Tassa sugli extraprofitti bancari, rischi e conseguenze dopo le modifiche

Economia
Lorenzo Borga

Lorenzo Borga

Si abbassa il conto da pagare per le banche con il nuovo tetto massimo dello 0,1 per cento degli attivi patrimoniali. Ma c'è chi è preoccupato per le conseguenze sui nuovi prestiti

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Il Ministero dell’Economia ridimensiona la tassa sui cosiddetti extraprofitti bancari. L’importo dovuto dai singoli istituti non potrà superare infatti lo 0,1 per cento degli attivi patrimoniali, vale a dire di tutti i beni che le banche possiedono. Una scelta, secondo il governo, dovuta alla salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, che non sono imprese qualunque vista la rilevanza del credito in Italia. La mossa fa scendere il gettito massimo dell’imposta a meno di 4 miliardi di euro, ma verosimilmente sarà minore.

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Quanto pagheranno le singole banche

Per le due principali banche del paese il conto si alleggerisce: Intesa Sanpaolo dovrebbe risparmiare rispetto alle prime stime oltre 1 miliardo e mezzo di euro, Unicredit circa 400 milioni.

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L’imposta, stando agli annunci visto che un testo ancora non c’è, andrà a tassare del 40 per cento il cosiddetto margine di interesse delle banche. Vale a dire la differenza tra quanto gli istituti di credito guadagnano da mutui e prestiti e quanto pagano invece i clienti per mantenere i soldi su conti correnti e di deposito. I profitti sono letteralmente esplosi - oltre 10 miliardi nei soli primi sei mesi dell'anno per i principali istituti - grazie alle mosse della Banca Centrale Europea e all’inerzia con cui la maggior parte delle banche ha adeguato le remunerazioni sui conti, nonostante le raccomandazioni di Banca d’Italia, che ha rilevato anche una concorrenza insufficiente.

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Allarme nuovi prestiti

Ma c'è anche chi lancia l'allarme prestiti: le banche potrebbero ridurre l'accesso al credito di famiglie e imprese per coprirsi dalle perdite. Una preoccupazione espressa anche dalla Bce nei confronti della Spagna, che impose una tassa simile nel 2022.

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Il governo intende utilizzare i 2-3 miliardi che potrebbe ricavare dall’imposta per finanziare il fondo mutui prima casa, destinato anzitutto agli under-36 che intendono acquistare casa, e per finanziare un taglio delle tasse. Il gettito, se si concretizzerà, sarà tuttavia una tantum e non potrà quindi essere utilizzato per ridurre strutturalmente la pressione fiscale.

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