L’anno nero dell’impero Shein

Una multa milionaria, una valutazione in picchiata, utili in calo e la quotazione in Borsa ferma ai blocchi di partenza. Il fenomeno Shein rischia di scricchiolare. Fondato nel 2008, il brand ha rivoluzionato il mondo della moda con un modello di business basato su una produzione rapida, prezzi accessibili e una forte presenza digitale. Attraverso una strategia vincente centrata sull’e-commerce e sull’analisi dei trend in tempo reale, il gruppo ha permesso a milioni di persone in tutto il mondo di vestirsi, spesso, con meno di 10 euro. Il brand ha reso la moda più inclusiva e accessibile diventando, in questo modo, il colosso globale del fast fashion. Ma dopo anni di successi, il 2024 ha segnato un anno di svolta. La sanzione dell’Antitrust è solo l’ultimo tassello di un puzzle che sembra star perdendo i propri pezzi per una serie di sfortunati eventi che hanno fatto chiudere l’anno nel peggiore dei modi e inaugurato il 2025 con non poche ombre. Nel mirino dell’Antitrust Non bastano buoni propositi o etichette “green” per essere un’azienda sostenibile. L’autorità garante della concorrenza e del mercato ha inflitto una multa di 1 milione di euro al colosso cinese del fast fashion per le sezioni “#SHEINTHEKNOW”, “evoluSHEIN” e “responsabilità sociale” del sito, dove il gruppo promuoveva i propri prodotti con affermazioni che l’Antitrsut ha definito “vaghe, enfatiche, omissive e in alcuni casi fuorvianti”. Tra le frasi incriminate spiccano promesse come “progettare un sistema circolare” o la presentazione della linea “evoluSHEIN by Design” attraverso l’uso di fibre “green”, descritte come sinonimo di sostenibilità ambientale. Secondo l’Agcm, queste dichiarazioni non sono sostenute da dati chiari a supporto e inducono il consumatore a ritenere che l’intero catalogo del marchio sia sostenibile, quando in realtà la collezione eco friendly rappresenta solo una porzione marginale e non garantisce la completa riciclabilità dei capi. Anche la narrazione climatica dell’azienda è stata messa in discussione: Shein ha promesso di ridurre le proprie emissioni di gas serra del 25% entro il 2030 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Tuttavia, tra il 2023 e il 2024, i dati mostrano un trend opposto: le emissioni sono aumentate, sollevando diversi dubbi sulla concretezza degli impegni ambientali dichiarati. Dal canto suo, Shein ha sostenuto di aver collaborato attivamente con l’antitrust italiana durante tutto il procedimento, adottando misure correttive non appena le criticità sono emerse. Si attende, ora, una risposta ufficiale da parte del colosso del fast fashion. Tra Greenwashing e Dark patterns Nel frattempo, questa vicenda si inserisce in un panorama in cui la comunicazione ambientale è diventata cruciale per le aziende. Secondo il sondaggio Voice of the Consumer Survey 2024 di PwC, i consumatori sono disposti a pagare di più per prodotti sostenibili, ma chiedono chiarezza, autenticità e dati verificabili. La trasparenza non è solo una questione etica: è una leva competitiva. Le aziende che comunicano in modo onesto il proprio impatto ambientale costruiscono fiducia e si differenziano in un mercato sempre più attento. Quando la sostenibilità viene usata come slogan, senza un reale impegno, si parla di greenwashing. E nel caso di Shein, che si rivolge per lo più a una generazione sempre più attenta a queste tematiche, ovvero quella Z, questo tipo di accusa pesa come un macigno sulla multinazionale. All’inizio di giugno, l’Organizzazione europea dei consumatori - che rappresenta le associazioni di 32 Paesi - aveva già presentato un reclamo alle autorità europee contro Shein. L’accusa è di usare strategie ingannevoli per spingere le persone a comprare di più, sfruttando i cosiddetti “dark patterns”: trucchi nel design del sito pensati per far compiere agli utenti scelte che non sono nel loro interesse, spesso senza che se ne rendano conto. Un anno difficile Tutto questo arriva in un momento molto delicato per Shein. Secondo Reuters e Financial Times, nel 2024 il colosso avrebbe registrato un fatturato vicino ai 38 miliardi di dollari, ma con un utile netto in calo del 40%, fermandosi a circa un miliardo. Un chiaro segnale di difficoltà per un modello di business fondato su iperproduzione e velocità, sempre più criticato per il suo impatto ambientale e le questioni etiche che girano intorno alle condizioni di lavoro nelle sue fabbriche, spesso considerate inumane. Nonostante i ricavi restino alti, le sfide per il colosso del fast fashion sono molte: la quotazione in Borsa , originariamente previsto a Londra, è in stallo, con nuove trattative in corso per un possibile debutto a Hong Kong e la valutazione dell’azienda è crollata dai 100 miliardi del 2022 a una stima tra i 30 e i 50 miliardi. Il bivio tra cambiamento e declino La crisi di Shein non è solo finanziaria o regolatoria: è anche una sfida reputazionale. Il consumatore moderno è più informato, più esigente e meno disposto a perdonare incongruenze tra etica e marketing. Mentre Shein cerca di riposizionarsi, i competitor osservano e si muovono: alcuni abbracciano la sostenibilità con maggiore convinzione, altri rivedono i propri modelli produttivi. Intanto, gli utenti iniziano a chiedersi se il prezzo ultra basso valga davvero l’impatto ambientale e sociale che lo accompagna. In questo scenario, Shein ha davanti un bivio: reinventarsi o perdere slancio. La moda corre veloce, ma la reputazione, una volta logorata, non si rattoppa con un semplice cambio di abito.

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Beatrice Subissi