Gli "appestati" e la guerra al diesel

Economia

Massimo Di Pietrantonio

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A ottobre le immatricolazioni segnano un pesante crollo, ma una ricerca del Cnr dà ragione al “caro” vecchio motore a gasolio. Intanto il governo pensa a incentivi per svecchiare il parco auto

 

E alla fine il dagli all’untore sta dando i suoi frutti. L’untore in questo caso è il caro vecchio motore diesel che a forza di essere demonizzato sull’altare di una scarsa conoscenza delle effettive cause di inquinamento, a ottobre ha registrato il crollo delle vendite con un pesantissimo -27 per cento.

Lo scenario sembra quello dei poveri monatti proprietari di veicoli diesel che, colpiti da annunci a strascico sui blocchi del traffico, saranno costretti a svendere le loro auto o a rinchiuderle in un recinto solo per gli “appestati”.

Perdonatemi il futuro se vi sembra troppo apocalittico, ma il presente purtroppo vive una fase di estrema contraddizione, stretta tra la dicotomia di chi, dopo il dieselgate, vuole spingere nel burrone i motori endotermici, leggi autonomie locali sempre più green, e delle case automobilistiche che stanno, faticosamente, tentando di rifarsi una verginità ambientale.

In mezzo ci sono, appunto, gli automobilisti sempre più disorientati che non sanno più realmente cosa fare.

Ritornano gli incentivi?

Ora, che il nostro parco auto circolante sia uno dei più vecchi d’Europa è un dato di fatto. Come provare a sostituirlo è un altro paio di maniche.

Alcune case, vedi Toyota, per incentivare l’acquisto di auto ibride propongono bonus per chi decide di dare indietro veicoli diesel.

Autonomie locali, come ad esempio la Lombardia, hanno stanziato 6 milioni di euro nella manovra finanziaria regionale per “rottamare” i modelli più inquinanti con mezzi a basse emissioni.

E ora comincia a muoversi anche il governo, visto che il ministro dell’Ambiente Costa ha annunciato che, insieme al dicastero dei Trasporti, sta pensando ad incentivi per la sostituzione delle vetture diesel e benzina Euro 3.

Ovviamente quella del ministro è ancora un’idea allo stato embrionale, così come l’idea di mettere l’auto elettrica al centro di “un sistema nuovo di concepire la tutela ambientale e della salute”.

La ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche

Ma siamo proprio sicuri che l’elettrico sia veramente “pulito” e il diesel invece è la “peste”? Una ricerca del Cnr prova a spezzare una lancia per il motore endotermico. Confrontandolo con quello elettrico nell’intero ciclo di vita, dalla produzione all’utilizzo, e impiegando fonti di energia non sempre pulite o rinnovabili, le auto diesel risulterebbero più “green”. Le auto elettriche, ovviamente, non tengono però confronti se l’indagine si fermasse a considerare il loro semplice utilizzo in strada, visto che il motore elettrico non emette alcun agente nocivo quando è in funzione. Ma la ricerca del Cnr dice anche altro e cioè che «le tecnologie motoristiche in sviluppo saranno in grado di proiettare i motori convenzionali ad un livello di inquinamento praticamente trascurabile nel prossimo decennio». Tradotto, significa che i diesel di nuova generazione hanno raggiunto un tale livello di efficacia da permettere loro di emettere una quantità di polveri anche inferiori a quelle emesse da freni e pneumatici. Una teoria, peraltro, confermata anche dall’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale. Ecco spiegato perché un brand premium come Mercedes, investendo oltre 3 miliardi di euro, ha puntato moltissimo sulla tecnologia diesel, migliorando i motori ed equipaggiandoli con la tecnologia ibrida plug-in già sul best-seller della casa, la Classe C.

L’ibrido vola e l’elettrico resta al palo

Ricapitolando, quindi, i diesel di nuova generazione sono “supergreen”, l’ibrido normale e plug-in è per il momento l’opzione più scelta da chi vuole cambiare auto e ha le possibilità economiche per farlo, l’elettrico, per ora, resta al palo. Aldilà delle roboanti percentuali di vendita di ottobre, con un +150 per cento rispetto allo scorso anno, i numeri sono impietosi perché si passa da 235 a 587 unità vendute. Questo perché? Sostanzialmente l’acquisto di veicoli elettrici è, per il momento, un salto nel buio perché legato a vari fattori.

Primo: il prezzo di un veicolo “alla spina” è decisamente più alto rispetto a quello di uno “normale”.

Secondo: comprare elettrico vuol dire avere la possibilità di ricaricare l’auto quando si ha necessità. E questo comporta una presenza cospicua sul territorio di colonnine di ricarica che, al momento, scarseggiano. In Italia si possono stimare a fine 2017 circa 2.750 punti di ricarica pubblici a norma, di questi 443 sono high power, distribuiti in circa 1.300 colonnine con un divario evidente fra il Sud e le altre aree del Paese  secondo i dati dell’eMobility Report 2018 del Politecnico di Milano.

Terzo: l’incognita dei costi di ricarica e la possibilità di installare colonnine all’interno dei condomini con tariffe agevolate. Fermo restando che tutto potrebbe essere fermato senza il via libera della maggioranza qualificata dell’assemblea di condominio.

Così negli anni Duemila potremmo passare dall’Italia dei comuni a quella delle colonnine..

 

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