Rincari degli alimenti, a cosa è dovuto il +25% degli ultimi 5 anni?

Vero, è aumentato un po’ tutto, negli ultimi tempi: ma gli alimenti di più. La conferma alla percezione empirica che abbiamo quando andiamo a fare la spesa è arrivata dall’ISTAT: nei 5 anni che vanno da ottobre 2021 a ottobre 2025 l’inflazione in Italia è stata del 17%, quella dei prodotti alimentari è risultata di 8 punti percentuali più alta, arrivando al 24,9%. Paghiamo insomma un prezzo maggiore di circa un quarto rispetto a quanto pagavamo un lustro fa per gli stessi alimenti: una spesa da 100 euro di allora oggi ce ne costa 125. Vestiti, libri, apparecchi elettrici, vacanze, biglietti per eventi sportivi e artistici, elettrodomestici, detersivi, tutto è aumentato nell’era post covid: ma il cibo di più. E rappresenta circa un quinto delle spese che facciamo quotidianamente . È un fenomeno solo italiano? No, non lo è. Una volta tanto, non siamo messi peggio dei nostri vicini europei: Spagna e soprattutto Germania hanno vissuto rincari ancor più marcati, solo la Francia, tra le principali economie dell’Eurozona, ha resistito un po’ meglio, ma neanche troppo . Siamo sotto la media dei Paesi che aderiscono alla moneta unica . I motivi? Tanti, che si sommano tra loro, in un settore che racchiude molti beni necessari, quindi si caratterizza per la “rigidità della domanda”: la richiesta di quei prodotti non scende molto – non può scendere molto – all’aumentare dei prezzi. Che riguardano in particola modo gli alimenti freschi, quelli non lavorati come i prodotti vegetali , ma anche latticini e uova e pane e cereali . “Le cause di questi rincari sono molteplici, potremmo individuarne tre principali” spiega a Sky Tg24 Paolo Balduzzi, economista dell’Università Cattolica di Milano. “Tutto nasce dalla ripresa della domanda nel post Covid, quindi nel 2021 . Con una maggior richiesta di beni alimentari, hanno iniziato a emergere problemi di approvvigionamento. A questo, si sono aggiunti fenomeni di maltempo estremo in aree cruciali a livello globale, come Centro e Sud America, che hanno limitato produzioni ed esportazioni da queste aree: quindi una relativa scarsità che pure ha impattato sui prezzi. Poi, nel 2022, lo scoppio della guerra in Ucraina ha fatto salire i prezzi energetici, che hanno riflessi diretti, ma anche indiretti, sui prezzi alimentari: ad esempio, attraverso l’aumento di altri prezzi come quelli dei fertilizzanti. Insomma – conclude Balduzzi – si può parlare di un effetto multiplo legato a questi tre elementi principali: più domanda, meno offerta, più costi di energia. Ma tutti questi fattori negli ultimi mesi stanno rallentando la loro pressione”. Negli ultimi mesi, appunto, la corsa dei prezzi per mangiare sta rallentando, come segnala anche Giorgio Santambrogio, Vicepresidente di Federdistribuzione, l’associazione che riunisce gli attori della grande distribuzione. “La concorrenza tra i diversi rivenditori contribuisce a calmierare i prezzi – spiega a Sky Tg24 – perché ovviamente si cerca di attrarre i clienti con risparmi anche minimi”. Come funziona la determinazione di un prezzo allo scaffale? “I fornitori mandano periodicamente il loro listino prezzi; quando applicano un aumento il distributore valuta se e in che tempistica applicarlo al prodotto finale, alla vendita. Siamo piuttosto attenti a individuare gli aumenti davvero necessari, come quelli legati al rincaro delle materie prime o delle bollette dell’energia, da quelli meramente speculativi. Se per esempio un fornitore rincara dal 10% e un altro del 30% lo stesso bene, è chiaro che qualcosa non torna. Quindi quando i produttori e fornitori aumentano i listini, noi abbiamo tutto l’interesse, opposto direi, a tenere i prezzi per quanto possibile bassi – conclude Santambrogio – per attrarre nuovi clienti. In più, c’è da tener conto un lieve sfasamento temporale, perché il venditore può rinviare l’adeguamento di listino anche per qualche mese, per cui c’è sempre da tener conto di una ‘onda lunga’ per riversare quegli aumenti di listino sul prezzo finale”.

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Vittorio Eboli