Rheinmetall Italia: "Lavoriamo a sinergie con fabbriche d'auto per la difesa"

Nel momento in cui l’Europa vuole riarmarsi, in quale condizione si trova l’industria della difesa che dovrà spendere le centinaia di miliardi messi sul piatto dagli Stati? Per capirlo abbiamo visitato l’impianto produttivo di Rheinmetall Italia, parte del gigante tedesco al centro del riarmo europeo. A Nord-est di Roma, sulla via Tiburtina, qui sono prodotti i nuovi sistemi di difesa anti-aerea Skynex in grado di fronteggiare le crescenti minacce dei droni. Già diversi di loro sono stati spediti in Ucraina, mentre l’Esercito italiano ne ha ordinato uno e opzionati altri tre. Abbiamo chiesto ad Alessandro Ercolani, amministratore delegato di Rheinmetall Italia, quali sono le sfide principali per l’industria della difesa. Che momento è questo per l’industria della difesa italiana ed europea? È un momento storico, si sta decidendo se costruire un’Europa della difesa o una difesa europea. È una grande differenza: nel primo caso ognuno farebbe per sé e si costituirebbero singole industrie nazionali della difesa. Se invece riuscissimo a costruire una difesa europea metteremmo assieme tecnologie e competenze. La Commissione europea ha proposto un piano per incrementare la spesa per la difesa di 650 miliardi di euro dai bilanci nazionali e di 150 miliardi attraverso prestiti europei. Saranno sufficienti? I recenti conflitti hanno dimostrato che abbiamo bisogno di fare un salto tecnologico, che si può ottenere solo con gli investimenti. È difficile dare una cifra precisa: il 2% di spesa pubblica per la difesa rispetto al Pil è un dato credibile e solido. Soprattutto se prenderemo la strada di sviluppare e produrre sistemi d’arma insieme a livello europeo. Può essere necessario anche spingersi oltre il 2%, come chiesto dal segretario generale della Nato Mark Rutte e dal presidente Trump? Dovremo capire se l’obiettivo del 2% sia adeguato, ma è certamente una ottima base di partenza per l'industria nazionale. Dal punto di vista industriale serviranno nuove fabbriche per far fronte all’importante aumento degli ordini. Affinché le centinaia di miliardi che la Commissione vuole iniettare possano essere assorbiti in Europa. Quanti sono gli addetti che lavorano per voi in questo stabilimento a Roma? E quanti saranno tra alcuni anni? Noi abbiamo 1.500 addetti a livello nazionale, qui a Roma siamo in 500. Nei prossimi 3-5 anni dovremmo arrivare a 1.500 lavoratori solo in questo stabilimento. L’interesse nei nostri confronti è altissimo: l’anno scorso abbiamo ricevuto 24.000 curriculum, ci fa molto piacere questa curiosità di così tante persone. L’industria della difesa non è più quella di qualche anno fa: oggi è un settore moderno che punta sull’innovazione e sulla tecnologia. In Germania alcune fabbriche civili sono state convertite alla produzione bellica. Anche in Italia il Governo starebbe valutando questa ipotesi. Voi vi state preparando? Questa è una domanda che richiederebbe ore di approfondimento. Però c'è un dato: la produzione militare viaggia nell’ordine delle migliaia per mezzi corazzati e sistemi di difesa e dei milioni per le munizioni. Qual è l'unico settore, almeno in Italia, che abbia esperienza nel produrre grandi volumi? È quello automotive. Noi stiamo già sperimentando la sinergia su alcune competenze nel gestire processi, automazione, produzione, che ci aiuteranno per le produzioni future, anche in Italia. Per soddisfare quelle necessità di cui parlavamo prima per accorciare i tempi di consegna. Oggi l’Europa sconta importanti dipendenze tecnologiche-militari dagli Stati Uniti. Quanto è grave questa condizione? Noi abbiamo costruito la nostra architettura di difesa e sicurezza europea contando su alcuni partner, tra cui gli Stati Uniti. Ma va detto che l’Europa ha alcune tecnologie della difesa veramente allo stato dell’arte: mi sento molto ottimista. Quindi se riusciamo a fare le cose assieme, l’Europa avrà una grande opportunità. È necessario concentrare quindi le risorse finanziarie su sistemi d’arma made-in-Europe? Decisamente sì, in questo momento è questa la sfida. Serve una cabina di regia per costruire una difesa europea e non l’Europa della difesa fondata sulle industrie nazionali. Oggi l’industria europea della difesa è molto frammentata: semplificando, ogni Stato si costruisce i propri carri armati, i propri cannoni, le proprie fregate. Quanto è grave questa mancanza di coordinamento? In effetti oggi la frammentazione è molto elevata, dal momento che non è mai stato deciso il requisito di sviluppare e produrre le tecnologie a livello europeo. Se lo seguissimo, potremmo ridurre i costi probabilmente fino al 50 per cento. Ecco perché è fondamentale una cabina di regia. Rheinmetall a Roma produce il nuovo sistema di contraerea anti-droni Skynex, che ha ricevuto ordini dall’Ucraina e anche dall’Esercito italiano. Riuscirà a proteggere città e basi militari dalle nuove minacce? Il conflitto tra Russia e Ucraina ha dimostrato che i droni sono una nuova minaccia a cui nessuno aveva pensato in questi termini. Noi ci siamo trovati ad avere l'unica tecnologia disponibile sul mercato oggi in grado di abbattere qualunque tipo di drone. Il sistema Skynex - già operativo in Ucraina con grande successo - è in grado di fare due cose: con il radar vede le minacce fino a 50 km di distanza e con la sua potenza di fuoco fino a 1.000 colpi al minuto crea una bolla difensiva entro un raggio di 4 chilometri in cui niente e nessuno può penetrare. Skynex è in effetti un esempio interessante di come l’industria della difesa reagisce alle novità che arrivano dal campo di battaglia. Come si possono sviluppare sistemi d’arma che richiedono molti anni per la progettazione e la produzione, senza rischiare di diventare obsoleti poco dopo essere stati acquistati dalle forze armate? Questa è la sfida più importante per noi: progettare sistemi che siano solidi, adeguati al momento e nello stesso tempo aggiornabili per accogliere nuove tecnologie. Questo si fa dando spazio alle tecnologie software: l'intelligenza artificiale, gli algoritmi, l’analisi dei dati. Parliamo allora di sistemi d'arma che dovranno durare nel tempo: i quasi 1.500 nuovi mezzi corazzati e blindati acquistati dall’Esercito italiano, che Rheinmetall ha sviluppato e costruirà assieme all’italiana Leonardo. Si tratta dei nuovi carri armati Panther e dei mezzi corazzati di fanteria Lynx. Quali sono le principali sfide che questa joint venture dovrà affrontare? Sicuramente soddisfare l'esigenza dell'Esercito italiano che ci ha chiesto di mettere a disposizione in pochissimo tempo due carri di nuova generazione, il mezzo da combattimento della fanteria Lynx e il carro da combattimento Panther. Per riuscirci si sono messe assieme le due più grandi industrie europee sul settore terrestre, Leonardo e Rheinmetall. La sfida è consegnare entro due anni i primi carri. Si tratta di mezzi di nuova generazione: in grado di comunicare tra loro, interagire con i dati provenienti da tutti i domini operativi, proteggere il personale a bordo e perfino garantire loro il necessario livello di comfort. E fronteggiare le nuove minacce che, per i mezzi corazzati, sono cambiate radicalmente. In Iraq e in Afghanistan i principali rischi erano autobombe e mine. Quindi minacce provenienti dal basso, che hanno portato a un rafforzamento delle corazze laterali e inferiori. Oggi invece i pericoli per i carri arrivano dal cielo, dai droni, e l’industria si deve adattare rapidamente e aggiornare le tecnologie. Ecco perché su una variante del mezzo corazzato di fanteria verrà montato il sistema anti-aereo Skynex che produciamo qui a Roma. La scelta è ricaduta sulla nostra proposta anche perché il 60% della manodopera e della tecnologia sarà italiana. Ecco, come si coniuga il desiderio di mantenere la produzione in Italia – come è stato fatto – con la necessità di ridurre la frammentazione europea. Si potrebbe obiettare che l’Italia avrebbe dovuto acquisire i carri armati sviluppati da Rheinmetall senza cambiamenti. Dobbiamo essere realistici: nessuno Stato rinuncerà mai alla propria sovranità nazionale. Detto questo, ciò che si può realisticamente fare sono accordi come quelli tra noi e Leonardo. Ogni Paese ha dei requisiti e nel nostro caso consistevano nello sviluppare lavoro in Italia e sviluppare qui competenze e tecnologia. I primi mezzi arriveranno, come ci ha detto, tra un paio d'anni. Ma le ultime forniture termineranno nel 2040. C’è la possibilità, forse anche la necessità, di velocizzare la consegna degli ordini? Proprio su questo c’è un tavolo di discussione aperto con il nostro cliente . L’industria della difesa è abituata a muoversi molto lentamente: fino a qualche anno fa, i tempi di consegna dei sistemi di armamento si aggiravano tra i 24 e i 50 mesi. Oggi le tempistiche si sono ridotte a massimo un anno. Con le forze armate stiamo ragionando su come accorciare ulteriormente i tempi.

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