Unicredit – Banco Bpm, cosa cambia per noi risparmiatori

Potrebbe essere l’alba della più grande banca dell’Unione europea, ma anche il tramonto per il terzo polo italiano. L’offerta di Unicredit su Banco Bpm spariglia le carte del “risiko bancario” e della politica italiana, anche perché arriva improvvisa, senza indiscrezioni o rumors dei giorni precedenti. Anzitutto, in sintesi, cos’è e come funziona? Unicredit, la seconda banca italiana, ha lanciato una offerta pubblica di scambio su Banco Bpm, l’istituto nato nel 2016 dall’unione tra la Popolare di Milano e il Banco Popolare . L’offerta è di scambio di azioni: Piazza Gae Aulenti non mette sul tavolo soldi cash, ma propone uno scambio “carta contro carta”, si dice in gergo, del controvalore di circa 10 miliardi di euro. Se andrà in porto, l’operazione farà nascere un vero gigante, che diventerebbe il gruppo italiano di maggiori dimensioni: 73 miliardi di capitalizzazione , ponendosi al terzo posto in Europa dietro la britannica HSBC e la svizzera Ubs , quindi il primo posto nell’Ue. Il maxi polo conterebbe quasi 100 mila dipendenti, 5 mila filiali e19 milioni di clienti. Chi ci guadagna e chi ci perde con un gruppo di così grandi dimensioni? Che impatti avrebbe sul sistema bancario italiano? E su noi risparmiatori tutti? Andiamo per ordine: secondo gli esperti, l’operazione avrebbe senso da un punto di vista strategico per le due banche: unendo le forze, Unicredit e BPM potrebbero consolidare la loro posizione nel mercato italiano, creando un gigante bancario in grado di competere con i principali player europei. Ecco il primo aspetto da rimarcare: “Le banche italiane vogliono sempre di più raggiungere un respiro europeo con queste fusioni” sottolinea Alessio Garzone, senior analyst di Gamma Capital. Anche perché “le fusioni transfrontaliere sono sempre più complicate, perciò si prediligono operazioni nei confini interni”, spiega Giacomo Calef, Country Manager di NS Partners. Aggiunge Garzone: “Unicredit nel lungo termine potrà avvalersi di migliori economie di scale, avendo più clienti; Bpm avrà accesso a maggiori risorse; e in più, chi detiene obbligazioni della Popolare milanese potrebbe vedere i uopi bond salire di valore, visto che più grandi sono i gruppi bancari, minore è il rischio di insolvenza”. La chiave europea viene sottolineata anche dall’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel: “L’Europa ha bisogno di banche più forti e più grandi, che la aiutino a sviluppare la propria economia e a competere contro gli altri principali blocchi economici. Grazie al lavoro svolto negli ultimi tre anni, Unicredit è ora ben posizionata per rispondere anche a questa sfida”, le sue dichiarazioni riportate in una nota ufficiale della banca. Il riferimento temporale è significativo: potrebbe riferirsi non solo alla lunghezza del suo mandato ma anche al primo tentativo di agganciare Banco Bpm. L’operazione era infatti già stata ipotizzata all’inizio del 2022, ma le indiscrezioni di stampa uscite in quel periodo avevano fatto salire i prezzi di Borsa dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna, inducendo Orcel ad accantonare il paino in attesa di tempi migliori. Che sembrano arrivati adesso: senza ‘spifferi’, senza che sia trapelato nulla, i prezzi sono per l’offerente sono più convenienti. Non è un caso, evidenziano molti, che il prezzo offerto sia piuttosto basso: il ‘premio’ – fatti tutti i calcoli del concambio tra azioni – è di solo 0,5% rispetto al valore del titolo Banco Bpm a Piazza Affari , molto meno di quanto si offre di solito in operazioni simili. “Questo potrebbe rendere più difficile il pieno successo dell’operazione – spiega Garzone – visto peraltro che Piazza Gae Aulenti vuole raggiungere adesioni al 67%, ossia i due terzi del capitale, per ottenere il controllo assoluto nell’assemblea straordinaria”. Una lettura più politica la dà Andrea Monticini, docente dell’Universtià Cattolica: “L’aver offerto un prezzo così basso, a prima vista non dimostra una volontà così ferrea di concludere l’operazione; certo, sono sempre possibili successivi rilanci, ma per ora sembra più una mossa destinata a creare pressione sul fronte Commerzbank”. Unicredit è infatti impegnata anche sul fronte tedesco: ha da poco portato la sua partecipazione in Commerzbank al 21%, con l’ipotesi di chiedere autorizzazioni alle autorità di vigilanza per salire al 29,9%, appena al di sotto della soglia che farebbe scattare l’OPA, l’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni. Ma la pista si è raffreddata, vista la cautela di parte del mondo politico tedesco, e tutto sembra rimandato a dopo le elezioni in Germania, che si terranno a febbraio. “Commerzbank è un investimento che ci metterà tempo per maturare, e su cui adesso non dobbiamo fare niente, possiamo aspettare, ora ci moviamo su Banco BPM, questa sì che è una transazione” le parole di Orcel. Che la questione abbia importanti risvolti politici è indubbio: Banco Bpm è molto radicata soprattutto in Lombardia e Veneto, non a caso il primo commento a caldo è stato della Lega. L’offerta è stata “comunicata ma non concordata col governo” ha tenuto a precisare il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non nascondendo la sua cautela: “Il governo farà le sue valutazioni, quando Unicredit invierà la sua proposta per le autorizzazioni del caso”, ha aggiunto. Bpm è infatti protagonista di un possibile terzo polo bancario, dietro Intesa Sanpaolo e Unicredit: l’ad Giuseppe Castagna ha di recente gettato le basi per un matrimonio con Monte Paschi Siena, acquistando il 5% , operazione che sarebbe vista di buon occhio dal governo Meloni e dal Ministero dell’economia, che detiene ancora l’11,7% di Rocca Salimbeni, salvata dal crack con un intervento pubblico nel 2017 e ora sulla strada del ritorno ai privati. Insomma, la nascita del primo gruppo dell’Ue potrebbe segnare la fine, già in culla, del terzo polo nazionale, facendo anche perdere appeal a Mps: così si spiegherebbe la freddezza della Lega: “Poi vedremo, come è noto esiste la golden power” l’annuncio di Giorgetti. Mentre la politica e la finanza dibattono, il quesito di fondo resta: operazioni di questo tipo quali effetti possono avere sui risparmiatori italiani? Ancora Monticini: “Migliorerebbero le condizioni di accesso al credito e dei servizi bancari, perché attualmente in Italia è presente un player di gran lunga più grande degli altri, Intesa Sanpaolo, e questa aggregazione diminuirebbe il gap tra la prima e la seconda banca del Paese, facendo aumentare il grado di competizione tra i due attori principali”. Ancora Garzone: “l’operazione avrebbe molto senso, ma attenzione: situazioni di fusione tra società diverse solitamente comportano ristrutturazioni aziendali, quindi il rischio di eventi come chiusura di filiali, esuberi, cambiamenti organizzativi, ecc.”. Bisognerà insomma conoscere i dettagli del piano industriale di integrazione tra i due gruppi.