Caso Onlyfans, quale è il problema della grande finanza con il porno?

Economia

Lorenzo Borga

Onlyfans, il social network per adulti, dice addio al porno ma poi fa marcia indietro. Vediamo perché e cosa c’entra l’alta finanza, nella nuova puntata di Tech Economy, la rubrica Instagram di approfondimento economico di Sky TG24.

Onlyfans è un sito in cui gli utenti possono pagare, abbonandosi, per vedere i contenuti postati dalle persone che seguono e interagirci. Una sorta di Instragram a pagamento. La maggior parte degli utenti cerca contenuti erotici, video e foto hot. A caricarle sono porno attori, ma anche ragazzi e ragazze che guadagnano un gruzzolo ogni mese condividendo foto e video di nudo in cambio di soldi. La notizia da cui partiamo è la decisione dell’azienda, fondata nel Regno Unito con più di 120 milioni di utenti paganti, di abbandonare i contenuti sessualmente espliciti a partire da inizio ottobre: sì quindi alle immagini di nudo, ma no a contenuti considerati troppo spinti e a sfondo sessuale.

Il fondatore: "lo hanno chiesto le banche"

Il fondatore Tim Stokely ha detto al Financial Times che è stato costretto a prendere la decisione dalle banche che gestiscono i pagamenti della piattaforma, trasferendo sostanzialmente i soldi degli abbonamenti da Onlyfans ai creators. Stokely se l’è presa in particolare con Bank of New York Mellon e JP Morgan, che avrebbero bloccato le transazioni. In realtà anche il social network condivide un certo livello di responsabilità, visto che la BBC aveva scoperto pochi giorni prima dell’annuncio che Onlyfans è in un certo grado tollerante verso gli utenti che non rispettano le regole della piattaforma, anche condividendo materiale frutto di prostituzione e violenze.

 

Poi però è arrivato il colpo di scena, quando l’azienda pochi giorni dopo ha fatto marcia indietro e ha annunciato che anche dopo ottobre i contenuti a sfondo sessuale saranno ammessi.

Non è il primo caso

La vicenda di Onlyfans si inserisce nel riposizionamento in atto di alcune grandi aziende finanziarie nei confronti del porno. È una storia che conosciamo già dallo scorso dicembre, da quando i circuiti di pagamento Visa e Mastercard hanno deciso di abbandonare la piattaforma Pornhub, che è uno dei siti più visitati al mondo, quasi quanto Netflix e Amazon. Allora il casus belli era stata un’inchiesta del New York Times su alcuni casi di video a sfondo sessuale di minorenni pubblicati sulla piattaforma, che hanno portato Pornhub a eliminare l’80 per cento dei propri filmati non verificati per paura di trovarne altri.

Paura di scottarsi con il porno

La grande finanza ha evidentemente paura di scottarsi con il porno. Il rischio è scoprire di fare affari con piattaforme che non rispettano le leggi e ospitano materiale pornografico frutto di sfruttamento e violenze. A loro volta infatti queste grandi banche e società finanziarie temono di trovarsi boicottate per offrire i loro servizi alle piattaforme per adulti.

 

A pagarne le peggiori conseguenze però restano i più piccoli: in questo caso i e soprattutto le sex workers, che in periodo di pandemia e lockdown guadagnano da vivere sulle piattaforme digitali e che senza - in alcuni casi - non riuscirebbero ad arrivare alla fine del mese. Per questa volta sono salvi, ma il difficile rapporto tra finanza e porno non è certo risolto qui.

 

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