Congedo di paternità, perché in Italia il 35% dei padri non lo utilizza?

Uno strumento necessario per sostenere la genitorialità condivisa e promuovere la condivisione dei compiti di cura di padri e madri. In Italia il tasso di utilizzo del congedo di paternità è più che triplicato tra il 2013 e il 2022 passando dal 19,2% di chi ne ha diritto al 64,5% in nove anni. Un trend positivo, emerso da uno studio di Inps e Save the Children pubblicato in occasione della Festa del Papà, che mostra un’evoluzione in termini di ridistribuzione dei ruoli di genere. Ma dai dati spunta anche un altro dato significativo: oltre il 35% dei neo padri non lo utilizza, con percentuali più ampie per i lavoratori con contratto a termine e per quelli che lavorano nelle aziende con pochi dipendenti. In Italia il congedo prevede 10 giorni retribuiti, fruibili nell’arco temporale che va dai due mesi precedenti alla data presunta del parto ai cinque successivi. A usufruirne sono soprattutto i lavoratori del Nord e quelli che hanno un lavoro stabile e un reddito tra i 28 mila e i 50 mila euro. Valore D: "Dieci giorni di congedo sono insufficienti" Nell’universo dei padri, qualcosa sta lentamente cambiando. Ma esistono ancora ostacoli che frenano questo tipo di sostegno, e sono principalmente culturali. “Questi dati si inseriscono all’interno di un cambiamento culturale lento, che è ancora in atto. E la spinta di un congedo più lungo potrebbe sicuramente fare la differenza”, spiega a Sky TG24 Insider Ulrike Sauerwald, a capo del centro di ricerca di Valore D. “Perché con soli dieci giorni concessi ai padri non si può parlare di carico di cura condiviso tra i due genitori, ma piuttosto di un accompagnamento nella primissima fase dopo la nascita del bambino o bambina”. Manca l'informazione: solo il 76% degli uomini conosce il congedo Ma nella riflessione sulle cause che possono portare il 35% dei neo padri a non usufruire di questo strumento, ce n’è uno che non si può non tenere in considerazione: la disinformazione. Infatti, come dimostra un’indagine condotta nel 2024 da Valore D e SWG soltanto il 76% degli uomini intervistati è conoscenza dell’esistenza del congedo di paternità e solo il 13% ne conosce i dettagli. Insomma, un gap innanzitutto culturale. Oltre all’informazione sul tema ancora insufficiente, negli uomini un fattore disincentivante è la paura di perdere il lavoro: “Se molti uomini non usufruiscono nemmeno dei 10 giorni concessi dallo Stato, anche la aziende più virtuose che propongono un congedo di tre mesi condividono lo stesso problema alla base: resistono ancora il timore di perdere il posto di lavoro, di non essere accettati dai colleghi o dai capi”, osserva l’esperta. Ma certamente gli esempi positivi possono fare la differenza: “Più persone prendono in posizioni di leadership prendono il congedo di paternità, più culturalmente sarà accettato. Servono dei role model”. Il ritardo dell'Italia e il faro della Svezia Si tratta comunque di un processo lento e lungo: “In Italia siamo in ritardo rispetto a molti altri Paesi europei. Io sono tedesca e il paragone con la Germania è netto: lì padri e madri possono usufruire di periodo totale di 14 mesi e dividerli liberamente tra di loro”. Questa equità nell’accesso al congedo fa sì che “nella società tedesca la genitorialità condivisa sia davvero vissuta. Ma è il risultato di una evoluzione che dura da 20 anni”. L'esempio più virtuoso in Europa, quello a cui mirano gli altri Paesi, è invece quello della Svezia, che con 480 giorni divisi tra madre e padre, retribuiti circa l’80% del salario, e con tre mesi obbligatori riservati a ciascun neo-genitore, offre il pacchetto di congedi migliore al mondo. Un vero e proprio faro. La spaccatura tra Nord e Sud Italia Lo studio di Inps e Save the Children sottolinea anche una spaccatura nel nostro Paese: al Nord il congedo di paternità viene utilizzato dal 76% dei padri aventi diritto, una percentuale quasi doppia rispetto quella che tocca il Sud e le Isole . “Questa forbice così ampia è quasi speculare con l’occupazione femminile, ancora molto bassa nel Sud del Paese”, osserva Sauerwald. Dati ancora intrinsecamente legati agli stereotipi di genere “e alla convinzione ancora radicata che siano le donne a doversi occupare della cura dei figli, e sono quindi quelle che spesso soprattutto al Sud rinunciano al lavoro, oppure non hanno mai lavorato”. La Gen Z sostiene il congedo di paternità Al di là della forbice tra Nord e Sud, si può comunque affermare che in Italia l'uso del congedo di paternità non sia ancora assolutamente sdoganato, dice l'esperta. Ma le giovani generazioni lo sostengono. Da un'indagine di Valore D che ha coinvolto oltre 18 mila lavoratori e lavoratrici del network delle aziende associate - presentata alla Camera dei Deputati nel 2024 - è emerso che nella generazione Z sia uomini che donne chiedono un bilanciamento di vita e lavoro e un congedo di paternità di più lungo. "I più giovani riconoscono i vantaggi che porta il congedo a livello di benessere generale della famiglia", afferma Ulrike Sauerwald. "La Gen Z ha è consapevole che prendersi cura del proprio bambino nei primi giorni accresce la competenza dei padri come genitori. Se negli uomini adulti è più difficile avviare un cambiamento, perché nelle aziende tradizionali il management è prevalentemente maschile e l'età è alta - hanno in media 48-49 anni - dobbiamo avere fiducia nelle giovani generazioni".

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