Bonus docenti continuità didattica, bocciato il decreto: “Non valido prima del 2023”
Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ha dato parere negativo sull’intervento pensato dal governo per premiare gli insegnanti che non cambiano sede di lavoro e che non abbandonano zone a rischio spopolamento. Per entrare in vigore durante il 2022, avrebbe dovuto essere approvato entro lo scorso 30 giugno. Quando sarà valido, il tema sarà ormai già stato disciplinato dal nuovo contratto collettivo. In generale il testo viene poi definito “poco efficace” per raggiungere i suoi obiettivi
Uno degli ultimi atti del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, prima delle elezioni politiche, sarà il decreto ministeriale che va a finanziare un bonus per i docenti che garantiscano la “continuità didattica”. Sul tavolo ci sono 30 milioni di euro: 24 milioni da assegnare al personale scolastico che sceglie di non cambiare sede dove insegnare e 6 milioni a chi lavora in zone d’Italia ritenute a rischio spopolamento. L’iniziativa, prevista dal decreto-legge 36/2022, sta però incontrando diversi problemi
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A sottolineare come la bozza di decreto sia “poco efficace” è il CSPI (Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione), che ha dato parere negativo sul testo del provvedimento. Resta quindi da capire come deciderà di muoversi il ministero: i pareri del CSPI non sono vincolanti, ma il governo deve comunque tenerne conto nel predisporre le leggi. A non convincere è innanzitutto quella che sarebbe l’applicazione temporale del bonus ai docenti
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Nel parere del CSPI si legge che il decreto interviene su questioni relative alla valorizzazione del personale “in maniera intempestiva”. Non essendo stato adottato entro lo scorso 30 giugno 2022, il provvedimento “potrà essere applicato solo dal prossimo anno scolastico”. Bisognerà quindi aspettare almeno settembre 2023, quando il nuovo contratto collettivo nazionale integrativo sulla mobilità dei docenti “sarà già intervenuto e avrà regolato tutta la materia”: il tema in questione, ricorda il CSPI, è infatti di “pertinenza contrattuale”
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Eppure, nelle intenzioni del governo, come stabilito dal decreto-legge 36, l’intervento avrebbe dovuto promuovere l’attività didattica “solo in sede di prima applicazione e nelle more dell’aggiornamento contrattuale”. Altri problemi, sottolinea il CSPI, riguardano poi questioni di merito. Lo schema di decreto non va ad esempio a stabilire alcun criterio per premiare i docenti che effettivamente non hanno mai avuto intenzione di spostarsi, ma in generale tutti quelli che non lo hanno fatto
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Si vanno così a includere anche i docenti che, pur avendo chiesto un trasferimento di sede, non l’hanno ottenuto “per motivi oggettivi”, come l’indisponibilità dei posti. Non solo: nel testo “non si fa alcun distinguo rispetto al personale docente che, pur non avendo chiesto trasferimento, sia stato destinatario di mobilità d’ufficio o a domanda condizionata, per cui la condizione di soprannumerarietà diventa occasione di penalizzazione”
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E ancora, un altro problema riguarda la mancata distinzione “tra comune e provincia di residenza del docente rispetto a quella in cui ha sede la scuola, per cui lo stesso incentivo verrebbe riconosciuto a chi è residente nella stessa provincia (ma non nello stesso comune) e a chi è residente fuori provincia”. Tra l’altro, scrive il CSPI, “in molti comuni non sono presenti tutti i gradi e indirizzi di studio; ciò crea una disparità di opportunità lavorativa tra il personale docente conseguente alla dislocazione delle sedi”
C’è poi un problema di coordinamento tra il testo del decreto-legge 36 e quello del decreto ministeriale. Il primo, nell’individuare i potenziali beneficiari del bonus, individua i docenti che sono rimasti nella stessa sede per “anni”. Il secondo fa invece riferimento alla maturazione di un solo anno scolastico per ottenere l’incentivo