Dai giganti alle startup: tutti i servizi di pagamento online

Economia

Paolo Fiore

(Getty Images)

L'ultimo a entrare nel settore è Facebook. Google ha annunciato un nuovo servizio. E poi ci sono Apple, Samsung, Amazon. E una galassia di app, anche italiane

Startup cresciute in pochi anni, giganti della tecnologia d'occidente e d'oriente, banche tradizionali: è un momento di grande traffico per i pagamenti digitali, che ormai da tempo hanno smesso di essere presidio di società solo finanziarie. Connettività (che arriva anche dove non possono casse e sportelli) e grande penetrazione degli smartphone sono la base per espandersi sia nei Paesi più ricchi sia in quelli in via di sviluppo (FOTO).

Google raddoppia

Google si è tuffata nei pagamenti digitali nel 2015, riunificando poi nel 2018 le sue due "braccia" (Android Pay e Google Wallet) in Google Pay. È in sostanza un sistema per digitalizzare le proprie carte e utilizzarle sia alla cassa (con lo smartphone) che nelle spese online. Adesso Google rilancia: dovrebbe esordire nel 2020 il progetto Google Cache. Si tratta di un nome in codice e non è detto verrà riproposto nel lancio commerciale. Si sa però cosa sarà: Mountain View offrirà agli utenti di aprire conti correnti, da integrare poi in Google Pay. In questo modo, pur appoggiandosi a una banca (Citigroup) per questioni di licenza, Big G mira a coprire una fetta maggiore della filiera dei pagamenti. Oggi, infatti, Google Pay ha bisogno del supportato di banche e circuiti di pagamenti terzi.

Facebook tra chat e blockchain

Facebook si è mossa in diverse direzioni. In India ha sperimentato WhatsApp Pay, per trasformare l'app in un sistema di pagamento. Adesso ha annunciato un progetto più ambizioso. Si chiama Facebook Pay e costituirà una piattaforma per i pagamenti su tutte le app del gruppo: Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp. La mossa arriva dopo l'avvio della chiacchierata esperienza di Libra. La moneta digitale lanciata da Menlo Park (ma non ancora operativa) dovrebbe viaggiare su blockchain abbattendo i costi di transazione e coinvolgendo partner esterni al gruppo di Mark Zuckerberg. Sin dall'inizio, la fondazione che gestisce il suo percorso ha indicato il trasferimento di moneta tra utenti come la principale applicazione. Libra, però, ha destato le preoccupazioni dei regolatori: sono aperte questioni di trasparenza e conformità finanziaria che hanno spinto Mastercard, Visa e Paypal (inizialmente tra i partner) ad abbandonare il progetto. Senza il loro supporto, il percorso si complica. In attesa di schiarite, Facebook punta allora al piano B: un sistema di pagamenti che ha comunque una platea potenziale di 2,4 miliardi di utenti.

Quelli degli smartphone

I tre principali produttori di smartphone (Samsung, Huawei e Apple) hanno un proprio sistema di pagamenti digitali. Quello del gruppo di Shenzhen non è ancora arrivato in Italia. Il funzionamento è simile: si associa lo smartphone alla propria carta, usando così il dispositivo come portafogli digitale anche nei punti vendita fisici dotati di Pos. Nel caso di queste società, l'obiettivo è doppio. Da una parte – chiaramente – c'è la volontà di guadagnare in un nuovo settore; dall'altro l'accostamento di servizi con l'hardware rinsalda il proprio ecosistema e rappresenta un incentivo all'acquisto di altri dispositivi dello stesso gruppo. I pagamenti, in un certo senso, contribuiscono a fidelizzare. Va in questa direzione anche Apple Card, la carta di credito lanciata dalla Mela. Con un ulteriore incentivo: un cashback (cioè un rimborso) su ogni acquisto, che però è più generoso nel caso si comprino prodotti e servizi di Cupertino.

Quelli dell'e-commerce

Amazon ha già un suo "Pay". Permette agli utenti di pagare gli acquisti online (non solo sulla piattaforma di e-commerce) utilizzando i dati del proprio account Amazon, in modo da sveltire le procedure e affidandosi – anche su siti terzi – alla gestione di un marchio conosciuto. In passato si era vociferato di un accordo con J.P. Morgan e Capital One che avrebbe permesso agli utenti di aprire propri conti correnti direttamente sulla piattaforma. Per ora non se ne è fatto nulla, ma una mossa di Jeff Bezos non sarebbe una sorpresa. In ambiente e-commerce è cresciuto anche il servizio che, fino a poche anni fa, era "il" pagamento digitale: PayPal. Dal 2002 al 2015, è stato controllato da eBay. Poi è la società stata scorporata, sia per quotarsi (e remunerare gli azionisti) sia per sfruttare al meglio l'espansione dell'e-commerce oltre la piattaforma proprietaria. Nel 2013, PayPal ha acquisito Vemno, app di pagamenti con una forte componente social che si concentra sul trasferimento immediato di denaro tra amici (VIAGGIO DENTRO AL COLOSSO DELLA SILICON VALLEY - FOTO).

Uber sulla strada dei pagamenti

Alla fine di ottobre, Uber ha lanciato Money, una nuova divisione che si occuperà di pagamenti digitali. Include diversi servizi. Quelli disponibili per primi (anche se al momento solo negli Stati Uniti) riguardano un sistema di pagamenti integrato nell'app e aperto agli autisti, che così potranno ricevere l'incasso delle corse in tempo reale. Questo portafogli si allargherà poi ai fattorini di Uber Eats e agli utenti. Anche la compagnia guidata da Dara Khosrowshahi ha una propria carta di credito, che si appoggia a una banca, Barclays. Si punta da una parte a rendere più agevoli i pagamenti di corse e consegne, limitando l'uso del contante (che non conviene in termini di sicurezza e tempo). Uber Money è anche il tassello di una strategia più ampia: concedere servizi appetibili (oltre che agli utenti) agli autisti. Obiettivo: soddisfare alcune richieste per evitare di riconoscere l'oneroso status di dipendenti e disincentivarli ad abbandonare la compagnia per la concorrenza (Lyft) o per fare altro.

Le app italiane

Tra le app di pagamenti italiane, la più nota è Satispay. Utilizza codice Iban e numero di telefono per pagare il conto alla cassa dei negozi della propria rete, fare acquisti online o trasferire denaro tra amici, ad esempio per dividere il conto al ristorante. Ha anche una funzione "salvadanaio", che consente di mettere da parte piccole somme ogni giorno. La valorizzazione del risparmio è la vocazione di un'altra app, fondata da italiani ma con sede a Londra: Oval Money. È nata come applicazione che, associata al proprio conto, monitora le spese e consigli all'utente come risparmiare. Ad aprile si è allargata con il lancio di Oval Pay: ha un conto, una carta e permette di pagare via smartphone. Il passo successivo è arrotondare ogni operazione per mettere da parte piccole cifre alla volta. Anziché lasciarle in deposito, però, le investe per valorizzarle. Tra le italiane c'è anche Tinaba, app per trasferire denaro (ad esempio ai propri contatti in rubrica). È marchiata da Banca Profilo, ma per usarla non serve avere un conto corrente.

La carica delle startup  

Tra startup e società digitali cresciute a tal punto da non esserlo più, ce ne sono molte che ci occupano di pagamenti. Quasi tutte hanno sede negli Stati Uniti (dove sono nate o si sono rasferite dopo la fondazione in Europa). Tra le più ricche del panorama fintech mondiale c'è Stripe: offre una piattaforma per i pagamenti online, sia per i clienti sia per le aziende, che così possono gestirli in modo più agevole. Dwolla fornisce un sistema di pagamento online attraverso dispositivi mobili. Zelle è un network di pagamenti digitali istantanei, con la particolarità di essere figlio della collaborazione tra le grandi banche statunitensi, come Bank of America, JPMorgan, Citibank e Wells Fargo. Cash App è un servizio di pagamenti mobile sviluppato da Square. È, in un certo senso, parente di Twitter. In comune hanno lo stesso fondatore e lo stesso ceo: Jack Dorsey. In mezzo a tante americane (di nascita o d'adozione), c'è un startup in forte espansione che resta in Europa: Revolut. L'app combina diversi servizi, disponibili anche in base al tipo di abbonamento che si sottoscrive: offre una carta di credito (virtuale o fisica), traccia le spese e gli obiettivi di risparmio, consente di inviare denaro nel mondo e, ai clienti premium, di scambiare criptovalute.

Le cinesi: WeChat e Alipay

Si parla molto di Facebook e del suo intreccio tra messaggistica e pagamenti. In realtà non si tratta di un legame inedito. In Cina è già una realtà: WeChat (che fa capo al colosso Tencent) ha costruito un ecosistema nel quale il trasferimento di denaro si fonde con le chat e con altri servizi. Una sorta di "super-app" alla quale Facebook potrebbe ispirarsi. L'altro grande attore cinese dei pagamenti è Alipay, piattaforma nata come costola di Alibaba nel 2004. Poggiandosi su strumenti tradizionali, è simile ai vari Pay di Google e Amazon. È rimasta a lungo un'opzione per i soli cittadini cinesi. Fino a ora: Alipay ha appena aperto, per la prima volta, ai turisti stranieri. Chi visita la Cina, ha scaricato l'app, ha un visto e una carta di credito può utilizzare l'applicazione. Dal 2018, un accordo con Tinaba permette ai cinesi in Italia di pagare via smartphone nei negozi che aderiscono al circuito dell'app italiana.

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