Introduzione
La proposta del sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon prevede di versare obbligatoriamente il 25% del Trattamento di fine rapporto nei fondi pensione per aumentare l'assegno futuro. Ma secondo la Cgil c’è “un rischio di incostituzionalità” e le rendite mensili “sono veramente basse”: si parla di cifre che vanno dai 22,39 euro ai 112,45 euro di rendita mensile per gli uomini e dai 18,61 euro ai 93,52 euro per le donne.
Per Durigon “sul Tfr dei lavoratori è stata fatta molta demagogia e qualcuno ha addirittura affermato che mettiamo la mano nelle tasche dei lavoratori. Ricordo che già oggi per le aziende sopra i 50 dipendenti il Tfr va di default all'Inps. I lavoratori avranno sempre la libertà di scegliere che cosa fare con il loro Tfr, ma è chiaro che con il secondo pilastro si può costruire una rendita futura per garantire pensioni più alte a chi andrà in pensione tra dieci o venti anni, ad esempio”.
Quello che devi sapere
La proposta sul Tfr
- Quello della previdenza rimane uno dei principali dossier sul tavolo del governo. Fra le varie proposte c’è quella avanzata dal sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon che prevede di versare obbligatoriamente una parte del Trattamento di fine rapporto (Tfr), il 25%, nei fondi pensione per aumentare l'assegno futuro. Ma quanto potrebbe rendere un’operazione di questo tipo?
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I calcoli della Cgil
- Secondo i calcoli realizzati dalla Cgil, spiega il responsabile previdenza Ezio Cigna a Il Sole 24 Ore, “le rendite mensili sono veramente basse. Siamo in media sui 40 euro. Senza dimenticare che il Tfr è salario differito. Non si può obbligare qualcuno a conferire il proprio salario senza un’adesione esplicita. C’è il rischio di incostituzionalità”. Si parla di cifre che vanno dai 22,39 euro ai 112,45 euro di rendita mensile per gli uomini e dai 18,61 euro ai 93,52 euro per le donne
Per approfondire:
La rubrica di Carlo Cottarelli: "Pil, cosa dice davvero la revisione dei conti pubblici dell'Istat"
Il 25% è sufficiente?
- Inoltre, spiega al quotidiano economico Paolo Pellegrini, vicedirettore generale di Mefop (società costituita dal ministero dell'Economia per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione), il versamento del 25% del Tfr non sarebbe sufficiente per una previdenza integrativa: “Stiamo considerando il 25% del Tfr ovvero di un 7% circa del reddito lordo annuale. Ebbene, quello che la teoria insegna è che per avere una robusta previdenza integrativa c’è bisogno di versare il 10% del reddito annuo. I conti sono fatti: è necessario il conferimento dell’intero Tfr, dell’1,5% del contributo del lavoratore e dell’1,5% del datore di lavoro”
Durigon: “Ci sarà sempre la libertà di scegliere cosa fare con il Tfr”
- Proprio il sottosegretario Durigon è tornato a parlare della sua proposta in un’intervista ad Affari Italiani: “Un tema pensionistico che non si può rimandare è quello di rafforzare il secondo pilastro della previdenza ovvero i fondi pensione". “Come è noto dal 1996 in poi il sistema è contributivo pieno e il pericolo è che ci siano pensioni future troppo basse perciò serve rafforzare la seconda gamba - ha spiegato - Sul Tfr dei lavoratori è stata fatta molta demagogia e qualcuno ha addirittura affermato che mettiamo la mano nelle tasche dei lavoratori. Ricordo che già oggi per le aziende sopra i 50 dipendenti il Tfr va di default all'Inps. I lavoratori avranno sempre la libertà di scegliere che cosa fare con il loro Tfr, ma è chiaro che con il secondo pilastro si può costruire una rendita futura per garantire pensioni più alte a chi andrà in pensione tra dieci o venti anni, ad esempio”
Calderone: “Sono d'accordo su un nuovo semestre di silenzio-assenso”
- Alcuni giorni fa anche il ministro del Lavoro, Marina Calderone, ha detto che un intervento in Manovra sul rafforzamento dei fondi pensione “è assolutamente probabile che ci sia”. “Non sarà stravolgente però credo sia importante coniugare questi due percorsi - ha detto a proposito del pilastro pubblico e di quello complementare - non perché il primo pilastro possa essere sufficiente, perché con il sistema contributivo se si versa tanto il rendimento sarà adeguato, ma è un supporto ulteriore, anche un modo di essere previdenti, di guardare al futuro in un'ottica di risparmio". Poi ha aggiunto: “Sono assolutamente d'accordo su un nuovo semestre di silenzio-assenso per il versamento del Tfr nei fondi pensione. Bisogna fare una nuova campagna di sensibilizzazione sulla previdenza complementare. La previdenza complementare - ha detto - ha la possibilità di essere un ausilio a una pensione dignitosa. Bisogna far cambiare la mentalità ai lavoratori”
Aumentano gli iscritti alla previdenza complementare
- Secondo l’ultima Relazione annuale della Covip, la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, alla fine del 2023 il totale degli iscritti alla previdenza complementare ha sfiorato i 10 milioni (9,6 milioni), con un incremento del +3,7% rispetto al 2022: un dato che rappresenta il 36,9% delle forze di lavoro in Italia. Su un totale di 302 fondi pensione, 33 sono negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (Pip) e 161 fondi pensione preesistenti. In particolare, i fondi negoziali contano 3,9 milioni di iscritti (+5,4% rispetto al 2022). Sono invece 1,9 milioni gli iscritti ai fondi aperti (+5,9%) e 3,9 milioni ai Pip (+1,7%); 656mila ai fondi preesistenti
Divari di genere, età e area geografica
- Donne, under 35 e lavoratori del Sud sono tuttavia ancora poco presenti nel sistema della previdenza complementare. Gli uomini sono infatti il 61,7% degli iscritti a questi comparti, a fronte delle donne che costituiscono il 42,6% degli iscritti ai fondi aperti e il 46,6% ai Pip. È poi da rilevare anche un gap generazionale: in base all'età gli iscritti sono infatti prevalentemente concentrati nelle classi intermedie e più prossime al pensionamento. Il 47,8% degli iscritti ha un'età compresa tra 35 e 54 anni e il peso della componente più giovane (fino a 34 anni) sul totale degli iscritti, nonostante sia cresciuta, resta comunque bassa: al 19,3% nel 2023 contro il 17,6% del 2019. Quanto invece all'area geografica, il tasso di partecipazione supera la media nazionale nelle regioni del Nord, mentre valori più bassi e decisamente inferiori alla media si registrano in gran parte delle regioni meridionali
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