Perché la Fed ha tagliato i tassi?

La Federal Reserve, così come il mercato attendeva, ha tagliato i tassi di interesse. Il taglio è stato pari a 25 punti base e risponde solo in parte alle richieste, per nulla velate, fatte dall’amministrazione Trump quest’anno. Powell, però, sia chiaro, non ha tagliato per rispondere alle richieste del Presidente ma semplicemente perché ora l’economia lo richiede. Le prime reazioni del mercato alla decisione della Banca centrale americana sono state volatili sul fronte dell’azionario mentre il dollaro ha continuato a indebolirsi . Partiamo anzitutto dalla questione economica. Powell ha definito il taglio una misura di gestione del rischio legata all’indebolimento del mercato del lavoro. Dalle sue parole in conferenza stampa il mercato ha tradotto altri due tagli dei tassi entro fine anno ma in realtà non vi è certezza né urgenza usando le sue parole. Ha detto chiaramente che saranno i dati a guidare le decisioni e che il taglio odierno non cambierà molto da solo. “L’aumento dei dazi e il rallentamento del mercato del lavoro sono le due forze che si stanno contrapponendo – afferma Carlo De Luca di Gamma Capital Markets – l’inflazione è attesa in risalita, ma la Fed crede sarà un effetto temporaneo legato ai beni, non ai servizi”. Se dovessimo sintetizzare, insomma, il percorso verso un ciclo di tagli dei tassi è aperto ma non garantito. Da una parte la Fed deve stare attenta a non tagliare troppo perché se poi l’inflazione arriva – e ne arriva tanta - non la controlli più facilmente, dall’altra se tiene i tassi elevati troppo a lungo rischia di far crollare l’occupazione. Come sempre, e lo ha sottolineato lo stesso governatore, saranno i prossimi dati su inflazione e occupazione a darci qualche lume su come si comporterà la Fed. E’ evidente che Powell al momento abbia tagliato per proteggere il mercato del lavoro, nonostante l’inflazione non sia ancora tornata nel livello che è obiettivo della Fed, il cosiddetto target. Le giornate di martedì e mercoledì però, i giorni in cui si è tenuta la riunione dei governatori del Federal Open Market Committee, è stata interessante anche per la questione dell’indipendenza. A questo meeting, per la prima volta, ha partecipato Stephen Miran, ex capo dei consiglieri economici di Trump e inserito nel board della Fed come membro temporaneo. Ha quindi potuto anche lui esprimere il suo voto relativamente ai tassi e – come ci si poteva aspettare – ha spinto perché Powell tagliasse di più ovvero di 50 punti base e non di 25. “Nei board come alla bocciofila se arriva un nuovo membro ci si aspetta si acclimati e si guardi intorno, allineandosi alla visione di chi è lì prima di lui e conosce bene la situazione di politica monetaria – spiega Carlo Benetti, market specialist di GAM – invece l’unico bastian contrario è stato lui”. E’ ovvio questo sia un segnale. Il mercato infatti vede Miran come un proxy di Trump e quando Powell sottolinea con eleganza l’importanza di una Fed indipendente lo fa perché gli investitori – che acquistano titoli di stato, azionario, dollaro americani - possano ritenere gli Stati Uniti ancora credibili e affidabili. L’indipendenza della Fed è in pericolo? Sono in molti ad escluderlo – tra analisti e gestori – sottolineando al contempo che il rischio c’è.

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Mariangela Pira