
Coronavirus, più della metà di chi ha perso il lavoro è donna. I DATI
Secondo il focus "Ripartire dalla risorsa donna" della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in Italia la crisi scatenata dalla pandemia di Covid-19 ha colpito tutte le categorie, ma nel mondo del lavoro si è fatta sentire in misura maggiore per le donne. Nel nostro Paese, su 100 posti di lavoro persi (in tutto 841mila) dopo il lockdown primaverile, quelli femminili rappresentano il 55,9%

La crisi causata dalla pandemia di coronavirus ha colpito tutte le categorie. Ma nel mondo del lavoro si è fatta sentire in misura maggiore per le donne. È quanto emerge dal focus "Ripartire dalla risorsa donna" della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro
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Il primo bilancio, ancora parziale, degli effetti che il lockdown primaverile ha avuto sul mercato del lavoro registra tra secondo trimestre 2019 e 2020 470mila occupate in meno, per un calo nell'anno del 4,7%. Su 100 posti di lavoro persi (in tutto 841mila), quelli femminili rappresentano il 55,9%. Al confronto, l'occupazione maschile ha dato prova di maggior tenuta, registrando un decremento del 2,7% (371mila occupati)
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A segnare la maggiore contrazione è stata la componente di lavoro a termine, che ha registrato 327 mila lavoratrici in meno per un calo del 22,7%. Ma anche per le autonome il bilancio è fortemente negativo, con un decremento del 5,1%. Si tratta di un dato ancora provvisorio che dovrà essere rivisto alla luce della fine del blocco dei licenziamenti (posticipata al marzo 2021) e delle conseguenze che questa avrà sull'occupazione a tempo indeterminato, finora salvaguardata dalle misure adottate dal governo
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L'elevata incidenza delle donne nei settori che più sono stati interessati dalla crisi ha contributo in modo determinante a produrre un saldo così negativo. L’industria, dove il lavoro maschile è prevalente, ha per ora retto di più, mentre sono stati soprattutto i servizi, tradizionale bacino di impiego femminile, a pagare il costo più caro: è il caso del sistema ricettivo e ristorativo, dove le donne rappresentano il 50,6% dell'occupazione, e dei servizi di assistenza domestica, dove il lavoro femminile arriva all’88,1%
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Entrambi i settori hanno contribuito in maniera decisiva al negativo saldo occupazionale, determinando il 44,2% delle perdite complessive dei posti di lavoro, e ben il 51% con riferimento a quelli femminili. Anche l'elevato coinvolgimento in modalità di lavoro flessibile, sia in termini contrattuali che temporali, ha esposto le lavoratrici a un rischio più elevato di espulsione dal mercato
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Il lavoro part time, che prima della crisi risultava la modalità di impiego del 33% delle lavoratrici e solo dell'8,8% degli uomini, ha subito una contrazione del 7,4%. Ma anche il lavoro a termine, falcidiato dal lockdown, risultava più presente tra le donne che tra gli uomini (14,4% contro il 12,2%)

Un altro preoccupante effetto, spiega il rapporto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, è la possibilità che molte donne riducano il proprio investimento sul lavoro, fino alla scelta radicale di abbandonarlo, anche per via delle nuove restrizioni degli ultimi giorni relative a determinate attività o delle chiusure scolastiche imposte da alcune regioni in modo più stringente rispetto al livello nazionale

L'esperienza vissuta durante i mesi di chiusura primaverile ha visto le donne gestire un sovraccarico di lavoro, famigliare e professionale, senza precedenti. Da un lato, sono state più degli uomini impegnate nell’attività lavorativa, dovendo garantire l'erogazione di servizi essenziali, dalla scuola, alla sanità, alla pubblica amministrazione, tutti settori a forte vocazione femminile: durante il lockdown il 74% delle donne ha continuato a lavorare mentre tra gli uomini la percentuale è stata più bassa (66%)

Dall'altro lato, con la chiusura delle scuole, il tema della conciliazione si è imposto in modo emergenziale, sia per le tante mamme che hanno dovuto garantire la presenza nel luogo di lavoro (si pensi alle lavoratrici in ambito sanitario o della pubblica amministrazione), sia per quante hanno potuto lavorare da casa, dove però i compiti di cura e di assistenza nei confronti dei figli impegnati con la didattica a distanza hanno reso la conciliazione un'impresa complicata
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Secondo il report della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, lo stress che ne è derivato, per quasi 3 milioni di mamme lavoratrici con un figlio a carico con meno di 15 anni (30% delle occupate) è stato elevatissimo, tanto che molte di loro potrebbero essersi trovate nella condizione di interrompere o rallentare la propria attività

Nell'ultimo anno la tendenza ad allontanarsi dal lavoro, rinunciando anche alla ricerca di un'occupazione, è cresciuta sensibilmente, facendo registrare tra giugno 2019 e 2020 un incremento di 707 mila donne inattive (+8,5%). Il tasso di attività femminile, nello stesso arco di tempo, è diminuito di 3 punti percentuali, passando da 56,8% a 53%, annullando così, in pochi mesi, i progressi fatti nell'ultimo decennio in termini di innalzamento dei livelli di partecipazione femminile al lavoro

Il blocco delle attività e la conseguente impossibilità di ricercare un'occupazione, prosegue il report, hanno contribuito a scoraggiare l'offerta di lavoro. Ma le maggiori difficoltà di conciliazione, indotte da un provvedimento straordinario come la chiusura delle scuole, hanno giocato un ruolo altrettanto importante nello spostare verso l'inattività una quota così significativa di donne

La riduzione maggiore dei livelli di partecipazione si registra infatti nelle fasce giovanili, dove la quota di donne che ha compiti di accudimento verso i figli è più elevata. Il tasso di attività è passato infatti dal 62,1 al 54,8 tra le 25-29enni, dal 68,8 al 61,6 tra le 30-34enni e dal 71 al 66,8 tra le 35-39enni. Tale tendenza appare particolarmente accentuata tra le donne che hanno titoli di studio più bassi, dove la propensione al lavoro risulta già di suo ridotta, e l'effetto scoraggiamento prodotto dalla crisi può aver impattato maggiormente

L’Italia è ancora il Paese dove si registra il più alto tasso di abbandono del lavoro per esigenze di cura famigliare (non lavora per tale motivo il 13,3% delle donne italiane contro l'8,2% della media europea) e dove si registrano i livelli di natalità più bassi. Come emerso durante il lockdown della scorsa primavera, le donne costituiscono una componente fondamentale in tanti settori di interesse economico e sociale a partire dalla scuola e dalla sanità, dove rappresentano rispettivamente il 75,5% e 69,8% della forza lavoro
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Le donne apportano all'occupazione italiana un contributo sempre più rilevante in termini di qualificazione e competenza. Le donne sono andate a ricoprire ruoli e funzioni sempre più elevate della piramide professionale. Se ogni 100 occupati, 42 sono donne, tra le professioni intellettuali la percentuale è arrivata al 54%. Negli anni, questa tendenza si è accentuata e tra gli under 40 la presenza femminile risulta in crescita proprio nelle posizioni apicali

Anche in termini di conoscenza e competenza cresce il contributo delle donne all'innalzamento della qualità del lavoro: su 100 occupati in possesso di laurea o titolo superiore, 55 sono donne; tra i giovani con meno di 35 anni la percentuale sale al 60%