Warren Buffet va in pensione: il capitalista improbabile che ha riscritto il capitalismo

Alla fine, è successo: Warren Buffett, il più celebre investitore della storia, ha annunciato il suo addio operativo alla guida della sua Berkshire Hathaway. Lo ha fatto mesi orsono, senza clamore, come ha sempre fatto tutto nella sua vita: una frase nel rapporto annuale agli azionisti, un passaggio di consegne tranquillo, il suo successore Greg Abel già pronto da anni. Ma quando l’oracolo di Omaha va in pensione, la finanza mondiale sente tremare le fondamenta, perché Buffett non è solo un investitore, ma è stato, per oltre mezzo secolo, l'incarnazione vivente di un certo modo di fare capitalismo. Uno stile sobrio, paziente, senza fronzoli, eppure potentissimo. Il più ricco con un panino in mano Buffett ha costruito la sua fortuna, e anche un certo culto attorno a sé, scommettendo sul “valore” quando tutti correvano dietro alla “moda” del momento. È così che nella sua lunga carriera di investitore ha puntato su aziende come Coca-Cola, American Express, Apple, Moody’s, le ferrovie, le assicurazioni, i giornali locali. Non ha mai ceduto al fascino delle startup o delle criptovalute, anzi, le ha sempre derise con un certo sarcasmo. La sua idea era semplice quanto geniale: comprare aziende solide, sottovalutate, e tenerle nel lungo periodo. “Il nostro periodo di investimento ideale è per sempre”, ripeteva come un mantra. Veste sempre allo stesso modo, vive ancora nella stessa casa acquistata nel 1958, mangia spesso da McDonald’s e beve Coca-Cola ogni giorno. Ciò nonostante, nella sua vita ha mosso più capitali di interi Stati. Quando nel 2011 Standard & Poor's declassò il debito sovrano degli Stati Uniti, fu lui, non la Casa Bianca, a tenere tranquilli i mercati dicendo: “Gli Stati Uniti meriterebbero un rating quadrupla A, se esistesse”. Il giorno dopo, tutto si calmò. Questa è la definizione di potere. Il benefattore col fiuto da predatore Buffett ha ovviamente guadagnato e fatto guadagnare miliardi ai suoi azionisti e si è impegnato a donarne altrettanti. Nel 2006 ha scioccato il mondo annunciando che nel suo testamento avrebbe devoluto il 99,5% della sua fortuna in beneficenza ed è stato il primo miliardario a dire che la tassa di successione fosse giusta. Inoltre, ha lanciato con Bill Gates il “The Giving Pledge”, invitando altri miliardari a contribuire con la maggior parte del loro patrimonio a cause filantropiche, cominciando lui stesso a firmare assegni giganteschi ogni anno, senza aspettare la propria morte e principalmente alla Bill & Melinda Gates Foundation. Ma Warren Buffett non è un santo ed è stato anche un capitalista spietato. Quando durante la crisi del debito europeo comprò titoli italiani e spagnoli a prezzi stracciati, ammise che stava approfittando della paura dei mercati per portare a casa ingenti guadagni. Quando nel 2008 salvò Goldman Sachs e General Electric con i suoi capitali, lo fece a condizioni durissime, guadagnando 10 miliardi di dollari in pochi anni. Un generoso, quindi, ma innanzitutto un investitore spietato: uno che se avesse potuto strappare un rendimento del 10%, non si sarebbe accontentato del 9,9. Il capitalismo secondo Warren Anche se pochissimi sono riusciti a imitarlo, il metodo Buffett ha fatto scuola: leggere centinaia di pagine al giorno, analizzare bilanci come un monaco medievale studiava i testi sacri, diffidare delle mode, delle previsioni macroeconomiche e delle “visioni” futuristiche. In più occasioni ha spiegato che non investe mai basandosi su proiezioni macro. “Se qualcuno mi dice che l’economia crescerà del 10%, - ha dichiarato - non cambia il modo in cui valuto un’azienda: guardo solo se guadagna oggi e potrà guadagnare domani”. Negli anni ha costruito la Berkshire Hathaway come un ecosistema chiuso, un conglomerato in cui convivono assicurazioni, caramelle, batterie, giornali, ferrovie, costruttori edili. Un colosso da circa 870 miliardi di dollari, più grande del Pil della Svizzera, che ha fatto della riservatezza e dell’autonomia il proprio marchio di fabbrica. Non un fondo, non una holding, non una multinazionale. Ma tutte queste cose insieme. Buffet e l'Italia Buffett non ha mai effettuato acquisizioni dirette di grandi aziende italiane, ma, come detto, negli anni ha fatto shopping di titoli di Stato italiani in momenti di turbolenza, attratto dai rendimenti elevati. Va detto però che nel 2011, in piena crisi del debito, citò pubblicamente l’Italia come esempio di Paese “che non sarebbe mai fallito” e disse di avere investito in titoli europei, contribuendo a rasserenare parte del mercato. Non sempre, però, è stato percepito come “salvatore”. Dopo la crisi del 2008, Buffett venne accusato di aver tratto profitto da un sistema che lui stesso contribuiva a sostenere, quello delle agenzie di rating. Berkshire Hathaway è infatti tra i principali azionisti di Moody’s, l’agenzia che prima della crisi finanziaria aveva assegnato rating AAA a strumenti finanziari legati ai mutui subprime, poi rivelatisi tossici e all’origine del collasso di molte banche. Per i critici, quella partecipazione rappresenta una contraddizione rispetto alla sua narrazione di capitalista “etico”. Quando poi sostenne pubblicamente Barack Obama e poi Hillary Clinton, non tutti gli andarono dietro. I detrattori lo hanno spesso definito un capitalista “moralista” e “ipocrita” che predica che i ricchi debbano pagare più tasse, ma che continuava a beneficiare delle agevolazioni fiscali sulle plusvalenze e sui dividendi, in linea con la normativa vigente. Un'eredità impossibile da replicare Cosa resterà di Warren Buffett adesso che lascia? Resta un metodo d'investimento scolpito nella pietra: pazienza, valore, disciplina. Resta l’idea che si possa essere miliardari e al tempo stesso “normali”, credibili, persino simpatici. Resta l’eredità filantropica, enorme, concreta, verificabile. Ma resta anche la sensazione che un’epoca sia finita. Il mondo di oggi, fatto di intelligenze artificiali, bolle speculative e mercati iper-veloci, somiglia sempre meno a quello in cui Buffett ha costruito il suo impero. Il suo delfino, Greg Abel, avrà la responsabilità di mantenere in vita la macchina perfetta costruita dal vecchio capo. Ma nessuno potrà replicarne il carisma, l’autorevolezza, la sobria brutalità con cui zittiva Wall Street solo con una frase. Buffett va quindi in “pensione” a 94 anni, lasciando un’eredità di 130 miliardi di dollari, ma soprattutto lasciando un vuoto culturale. Non solo il capitalismo perde il suo volto più noto, ma anche e soprattutto il mondo della finanza perde uno degli ultimi uomini che riuscivano a farlo sembrare, se non giusto, almeno sensato.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Warren Buffet va in pensione: il capitalista improbabile che ha riscritto il capitalismo

Andrea Bignami