Il 31 ottobre è finito lo stop previsto per i settori più colpiti della crisi pandemica. Ma com'è andata finora per i comparti (industria metalmeccanica ed edilizia) per i quali il blocco è terminato il 30 giugno? Un primo bilancio degli ultimi 4 mesi
Era l’ultimo pezzo di muro anti-covid rimasto in piedi dalla scorsa estate, e ora è venuto meno anche quello. Il 30 giugno finiva il blocco dei licenziamenti (argine messo su in tutta fretta a febbraio 2020, con lo scoppio della pandemia e i primi stop alle attività) per la grande industria e l’edilizia, il 31 ottobre è finito anche per i settori per i quali era stato prorogato: terziario, piccole imprese, artigianato, e tre comparti dell’industria più flagellati dalla crisi covid, tessile, abbigliamento e pelletteria. Anche per i lavoratori di questi settori, quindi dal primo novembre è possibile il licenziamento collettivo o per giustificato motivo oggettivo (leggi, crisi aziendale), solo quando si è finito di usare tutta la cassa integrazione Covid disponibile. Ma com’è andata negli ultimi 4 mesi per i settori già tornati alle regole tra virgolette normali?
A luglio e agosto nessuna emorragia
Premesso che è presto per numeri definitivi, una prima valutazione si può trarre dall’ultimo Osservatorio di Ministero del Lavoro e Bankitalia sulle comunicazioni obbligatorie delle aziende, pubblicato a settembre e aggiornato al 31 agosto. In sintesi, ci dice che: a luglio, pronti via, sono scattati circa 10mila licenziamenti nei due comparti considerati; che, ragionevolmente, i datori li avevano già “in canna” e li hanno concretizzati appena scaduto il divieto. Che, nel computo del mese, non siamo distanti dal luglio 2019. Che ad agosto, complice la ripresa dell’economia, i licenziamenti si sono attestati «su valori estremamente contenuti», si legge, almeno per i dipendenti a tempo indeterminato (all’incirca 4 milioni tra edilizia e industria manifatturiera), e che meno bene è andata per rapporti a termine e collaborazioni. Ma è un tipico fenomeno a due facce, e di portata più generale, perché “Quasi il 90% dei posti di lavoro creati dall’inizio del 2021 è stato attivato con un contratto a termine”. In attesa dei dati completi di settembre e ottobre, insomma, l’emorragia di posti di lavoro sembra esser stata scongiurata dalla forte ripresa dell'attività. Il muro, quando serviva, ha retto. Dal primo novembre, per i regolatori, non serve più.