12-18 anni. Fondamentale sarà la formazione degli insegnanti, ai quali affidiamo l'istruzione del nostro futuro, ossia i nostri figli  

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Si è aperto il fronte della formazione degli insegnanti. Finalmente.

Le intenzioni e le parole, anche del ministro Patrizio Bianchi, sembrano solide, quale sarà la realtà lo vedremo. Quando c’è di mezzo un pilastro come la scuola, le affermazioni solenni e le accelerazioni non sono interlocutori auspicabili.

Vi sono, però, due certezze.

La prima è che la scuola non è in grado di prendersi la società sulle spalle, ma quest’ultima è dura d’orecchi e fatica a comprenderlo.

La seconda è che la formazione degli insegnanti è strettamente legata al destino del Paese, perché nelle aule scolastiche si forma l’individuo e si contribuisce a fabbricare la collettività, per una ragione che non consideriamo mai abbasta. La scuola è il primo ambito di vita sociale che il bambino incontra sulla sua strada. Se in quei luoghi vi sono occhi capaci di scrutare, può cambiare l’universo.

 

La formazione dovrebbe concentrarsi sulla comprensione dello stile di vita di bambini e ragazzi, mettendo in condizione chi lavora con essi di capire, per quanto possibile, i finalismi impliciti nei loro comportamenti, perché nel teatro della vita sociale è più facile vederli.

 

Per rendere più chiaro il concetto ci spostiamo indietro di 21 anni.

Nel febbraio del 2001, un ragazzo di 17 anni uccise la sedicenne, compagna di classe, che l’aveva lasciato, recidendole la carotide con un temperino. Il fatto accadde davanti all’istituto che frequentavano, testimoni alcuni compagni.

Il direttore di un settimanale mi chiese una riflessione sulla vicenda, cercai di documentarmi a fondo, rovistando anche tra le dichiarazioni della famiglia del ragazzo e tra quelle dei compagni di classe. Da una parte la madre, che definiva il figlio un ragazzo tranquillo, dall’altra i compagni, che ne tracciavano un ritratto più complesso, venato di irrequietezza.

Forse avevano ragione tutti, ma i compagni e gli insegnanti godevano di un vantaggio, frequentavano lo studente a scuola, in una situazione sociale, mentre la madre lo vedeva in un contesto ristretto, per lo più da solo, nella sua cameretta.

 

Quello che dicevamo prima ora diventa più chiaro, a riprova del fatto che la vita sociale rivela i lineamenti dello stile di vita, come uno sfondo sul quale si proietta la nostra figura, esaltandosi e divenendo leggibile all’esterno. La scuola è il primo cancello sociale che il bambino attraversa. Preziosissimo, perché può rinforzare qualità e correggere errori, forte della circostanza che vede la macchina non più ferma dal concessionario ma muoversi sulle strade. La vede funzionare.

La scuola è il primo occhio esterno che guarderà il bambino in modo sistematico, la formazione deve aiutarla ad allenare quello sguardo. Quanto accade al check point in cui si incontrano famiglia e scuola, è esattamente ciò che decide il destino di un Paese, ciascuno di noi lo sa benissimo, anche solo istintivamente.

Quasi tutti ricordiamo il primo giorno di scuola, il momento in cui la mamma ci consegnò e degli sconosciuti di cui potevamo fidarci. Già allora “sapevano” che stava per accadere qualcosa di potente nella nostra esistenza. Dovrebbero saperlo anche la famiglia, la società nel suo insieme, la politica, perché ciò che succederà in quella interazione, passato il cancello, plasmerà il futuro di tutti i soggetti coinvolti. Che sono un’infinità.

 

Intorno alla scuola gravita, infatti, un popolo enorme. Intanto quasi 8 milioni e mezzo di studenti, di cui 7,6 milioni alla pubblica e circa 800 mila alla paritaria. Possiamo ipotizzare 15 milioni di genitori e 20 milioni di nonni. Mettiamoci un milione di insegnanti e personale scolastico vario. Aggiungiamo editori, rappresentanti, librai, cartolai, tutte le aziende e tutti i lavoratori che a qualche titolo forniscono servizi. Non considero gli oltre 200 mila bimbi che frequentano i nidi, un altro check point delicatissimo, così come non considero i 2 milioni di individui, sommando studenti universitari e personale degli atenei.

 

La scuola finisce per coincidere quasi perfettamente con il Paese. Immaginare che chi lavora all’interno di essa, vera officina della società, possa essere lasciato da solo, che la sua formazione possa dipendere dalla buona volontà dei singoli, dalla sensibilità dei dirigenti o da accadimenti casuali, significa mettere le future generazioni e chi le forma in balia di un grande effetto lotteria.

Ma c’è dell’altro. Immaginiamo di guardare un Pianeta col telescopio. Dopo avere messo a fuoco l’immagine con il nostro oculare, ci potremo concentrare sullo spettacolo, tuttavia, la soddisfazione durerà solo pochi secondi, perché presto l’astro uscirà dal nostro campo visivo.

 

La ragione è semplice. I pianeti si muovono e lo fa anche la nostra Terra.

Allo stesso modo, un minore non si ferma mai, non a caso la sua si chiama età evolutiva. La stessa mobilità non tocca la vita degli adulti, ragione per cui tra un insegnate e uno studente, quale che sia la sua età, prenderà corpo uno sfasamento, che abbiamo l’obbligo di compensare. Nel caso del telescopio installeremo un piccolo dispositivo che seguirà i movimenti del corpo celeste, mentre nel caso della scuola quella funzione la può svolgere solo una formazione sistematica del personale docente, tenendo conto che con l’avvento delle tecnologie digitali lo sfasamento educando/educatore prende corpo molto più rapidamente.

 

Tuttavia, non basterà, come si crede, aumentare la dimestichezza di piccoli e grandi con le nuove tecnologie, perché il cambio di dosaggio tridimensionale/virtuale tocca molto altro, investe le fondamenta stesse della nostra umanità, del modo in cui si è formata, attraverso interazioni “fisiche” che vanno avanti da milioni di anni. Dobbiamo studiare a fondo le conseguenze di questi passaggi, non si tratta solo di tecnologia, ma di un’impresa che non possiamo chiedere alla scuola di compiere in solitudine, perché mastodontica.

La scuola lavora su delega della società, è affare di tutti.

 

Infine, lo stile di vita dei nostri figli si forma precocemente ed è modellato in particolare dagli stimoli ambientali. Ebbene, da un certo punto in avanti la scuola diventa l’ambiente preponderante, perché tra le sue mura i collaudi non sono solo didattici, ma spesso esistenziali, a cominciare dal capitolo affettività.

Se popolata di personale competente, formato con serietà e aggiornato costantemente, la scuola può diventare un immenso ammortizzatore di errori educativi, modificando percorsi a rischio, soprattutto in un momento in cui la

famiglia è sottoposta a fatiche improbe, con disagi crescenti e fratture incessanti, che incrementano nei bambini e nei ragazzi le paure più grandi, non essere niente e non appartenere a nessuno.

Ogni centesimo investito in modo qualificato nella scuola sarà risparmiato nel comparto del welfare, perché il modo in cui bambini e ragazzi cercheranno di rispondere a quella paura indirizzerà la loro vita, non è un paradosso, proprio dalla paura di essere niente nasce ciò che vediamo fiorire intorno a noi, nel bene e nel male. Quando parliamo di formazione degli insegnanti di questo stiamo parlando, e anche di molto altro, qualcosa che riguarda il senso dello stare al mondo e il modo in cui ci si sta.

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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