Pensione integrativa, a chi conviene davvero? Il confronto

Economia
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Introduzione

Uno studio dell’Università La Sapienza di Roma mette in discussione l’effettiva convenienza delle pensioni integrative: secondo quanto emerso, servono poco ai lavoratori che possono permettersele e sono invece troppo care per chi ne avrebbe bisogno.

 

Stando invece quanto riferito dalla Ragioneria dello Stato, senza una “forma integrativa”, tra 45 anni l’importo netto della pensione di un ventenne di oggi si fermerebbe a poco più del 66% dell’ultimo stipendio nel caso di un lavoratore dipendente privato e del 67% dell’ultimo reddito per un lavoratore autonomo

Quello che devi sapere

Lo studio dell’università La Sapienza

  • Trade Republic ha commissionato una ricerca relativa alle pensioni ai docenti dell’Università La Sapienza di Roma (Michele Raitano e Marco di Pietro). Secondo quanto emerso, chi al momento ha una vita lavorativa stabile e dignitosa, con le attuali età pensionabili, potrà ricevere una pensione adeguata. Investire in una pensione integrativa, quindi, per loro potrebbe non essere conveniente. Ne scrive Il Corriere della Sera 

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Il paradosso

  • Al contrario la previdenza privata sarebbe utile per i precari, ma questi ultimi fanno fatica ad accedervi per via dei costi. Secondo gli studiosi de La Sapienza, quindi, la pensione integrativa serve a poco a chi può permettersela ed è troppo cara per chi invece ne avrebbe bisogno

Agevolazioni fiscali in discussione

  • La Sapienza mette anche in discussione il profilo delle agevolazioni fiscali della previdenza integrativa, dato l’impatto sui conti pubblici – 2,5 miliardi annui di mancate entrate – sia dal punto di vista dell’efficienza e dell'equità (è dubbia la capacità di coinvolgere chi effettivamente ne avrebbe bisogno) 

Il confronto

  • L’ateneo ha messo inoltre a confronto i piani di accumulo in Etf azionari (Exchange Traded Funds) con le diverse tipologie di fondo pensione, tenendo conto delle differenze nei rendimenti realizzati e della diversa normativa fiscale. Gli investimenti in Etf risultano in genere più performanti, anche se non godono delle agevolazioni fiscali tipiche delle forme di previdenza integrativa privata

Cosa converrebbe fare

  • Come spiega uno dei due autori della ricerca, Marco Di Pietro, l’ideale sarebbe scegliere un prodotto che sta a metà fra Etf e fondo pensione: “Le agevolazioni fiscali della previdenza integrativa generano un’extra liquidità che, se reinvestita in Etf azionari, permette di raggiungere rendimenti più elevati. E il vantaggio fiscale cresce all’aumentare del reddito individuale e dunque avvantaggia in modo regressivo chi meno ne avrebbe bisogno. Il disegno del sistema pensionistico complessivo e delle agevolazioni fiscali andrebbe quindi ripensato, sia alla luce dell’innalzamento continuo dell’età pensionabile sia di un sistema di fondi pensione a cui partecipano in misura relativamente maggiore gli individui più abbienti”

I dati della Ragioneria generale dello Stato

  • Il Sole 24 Ore riporta invece i dati contenuti nell’ultimo rapporto della Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo della spesa pensionistica. Per i lavori dipendenti privati il tasso di sostituzione al lordo della tassazione – cioè il rapporto fra la prima pensione ricevuta e l’ultima retribuzione – aumenterebbe del 7,7% nel 2030, del 9,3% nel 2040 e del 7,7% nel 2070 con un apporto prolungato della previdenza complementare 

Per i lavoratori autonomi

  • Per i lavoratori autonomi la crescita sarebbe del 7,7% nel 2030, del 10,2% nel 2040 e dell’8,5% nel 2070

Il confronto con i prossimi anni/1

  • I tecnici del Mef fanno notare, confrontando i valori del 2010 e del 2070, “un decremento di 7,1 punti percentuali, per i dipendenti privati, e di 16,6 punti percentuali, per gli autonomi”, sempre al lordo. Senza l’utilizzo della previdenza integrativa le riduzioni  sarebbero state, rispettivamente, di 14,8 e 25,1 punti percentuali

Il confronto con i prossimi anni/2

  • Qualcosa di analogo si produrrebbe sui tassi di sostituzione netti: nel 2070, i dipendenti privati dovrebbero raggiungere “un valore pari al 76,5%, rispetto al 66,3% della sola previdenza obbligatoria. Per i lavoratori autonomi, i valori corrispondenti sono 85% e 67,7%” 

L’utilità

  • Quindi, secondo quanto riferito dalla Ragioneria dello Stato, in mancanza del concorso di una “forma integrativa”, tra 45 anni l’importo netto della pensione di un ventenne di oggi si fermerebbe a poco più del 66% dell’ultimo stipendio nel caso di un lavoratore dipendente privato e del 67% dell’ultimo reddito per un lavoratore autonomo

Cosa è il tasso di sostituzione

  • Il tasso di sostituzione rappresenta il rapporto percentuale tra la prima annualità completa della pensione e l’ultimo reddito annuo completo immediatamente precedente il pensionamento. Il tasso di sostituzione può essere calcolato al lordo o al netto della tassazione su pensione e retribuzione

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