Imprenditori di tutto il mondo unitevi: l’invito di Delzio alla ribellione delle imprese

Economia

Filippo Maria Battaglia

Il particolare della copertina del libro di Delzio edito da Rubbettino

IL LIBRO DELLA SETTIMANA. In un pamphlet edito da Rubbetino il manager di Atlantia traccia alcune vie di uscita per ridare centralità a una figura che rischia l’emarginazione sociale 

Partiamo dalla fine: “È immaginabile che in un futuro prossimo gli imprenditori decidano di scendere in piazza a fianco di sindacalisti e lavoratori?”. Sì, è vero, l’interrogativo potrebbe avere il sapore stantio dell’utopia comunitaria. Stavolta, però, non è così. Perché questa domanda che si fa Francesco Delzio nelle ultime pagine del pamphlet “La ribellione delle imprese” (Rubbettino, pp. 112, euro 12) è ben ancorata a una sfilza di dati ed evidenze.

Delzio – che a una lunga esperienza manageriale affianca da anni una collaudata produzione pubblicistica – ricorda infatti come “per la prima volta nella storia, l’imprenditore italiano viva nell’era del populismo una conduzione inedita di ‘emarginazione sociale’”. E fa notare come tutto ciò si trasformi in un doppio paradosso. Innanzitutto statistico, visto che in Italia ci sono oltre quattro milioni di imprenditori, un numero senza pari al mondo in rapporto alla popolazione. Ma soprattutto in un paradosso politico, perché “partiti e movimenti populisti devono la loro affermazione anche al sostegno convinto di piccolissimi e piccoli imprenditori, stanchi dell’inarrestabile spinta alla spesa pubblica e alla burocratizzazione dell’economia da parte dei vecchi partiti”.

Senza rappresentanza

Il problema, spiega Delzio, è che da tempo gli imprenditori si sono trovati senza alcuna rappresentanza politica. Certo, non accade solo in Italia. Da noi, però, più che altrove, la malapianta dell’indifferenza nei confronti dell’impresa ha trovato un prodigioso fertilizzante: “Molti politici sono impegnati a immaginare forme di redistribuzione della ricchezza, altri si sono disimpegnati sui temi economici perché hanno scelto di puntare su sicurezza e identità. Ma il Pil no, di solito non interessa”.

Delzio ricorda i rischi della contemporanea introduzione di quota 100 e del reddito di cittadinanza, cita l’ex ministro Paolo Savona e osserva come “nel nostro Paese la ‘cultura dello sviluppo’, che ha animato gli anni del Dopoguerra si sia trasformata gradualmente in ‘cultura della garanzia’, scambiando dosi sempre maggiori di libertà con dosi sempre maggiori di sicurezza”. E racconta come – quasi ineluttabilmente – “la preferenza per la rendita abbia preso il sopravvento su quella del premio, dovuto a chi rischia ogni giorno affrontando il campo aperto del mercato, moltiplicando la richiesta di spesa pubblica da attivare subito”.

Le vie d'uscita

La politica ha fatto in fretta ad accodarsi alla tendenza. Dimenticando però come le economie che hanno avuto più rendite che profitti siano sempre, alla lunga, finite a gambe all’aria. Difendere lavoro e produzione, e provare a ribaltare questo rapporto, diventa così un imperativo economico, ma può trasformarsi pure in una inaspettata opportunità di coesione sociale. Delzio traccia una serie di vie d’uscita utili a sfilare dalle imprese la maschera del nemico che il populismo vorrebbe loro affibbiare. E trasforma la domanda utopistica al centro del suo pamphlet in una analisi originale, documentata e lontana dal solito politicamente corretto.

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