Con la crisi parità di genere più lontana

Economia

di Simone Spina

Una delle priorità del programma di governo di Mario Draghi è quello di ridurre le differenze fra donne e uomini nel mondo del lavoro. Nel nostro Paese la quota di occupazione femminile è bassa, nel settore privato gli stipendi delle donne sono inferiori e spesso le loro carriere sono interrotte, o frenate, per l'assenza di sufficienti misure di assistenza alla famiglia

E’ stato uno dei passaggi più applauditi dai senatori. Quello della parità di genere. Nel nostro paese, ha detto Mario Draghi, il divario fra uomini e donne nel lavoro è ancora troppo ampio e bisogna superare il formale, e talvolta ipocrita, rispetto delle quote rosa per garantire, davvero, parità di condizioni.

 

L’obiettivo è aumentare l’occupazione femminile, ridurre le differenze nei salari e fare in modo che non si debba scegliere tra famiglia e carriera. 

La pandemia ha aggravato il quadro. Degli oltre 400mila posti persi dall’arrivo del virus in Italia, più di 300 mila riguardano donne. Un’emorragia che si spiega anche per il fatto che sono stati precari e autonomi finora a pagare di più il prezzo della crisi. Ci sono più donne che uomini impiegati part-time e spesso si tratta di una scelta obbligata dall’assenza di strutture sufficienti per i figli, come gli asili nido.

Al di là dell’emergenza sanitaria, il nostro è uno dei Paesi europei con la più bassa percentuale di donne con un impiego. Se si colmasse il divario di genere, l’Italia guadagnerebbe 88 miliardi di prodotto interno lordo l’anno. 

Con una crisi profonda come quella che viviamo, si capisce, quindi, che la parità non è solo una questione ideologica. 

Le donne italiane studiano di più degli uomini ma sono ancora poche quelle con una laurea scientifica: in ingegneria – per esempio – sono solo il 26 per cento. 


In ogni caso, stentano a raggiungere posizione di vertice nelle aziende e sono pochissime quelle che dirigono grandi imprese.


Una situazione che influisce sulla busta paga: gli uomini guadagnano di più anche se ricoprono lo stesso ruolo delle loro colleghe, un solco che nel settore privato vale il 20 per cento: è come se una donna lavorasse un anno intero ma prendesse lo stipendio a partire da metà marzo.

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