Come si può combattere l'inverno demografico in Italia?

L’Italia sta entrando in quello che gli esperti chiamano inverno demografico, una crisi silenziosa ma potente. Negli ultimi mesi i principali osservatori statistici, nazionali e internazionali, hanno lanciato ripetuti allarmi legati alla denatalità. I numeri generali del problema li ha recentemente raccontati l’Istat. Negli ultimi 5 anni le nascite sono diminuite da 420 mila a 370 mila del 2024. La speranza di vita invece è aumentata a 83,4 anni, 5 mesi in più rispetto al 2023, mentre circa 191 mila italiani hanno lasciato il Paese nel 2024. Uno dei dati più preoccupanti secondo l’Istat e l’Ocse è il tasso di fecondità che in Italia ha raggiunto un nuovo minimo storico: 1,18 figli per donna rispetto al precedente minimo di 1,19 figli per donna relativo al 1995. Il risultato di questi dati è una lenta, silenziosa ma inesorabile ricomposizione della popolazione italiana. Secondo gli scenari dell’Istat entro il 2050 gli over 65 potrebbero rappresentare il 34,5% del totale della popolazione. Il primo effetto di tutto ciò lo vedremo nelle scuole: a settembre in Italia ci saranno 134 mila studenti di meno. E dunque si passerà dai 6,9 milioni di alunni di quest’anno a poco meno di 6,8 milioni. Sempre secondo le stime dell’Istat nel prossimo decennio, se questi trend non saranno modificati, la popolazione scolastica scenderà sotto la soglia dei 6 milioni di unità. Insieme a Francesco Billari, Rettore dell’Università Bocconi di Milano abbiamo analizzato le ragioni dietro il fenomeno dell’inverno demografico. Quali sono le ragioni per cui gli italiani non fanno figli? Il calo delle nascite in Italia è un fenomeno strutturale che dura da decenni, con un picco di oltre un milione di nati nel 1964 e un minimo storico di 370.000 nel 2024. Il tasso di fecondità è il più basso della storia italiana, simile a quello degli anni '90. A questo si affianca un’alta longevità , rendendo l’Italia uno dei Paesi più invecchiati al mondo. Questa situazione, nuova nella storia, richiede un adattamento delle politiche e del pensiero economico. Nel suo libro “Domani è oggi” lei propone alcune soluzioni per affrontare il problema demografico. Può condividere alcune di loro con noi? Nel medio termine , l’unico modo per contrastare il declino demografico è aumentare i flussi migratori in entrata e ridurre quelli in uscita. A lungo termine, serve invertire il trend della natalità, ispirandosi a Paesi come la Francia e la Svezia, creando un ecosistema favorevole alla genitorialità attraverso politiche che possano conciliare lavoro e famiglia, come a Bolzano, dove il declino delle nascite è meno marcato. Lei ha citato in varie occasioni la Francia e la Svezia, dove il tasso di fecondità è dell’1,8% e dell’1,5% rispettivamente, come esempio di politiche di welfare. Può citare qualche esempio che possa essere utile per l'Italia? Francia e Paesi nordici adottano un approccio scientifico, con dati raccolti da decenni. Servono congedi parentali, sostegni economici , fiscalità favorevole, orari scolastici compatibili con il lavoro e asili nido garantiti, come in Germania, che ha invertito la tendenza demografica con un sistema integrato, includendo asili sussidiati per tutti i bambini sopra l’anno di età. Il fenomeno Neet, ovvero quei giovani che non stanno studiando e non stanno cercando lavoro, registra il risultato peggiore in Italia con la percentuale più alta al 20,8%. Come mai così tanti neet, secondo lei come si potrebbero stimolare i giovani ad approcciarsi al mercato del lavoro o all’università? L’Italia ha pochi giovani e non riesce a valorizzarli. La bassa percentuale di laureati e un sistema scolastico datato sono problemi chiave. Serve modernizzare la scuola per portare avanti tutti i giovani, con percorsi educativi aggiornati e un’università più connessa al mondo produttivo, senza focalizzarsi solo su lavori attuali ma guardando a quelli del futuro. L’immigrazione è percepita come uno dei problemi principali del Paese dalla politica italiana mentre il focus sull’emigrazione resta meno accentuato. Secondo Istat, negli ultimi cinque anni, ogni anno se ne vanno all’estero più di 100.000 italiani, un fenomeno conosciuto anche come la “fuga dei cervelli”. In realtà questo governo ha incoraggiato l’immigrazione con flussi superiori alle nascite. L’emigrazione, però, è preoccupante: ogni anno 100-120.000 italiani lasciano il Paese, molti laureati . Questo rappresenta una perdita sia quantitativa che qualitativa per il nostro Paese. Serve rendere l’università e l’istruzione centrale per l’economia, come in Germania, Francia o Spagna, per trattenere i giovani talenti. Altrimenti, inevitabilmente, sceglieranno altri Paesi per i loro percorsi di carriera.

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Aleksandra Georgieva