Scarsi investimenti e micro-gestori, perché sprechiamo quasi metà dell'acqua

Economia

Lorenzo Borga

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Gli investimenti italiani nella rete idrica sono un terzo rispetto a quelli tedeschi e gli operatori idrici sono ancora troppi e troppo piccoli per sostenere le spese di manutenzione. I DATI

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In Italia quasi la metà dell'acqua potabile viene sprecata prima di entrare nelle nostre case. Il 42 per cento dell'acqua utilizzata per usi civili infatti si perde negli acquedotti, una percentuale quasi doppia rispetto agli altri Paesi europei. In Stati membri dell'Ue comparabili con il nostro, questo dato è decisamente più basso: in Francia viene perso il 20 per cento delle risorse idriche, in Germania addirittura solo il 7.

altri paesi Ue

Scarsi investimenti

I motivi del ritardo italiano sono sostanzialmente due. Prima di tutto gli scarsi investimenti nella rete, benché in crescita negli ultimi anni. Secondo Utilitalia, la federazione delle utilities italiane, in Italia si spendono tra i 32 e i 34 euro all'anno per abitante in investimenti nel settore. In Germania questo numero sale a 80, in Francia a 88, in Danimarca addirittura a 129. E non è un caso che le tariffe italiane siano più contenute rispetto al resto d'Europa, con effetti però evidenti sullo stato di salute degli acquedotti.

 

Non sorprende dunque che le tubature italiane abbiano un'età media decisamente elevata: il 40 per cento è stata posata negli ultimi 30 anni, un terzo tra 31 e 50 anni e il 25 per cento hanno addirittura più di 50 anni. E se procedessimo di questo passo, Utilitalia calcola che ci vorrebbero 250 anni per rinnovare completamente la rete di acquedotti italiana, un'impresa che terminerebbe nel 2272.

tubi

Troppi e troppo piccoli

Il secondo ordine di problemi deriva dalla struttura del mercato idrico. Secondo gli esperti gli operatori sono troppi e troppo piccoli, e dunque non abbastanza efficienti per permettersi gli investimenti necessari.

 

Secondo Istat nel 2018 erano 2.552 gli operatori attivi nei servizi idrici per uso civile. Per la maggior parte (nell'83 per cento dei casi) si tratta degli stessi enti locali che forniscono il servizio. Benché si tratti di numeri in deciso calo - nel 1999 erano 7.826 - secondo gli esperti sono ancora troppi per fornire un servizio efficiente.

Tanto che Arera, l'agenzia per la regolamentazione del settore, da tempo spinge perché venga rispettata la normativa del 2006 che consente "l'affidamento del servizio idrico integrato in ambiti territoriali comunque non inferiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane". In diverse regioni, tutte del Sud (Molise, Calabria, Campania e Sicilia), secondo l'agenzia la legge non è però ancora applicata e i servizi sono affidati a operatori non in regola.

Il ruolo del Pnrr

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (LO SPECIALE DI SKY TG24) interviene su questa debolezza strutturale italiana, con 4,38 miliardi di euro complessivi sulle risorse idriche. Di questi circa 900 milioni sono proprio destinati a tamponare le perdite degli acquedotti. Obiettivo ridurre di 15 punti percentuali l'acqua sprecata nella rete, per raggiungere la media europea.

pnrr

 

Un primo bando è già stato lanciato e ha raccolto proposte per 2,1 miliardi, più dunque delle risorse a disposizione. I lavori dovranno essere appaltati entro settembre 2023 e terminati per marzo 2026.

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