Il gasdotto è stato messo in manutenzione e ora l'Europa rischia di rimanere a secco. Ecco come funzionerebbe la solidarietà tra i paesi Ue se l'infrastruttura non dovesse riaprire
La Banca d'Italia ha pubblicato delle stime economiche decisamente negative nell'ipotesi in cui la Russia chiuda il rubinetto del gas al nostro Paese. Se ciò si dovesse verificare, il Pil 2022 crescerebbe di meno di un punto percentuale (ricordiamo che i due punti guadagnati quest'anno sono dovuti alla dote del 2021, quindi si tratterebbe comunque di un calo) e finirebbe in negativo nel 2023, scendendo addirittura del 2%. Uno scenario, questo, che si è fatto sempre più probabile dopo l'annuncio della chiusura di Nord Stream: il gasdotto, il più grande tra quelli che collegano Russia ed Europa, è chiuso per manutenzione programmata dal 10 luglio e continuerà a esserlo fino a giovedì 21 alle 6:00 di mattina, quando dovrebbe tornare operativo.
Germania a secco
In questi giorni possiamo toccare con mano cosa accadrebbe all'Europa senza gas russo. Come rivelano i dati Agsi, da lunedì 10 luglio la Germania non è più riuscita a riempire le riserve che le serviranno in inverno, quando la domanda aumenterà per riscaldare le case e far funzionare le aziende. Martedì 11 luglio è stata addirittura costretta addirittura a estrarre gas dai serbatoi piuttosto che pomparlo, vista la carenza che sta vivendo. Ecco perché negli ultimi giorni l'Italia ha superato Berlino come percentuale di stoccaggio delle riserve, che dovranno raggiungere almeno l'80% entro ottobre.
Solidarietà cercasi
Cosa potrebbe dunque succedere se la Germania, il maggior consumatore di gas naturale in Europa, dovesse rischiare una carenza? Sarebbe costretta a ridurre i consumi, razionando in particolare quelli industriali (e dunque chiudendo le fabbriche più energivore, finanziandole per evitare il fallimento). Ma se anche questo non dovesse bastare, il Paese potrebbe chiedere l'aiuto di altri Stati europei. Secondo un regolamento Ue del 2017, la solidarietà sul gas è obbligatoria: se un Paese in difficoltà chiama, gli altri sono obbligati a vendergli il gas che hanno, attraverso interventi "non di mercato", cioè agendo direttamente con strumenti pubblici nel segmento privato. La condizione è che lo Stato in difficoltà abbia già razionato le proprie industrie e che rischi di dover fare lo stesso con le famiglie e i servizi pubblici essenziali, come scuole e ospedali. Solo allora potrà attivare il meccanismo, obbligatorio fino al punto da non mettere a rischio le famiglie degli altri Paesi. É dunque possibile che l'Italia, grazie alle forniture da Algeria, Azerbaijan e gas liquefatto, venga chiamata ad aiutare la Germania. Fino al punto da razionare l'industria nazionale per tutelare dal disastro le famiglie tedesche. A rischio è in particolare il gas proveniente dal Nord Europa, che entra in Italia da Passo Gries. Nella prima metà dell'anno, secondo i dati Snam, sono arrivati più di 4 miliardi di metri cubi, a cui potremmo dover rinunciare per tutelare gli altri Paesi europei colpiti dai tagli russi.
Secondo la Commissione Ue, infatti, sono ormai una dozzina gli Stati colpiti, in particolare Polonia, Bulgaria, Finlandia, Paesi Bassi e Danimarca, che hanno subito uno stop totale dopo il rifiuto di pagare il gas in rubli.