Difesa europea, tra ambizioni strategiche e vincoli economici

Il recente annuncio della Germania di destinare 100 miliardi di euro alla difesa rappresenta un segnale di svolta non solo per Berlino, ma per l’intero progetto di una comune politica di sicurezza europea. Questa mossa, che scaturisce da un contesto internazionale sempre più instabile, coincide con la presentazione di un “Libro Bianco per la Difesa” a livello comunitario, in cui la Commissione europea ha indicato l’ambizioso obiettivo di rendere il continente autonomo in materia di sicurezza entro il 2030. Per comprendere la portata di questa sfida, occorre tuttavia inquadrare la proposta in una prospettiva più ampia, fatta di equilibri industriali, strategie di riconversione e meccanismi finanziari condivisi che vanno ben oltre la semplice questione degli stanziamenti nazionali. Il piano ReArm EU e il fondo SAFE: opportunità e rischi Il cuore dell’iniziativa difensiva europea è racchiuso nell’idea di mobilitare circa 800 miliardi di euro tramite due strumenti chiave: da un lato, l’allentamento temporaneo delle regole fiscali per incoraggiare i Paesi a investire in spesa militare a debito; dall’altro, l’introduzione di un fondo comune, il SAFE , volto a finanziare progetti di interesse strategico. Se il fondo comune appare uno strumento promettente per favorire la cooperazione industriale e tecnologica, la possibilità di ricorrere massicciamente al debito pubblico solleva alcuni problemi. Paesi con bilanci già molto appesantiti, come l’Italia, potrebbero trovarsi in difficoltà a sostenere maggiori livelli di indebitamento rispetto a economie più solide come la Germania e questo fattore di rischio rischia di accentuare le disparità all’interno dell’Unione in un momento in cui bisognerebbe invece puntare alla coesione politica. Riconversione industriale e settore automotive: un caso emblematico La svolta sulla difesa trascina con sé il tema della riconversione industriale in settori chiave. Un esempio concreto è l’automotive, comparto in affanno per la transizione verso l’elettrico e il contestuale calo della domanda in alcuni mercati. In Italia aziende come Stellantis stanno affrontando costi elevati di riconversione produttiva e intanto devono restare competitive su un mercato globale sempre più agguerrito. Ecco allora che la proposta di integrare la produzione civile con linee destinate a componenti o tecnologie militari potrebbe, secondo diversi analisti, ridare slancio all’intera filiera, proteggendo migliaia di posti di lavoro. Una scelta che, inoltre, contribuirebbe a ridurre la dipendenza dell’Europa in questo settore dai fornitori esteri, in particolare dagli Stati Uniti. Cybersecurity, intelligenza artificiale e satelliti: settori strategici per la sovranità europea Nel "Libro Bianco per la Difesa", spiccano alcuni ambiti tecnologici che vengono reputati di rilevanza strategica: la cybersecurity, l’intelligenza artificiale e la comunicazione satellitare. Sono settori che, oltre a garantire la sicurezza militare, presentano notevoli prospettive di sviluppo civile, con potenziali ritorni economici e occupazionali significativi. Investire in questi campi significherebbe quindi puntare su un modello industriale duale, in cui la cooperazione tra ricerca militare e applicazioni commerciali creerebbe economie di scala e stimolerebbe l’innovazione. Per finanziare tali investimenti in modo coordinato, diversi governi nazionali stanno prendendo in considerazione l’emissione di debito comune, ricalcando in parte l’esperienza del Next Generation EU, ma si tratterebbe, va detto, di un salto politico e istituzionale non scontato, dal momento che implicherebbe una maggiore integrazione fiscale e una comune assunzione di rischi che sino ad ora l’Europa è stata solo raramente capace di mettere in piedi. Un nucleo di “volenterosi” per la difesa comune La proposta di creare un nucleo ristretto di Paesi “volenterosi” risponde alla constatazione che non tutti gli Stati membri sembrano pronti a condividere risorse, debito e capacità operative con lo stesso entusiasmo. Francia, Germania, Polonia, ma anche Gran Bretagna, sembrano, per dimensioni, forza militare e questioni geografiche, candidati naturali a guidare tale progetto con l’Italia leggermente laterale per una sua scelta maggiormente atlantista nella speranza che gli Stati Uniti possano tornare sui loro passi. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, infatti, con il conseguente raffreddamento dei rapporti transatlantici, spinge l’Europa a dotarsi di una propria autonomia strategica, ma questo non dovrebbe significare rinnegare i legami storici con la NATO e gli Stati Uniti. Autonomia strategica continuando a sperare nella NATO L’idea di un’Europa più autonoma sul fronte della difesa non implica necessariamente uno strappo con gli alleati americani. Si cerca piuttosto di costruire una capacità autonoma di risposta alle crisi, in linea con i valori e gli interessi europei. Ciò significa, ad esempio, una maggiore indipendenza nella scelta degli interventi militari in contesti come quello ucraino in cui gli Stati Uniti potrebbero avere cambiato le proprie priorità. Sull’altro piatto della bilancia, però, resta fondamentale una sinergia con la NATO, dato che l’Alleanza atlantica rappresenta ancora l’architrave della sicurezza occidentale. L’equilibrio tra cooperazione con Washington e autonomia decisionale sarà dunque un nodo delicato, che richiederà un’abilità diplomatica non indifferente ed è forse su questo punto che l’Italia potrebbe ritagliarsi un ruolo cruciale. Una sfida che intreccia economia, industria e politica L’incremento tedesco delle spese militari, i piani comunitari per mobilitare nuove risorse e l’impegno a consolidare settori industriali di punta delineano quindi un percorso in cui la difesa non è più un affare marginale riservato ai singoli Stati, ma un pilastro fondamentale della costruzione europea. Ciò nonostante, il cammino verso una difesa comune non può limitarsi alla semplice somma di spese e progetti industriali: richiede una visione strategica e politica di lungo periodo, capace di promuovere l’integrazione, la condivisione delle competenze e la coesione sociale. Senza un accordo solido sulla ripartizione degli oneri finanziari e senza meccanismi efficaci per evitare che gli squilibri economici tra gli Stati membri si acuiscano, il rischio è di erodere il consenso per il progetto europeo stesso. La sfida è quindi duplice: rafforzare la credibilità strategica dell’Europa in un mondo sempre più frammentato e, allo stesso tempo, far sì che ogni cittadino, a prescindere dallo Stato di appartenenza, percepisca i vantaggi di questa politica comune. Solo con una cooperazione economica e industriale che vada di pari passo con una visione politica condivisa, l’Europa potrà ambire a un ruolo da protagonista sullo scenario internazionale, affermando un modello di sicurezza che sappia tenere insieme crescita, innovazione e valori fondanti dell’Unione.

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